12. Il deserto dei Tartari (C. 14)
Capitolo 14 (continuazione)
C'era stato un momento, alle prime luci dell'alba, quando sul biancore del deserto gli era apparsa la misteriosa striscia nera, un momento in cui il suo cuore aveva ansimato di gioia. Poi l'immagine corazzata d'argento e con la spada insanguinata si era andata facendo un poco più vaga, e camminava sì ancora verso di lui, ma in realtà non riusciva più ad avvicinarsi, ad accorciare la breve eppure infinita distanza.
La ragione è che Filimore ha aspettato già troppo, e a una certa età sperare costa grande fatica, non si ritrova più la fede di quando si aveva venti anni. Troppo tempo egli ha aspettato invano, i suoi occhi hanno letto troppi ordini del giorno, per troppe mattine i suoi occhi hanno visto quella maledetta pianura sempre deserta. E adesso che sono apparsi gli stranieri, ha la netta impressione che debba esserci uno sbaglio (troppo bello altrimenti) ci deve proprio essere sotto un madornale sbaglio.
Intanto la pendola di fronte allo scrittoio continuava a macinare la vita, e le magre dita del colonnello, asciugate dagli anni, si ostinavano a ripulire, con l'aiuto del fazzoletto, i vetri degli occhiali, sebbene non ce ne fosse bisogno.
Le lancette della pendola si approssimavano alle ore dieci e mezzo e allora nella sala entrò il maggiore Matti, per ricordare al comandante che c'era rapporto ufficiali. Filimore se n'era dimenticato e ne fu sgradevolmente sorpreso: gli sarebbe toccato parlare degli stranieri apparsi nella pianura, non avrebbe potuto più rinviare la decisione, avrebbe dovuto definirli ufficialmente nemici, oppure scherzarci sopra, oppure tenere una via di mezzo, ordinare misure di sicurezza e nello stesso tempo mostrarsi scettico, come se non ci fosse da montarsi la testa. Ma una decisione bisognava pur prenderla, e ciò gli dispiaceva. Egli avrebbe preferito continuare l'attesa, rimanere assolutamente immobile, quasi a provocare il destino affinché si scatenasse davvero.
Il maggiore Matti gli disse, con uno dei suoi ambigui sorrisi: "Pare che ci siamo, stavolta!". Il colonnello Filimore non rispose. Il maggiore disse: "Se ne vedono arrivare degli altri, adesso. Tre file sono, si possono vedere anche di qua". Il colonnello lo guardò negli occhi e arrivò, per un attimo, quasi a volergli bene. "Ne arrivano ancora, lei dice?"
"Anche di qua si possono vedere signor colonnello, sono parecchi oramai. " Andarono alla finestra e sul triangolo visibile della pianura settentrionale scorsero nuove piccole strisce nere in movimento; non più una come all'alba, ma tre affiancate, e non se ne distingueva la fine.
La guerra, la guerra pensò il colonnello e invano cercava di scacciarne il pensiero, come se fosse desiderio proibito. Alle parole del Matti la speranza si era risvegliata ed ora lo riempiva di orgasmo.
Turbinandogli così la mente, il colonnello si trovò ad un tratto nella sala delle riunioni, dinanzi a tutti gli ufficiali schierati (eccetto quelli in servizio di guardia). Sopra la macchia azzurra delle divise splendevano di pallore facce singolari, ch'egli stentava a riconoscere; giovani o avvizzite esse gli dicevano tutte la stessa cosa, con gli occhi accesi di febbre chiedevano avidamente a lui il formale annuncio che erano giunti i nemici. Diritti sull'attenti, tutti lo fissavano, con la pretesa di non essere defraudati. Nel grande silenzio della sala si udiva soltanto il respiro fondo degli ufficiali. E il colonnello capì che doveva parlare. Fu in quegli attimi che si sentì invadere da un sentimento nuovo e sfrenato. Con meraviglia, senza scorgerne le ragioni, Filimore ebbe l'improvvisa certezza che gli stranieri erano veramente nemici, determinati a forzare il confine. Non capiva proprio come fosse successo, lui che fino a un momento prima aveva saputo vincere la tentazione di credere. Si sentiva come trascinar via dalla comune tensione degli animi, capiva che avrebbe parlato senza riserve. "Signori ufficiali" avrebbe detto "ecco giunta finalmente l'ora che aspettiamo da molti anni. " Questo avrebbe detto, o qualche cosa di simile, e gli ufficiali avrebbero ascoltato con gratitudine le sue parole, autorevole promessa di gloria.
