XIX puntata
Da Mosca La Voce della Russia!
"1812.
La Bufera napoleonica" . XIX puntata del ciclo a cura di Dmitrij Mincenok. Nell'agosto del 1812 l'imperatore Alessandro emanò due manifesti, uno indirizzato al popolo russo e l'altro alla città di Mosca, due documenti che non lasciavano alcun dubbio sulla volontà del sovrano di trasformare quel conflitto in una guerra nazionale.
Sulle linee nemiche furono lanciati dei volantini a firma del comandante in capo De Tolle che irritarono parecchio Napoleone in quanto vide in questa mossa una manifestazione di disonestà.
In essi francesi e tedeschi venivano esortati ad abbandonare le loro bandiere e passare al nemico. La Russia si sarebbe curata di loro. In effetti quello non era un passo isolato perché una certa pressione ideologica fu esercitata in continuazione. Quella era stata una idea di Jakob Ivanonovic de Sanglen, un francese al servizio di Sua Maestà che aveva come suo diretto superiore un altro francese, De Tolle.
A de Sanglen viene attribuita la nascita della polizia segreta russa che in quella fase della guerra ebbe il suo da fare. Secondo le testimonianze di alcuni ufficiali francesi sarebbero nate alcune bande armate che costituite da disertori francesi e contadini russi in fuga dai loro padroni, avrebbero compiuti atti di brigantaggio nelle retrovie dell'esercito francese. Il maggiore Everts, dell'armata di Davout così scrisse nel 1812.
"Nei 30 giorni che precedettero la presa di Minsk non vedemmo nemmeno un tozzo di pane." Il generale von Sheler aggiungeva: "Dalla Vistola a Mosca non ricevemmo alcuna forma di approvvigionamento dall'esercito, nemmeno una libra di carne, un pezzo di pane o un bicchiere di cognac. Nell'immensità della Russia i carriaggi erano sempre in ritardo.
Si rimediava con lo sciacallaggio. In questo erano bravi francesi e polacchi che quando riuscivano a mettere le mani sui viveri trasportavano tutto nel reggimento e là dividevano. I bavaresi invece prima si abbuffavano e quello che rimaneva lo portavano ai commilitoni. Ma veramente Napoleone poteva temere una diserzione di massa?
Gli alti comandi dell'esercito russo al 70% erano rappresentati da tedeschi, svedesi e francesi. Sin dai tempi di Pietro il Grande la corte degli zar era una società cosmopolita in cui gli stranieri la facevano da padrone. L'invito a cambiare casacca per i soldati francesi era assurdo e ridicolo, ma per i generali il pericolo era reale.
È significativo il caso del generale francese Jomini che nel 1813 passò al servizio dell'imperatore russo perché gli era stata rifiutata la promozione a generale di divisione.In Russia egli godette di grande popolarità nei salotti e anche come teorico militare. Il poeta Denis Davidov, l'ussaro che si coprì di gloria per le sue scorrerie nelle retrovie napoleoniche, gli dedicò un epigramma : " Jominì, Jominì, di te si parla in continuazione, ma non bevi vodka senza benedizione".
Secondo i suoi aiutanti Napoleone avrebbe così reagito all'invito a passare di campo che De Tolle aveva rivolto ai suoi generali: " Mio fratello Alessandro ha perso ormai ogni ritegno, io potrei rispondergli liberando la servitù della gleba.
Quelle non erano parole vuote, perché Napoleone avrebbe potuto veramente fomentare e organizzare una rivolta contadina, come lo si vide nell'autunno del 1812.
Il che smonta il mito della cosiddeta guerra di popolo contro Napoleone. La cosiddetta protesta popolare era infatti organizzata dall'alto perché nessuno poteva contare su un popolo sordo e schiavo e poi a Pietroburgo si guardava con terrore ad ogni forma di rivolta popolare, " insulsa e spietata".
Il ricordo di Emeljan Pugaciov era ancora vivo. Adam de Caulaicourt scrisse nelle sue memorie.
Con la speranza di costringere i russi ad accettare battaglia Napoleone si mosse su Vitebsk. Secondo le sue informazioni egli pensava di cogliere di sorpresa l'armata di Bagration. Lungo la strada egli si fermò a Bescenkovici, una cittadina lituana ( oggi bielorussa ) allora famosa per le sue polpette. I quell'occasione l'imperatore si accorse di ciò che i suoi uomini avevano già visto nei due giorni precedenti. Il paese era deserto e gli abitanti avevano abbandonato le loro case. E sembrava che quell'esodo fosse stato organizzato in modo sistematico, secondo le disposizioni impartite dal governo russo. Napoleone rideva sprezzante di Alessandro che aveva tanto sottovalutato la forza del suo esercito.
Di regola egli aggiungeva: " Quando non siete il più forte bisogna essere un ottimo diplomatico e per Alessandro la diplomazia deve consistere nel porre fine alla guerra. Ma porre fine alla guerra non era cosa facile.
Nel primo centenario di Borodino, nel 1912, furono pubblicate alcune memorie di grande interesse, in cui si vede che di tanto in tanto in Alessandro sorgeva la tentazione di chiedere la pace.
Ma quelli erano pensieri dettati da una debolezza temporanea che egli subito respingeva. Fra l'altro egli pensava che se avesse capitolato i suoi cortigiani gli avrebbero fatto fare la stessa fine del padre assassinato. La nobiltà russa non avrebbe mai accettato una pace vergognosa. Fra gli storici stranieri è popolare la tesi che Napoleone in Russia sarebbe stato battuto dal freddo, dimenticando che invece, in estate, egli stato colpito da un caldo senza precedenti.
Gli uomini della Guardia, che con Napoleone erano stati in Egitto, dicevano che in Lituania, l'odierna Bielorussia, ci sarebbe stato lo stesso caldo, comunque sopportabile. Con carta e matita si vede chiaramente che Napoleone perse in estate un quarto dei suoi effettivi e senza che fosse stato sparato un solo colpo.
Alla grande battaglia di Borodinò mancava poco più di un mese.
Avete ascoltato la XIX puntata del ciclo "1812.
La bufera napoleonica" a cura di Dmitrij Mincenok.