In questo senso egli stava oramai per parlare, ma ancora, dai recessi del suo animo, si ostinava una voce contraria. "È impossibile, colonnello" diceva questa voce "sta' attento fino a che sei in tempo, c'è uno sbaglio (troppo bello altrimenti), sta' attento perché c'è sotto un madornale sbaglio."
Nella commozione che lo stava invadendo, affiorava ogni tanto questa voce nemica. Ma era tardi, l'indugio cominciava a farsi imbarazzante. E il colonnello fece un passo avanti, alzò la testa come era sua abitudine quando cominciava a parlare, e gli ufficiali videro che il suo volto si faceva improvvisamente rosso: sì, il signor colonnello arrossiva come un bambino, perché stava per confessare il geloso segreto della propria vita. Era delicatamente arrossito come un bambino e le labbra stavano per emettere il primo suono, quando la voce ostile si ridestò dal fondo dell'animo e Filimore ebbe un tremito di sospensione. Gli parve allora di udire un passo precipitoso che saliva le scale, che si approssimava alla sala dove essi erano riuniti. Nessuno degli ufficiali, tutti tesi al loro comandante, se n'accorse, ma le orecchie di Filimore in tanti anni si erano addestrate a distinguere le minime voci della Fortezza. Il passo si avvicinava, non c'era dubbio, con inconsueta precipitazione. Aveva un suono estraneo e squallido, un suono da ispezione amministrativa; veniva direttamente, si sarebbe detto, dal mondo della pianura. Il rumore giungeva ora distinto anche agli altri ufficiali e li ferì volgarmente nell'animo, senza che si potesse dire il perché. Si aprì alla fine la porta e comparve uno sconosciuto ufficiale dei dragoni, che ansimava dalla fatica, coperto di polvere. Si piantò sull'attenti. "Tenente Fernandez" disse "del settimo dragoni. Porto questo messaggio dalla città, da parte di Sua Eccellenza il capo di Stato Maggiore. " Reggendo elegantemente il suo lungo berretto con il braccio sinistro piegato ad arco, si avvicinò al colonnello e gli consegnò una busta sigillata.
Il Filimore gli strinse la mano. "Grazie, tenente" disse "deve aver fatto una bella corsa, mi pare. Il collega Santi, adesso, l'accompagnerà a rinfrescarsi un poco. " Senza far trasparire neppur l'ombra dell'inquietudine, il colonnello fece un cenno al tenente Santi, il primo che gli era capitato sott'occhio, invitandolo a far gli onori di casa. I due ufficiali uscirono e la porta fu richiusa. "Permettete, non è vero? " chiese con un sorriso sottile Filimore, facendo vedere la busta, ad indicare che preferiva leggerla addirittura. Le sue mani staccarono delicatamente i sigilli, strapparono un lembo, tolsero un doppio foglio, coperto tutto di scrittura.
Gli ufficiali lo fissavano mentre leggeva, cercando di vedere riflesso nel suo volto qualche cosa. Invece niente. Come se avesse scorso un giornale dopo cena, seduto al camino, in una letargica sera d'inverno. Solo il rossore era scomparso dalla faccia asciutta del comandante. Come ebbe finito di leggere, il colonnello piegò il doppio foglio, lo introdusse nuovamente nella busta, si mise la busta in tasca e alzò la testa, facendo segno che stava per parlare. Si sentiva nell'aria che qualcosa era successo, che l'incanto di poco prima era stato spezzato. "Signori ufficiali" disse e la voce faceva grande fatica. "C'è stata stamane fra i soldati, se non mi sbaglio, una certa eccitazione, e anche fra voi, se non mi sbaglio, a motivo di reparti avvistati nella cosiddetta pianura dei Tartari."
Le sue parole si aprivano con stento una via nel profondo silenzio.
Una mosca volava su e giù per la sala.
"Si tratta" continuò "si tratta di reparti dello Stato del Nord incaricati di stabilire la linea di confine, come venne fatto da noi molti anni addietro. Essi perciò non verranno dalla parte della Fortezza, probabilmente si distenderanno in gruppi, scaglionandosi per le montagne. Così mi comunica ufficialmente in questa lettera Sua Eccellenza il capo di Stato Maggiore."
Il Filimore parlando mandava lunghi sospiri, non moti di impazienza o dolore, ma sospiri esclusivamente fisici, come è proprio dei vecchi; e simile a quella dei vecchi pareva essersi fatta d'improvviso la sua voce, per certe flaccidità cavernose, e ugualmente i suoi sguardi, divenuti giallastri e opachi.
Se l'era sentita fin da principio, il colonnello Filimore. Non potevano essere nemici, lo sapeva bene: lui non era nato per la gloria, tante volte si era stupidamente illuso. Perché - si domandava con rabbia - perché si era lasciato ingannare? Se l'era sentita fin da principio che doveva finire così. "Come loro sanno" continuò con accento troppo apatico per non riuscire estremamente amaro "i cippi di confine e gli altri segni di demarcazione sono stati da noi già fissati anni addietro. Resta però, come mi informa Sua Eccellenza, un tratto non ancora definito. Manderò a completare il lavoro un certo numero di uomini al comando di un capitano e di un subalterno. È una zona montagnosa, con due o tre catene parallele. È superfluo aggiungere che sarebbe bene portarsi più avanti che sarà possibile, assicurarsi il ciglione settentrionale. Non che strategicamente sia essenziale, se ben loro mi capiscono, perché lassù una guerra non potrà mai avere sviluppi né offrire possibilità di manovra…" si interruppe un momento perdendosi in qualche pensiero. "Possibilità di manovra, dove ero dunque rimasto? " "Diceva che bisogna portarsi avanti il più possibile…" suggerì il maggiore Matti con compunzione sospetta.
"Ah, già: dicevo che bisognerebbe portarsi avanti il più possibile. Purtroppo la cosa non è facile: noi ci troviamo oramai in ritardo su quelli del nord. Comunque… Bè, se ne parlerà più tardi" concluse rivolgendosi al tenente colonnello Nicolosi.
Tacque e sembrava affaticato. Egli aveva visto sulle facce degli ufficiali scendere, mentre lui parlava, un velo di delusione, li aveva visti, da guerrieri ansiosi di lotta, ridiventare incolori ufficiali di guarnigione. Ma erano giovani, pensava, loro facevano ancora in tempo.
"Bene" proseguì il colonnello. "Mi duole adesso dover fare un rimarco che riguarda parecchi di loro. Ho notato più di una volta che al cambio della guardia alcuni plotoni si presentano nel cortile non accompagnati dai rispettivi ufficiali. Questi ufficiali evidentemente si ritengono autorizzati a giungere più tardi…"
La mosca volava su e giù per la sala, la bandiera sul tetto del forte si era afflosciata, il colonnello parlava di disciplina e di regolamenti, nella pianura del nord avanzavano schiere di armati, non più nemici avidi di battaglia ma soldati innocui come loro, non lanciati a sterminio bensì a una specie di operazione catastale, i loro fucili erano scarichi, le daghe senza filo. Giù per la pianura del nord dilaga quella inoffensiva parvenza di armata e nella Fortezza tutto ristagna di nuovo nel ritmo dei soliti giorni.