XX puntata
Da Mosca La Voce della Russia!
"1812.
La Bufera napoleonica" . XX puntata del ciclo a cura di Dmitrij Mincenok. Noi conosciamo tanti dettagli delle guerre del XX secolo grazie alle cronache cinamatografiche.
Nell'epoca napoleonica toccava ai pittori quella funzione e sappiamo che Bonaparte li portava sempre con se nelle sue campagne. A loro dobbiamo quanto conosciamo della campagna di Russia. All'Ermitage di San Pietroburgo troviamo un quadro su cui lo sguardo si poserebbe distratto se non sapessimo che il suo autore è Albrecht Adam, un uomo che per l'Armata di Napoleone esercitò il ruolo di testimone oculare che per l'Armata Rossa ebbe Roman Karmen durante la Grande Guerra Patriottica del '41- ‘45.
Adam era un tedesco che da ragazzino doveva essere mandato a bottega da un pasticciere.
Ma divenne un artista che fece della forza e della grazia i suoi elementi di punta. Il suo è un occhio pedante che ritrae fedelmente la realtà facendo di lui un autentico testimone oculare. Nella pittura rappresenta un via di mezzo fra il ragioniere e il notaio. Egli riportò dalla Russia una ottantina di bozzetti sulla vita della Grande Armee.
Egli assistette alla presa di Vitebsk e di Smolensk, all'incendio di Mosca e alla tragica ritirata della Beresina. Di quei giorni ci ha lasciato anche un diario che può essere considerato una testimonianza complementare ai quadri.
Questi devono essere " letti " come un rapporto cifrato inviato dal campo nemico. Sono quadri che incutono timore per l'incredibile dovizia dei particolari. Nella tela sulla Battaglia di Smolensk vediamo i fucilieri francesi e alla loro testa uno strano cavalleggero che vestito in modo stravagante carocolla disinvolto dinanzi ai nostri cosacchi.
Si tratta del Maresciallo Murat, il Re di Napoli, il condottiero più amato, ovviamente dopo Napoleone.
Un condottiero stravangante, amato, ma irresponsabile.
Nei primi mesi della campagna di Russia fu ad un passo dal distruggere la cavalleria francese. Messosi all'inseguimento dell'Armata di De Tolli a tutte le domande di Napoleone sulle sue condizioni per parecchio tempo rispose sempre che i cavalli erano ben assistiti e sazi e i cavalleggeri entusiasti e contenti. Quella invece era una menzogna pericolosa che trascinò la cavalleria e Napoleone al limite di un precipizio. Un giorno il capo del suo stato maggiore gli impose di dire la verità all'imperatore.
E così egli seppe che la cavalleria si andava sciogliendo come neve al sole. Che i lunghi trasferimenti a passo forzato avevano minato quel corpo famoso, che i cavalli non erano più in grado di andare alla carica. Napoleone fu trascinato dall' ira e dalla rabbia e gridò che nessuno lo avrebbe mai fermato.
Sin da Vilnus Napoleone aveva preso la decisione di non parlare a nessuno dei suoi piani.
Gli sembrava che fosse l'unico modo per evitare la fuga di notizie. Ma in questo modo volutamente si tagliò fuori dalle informazioni in mano ai suoi sottoposti, specialmente sullo spinoso problema degli approvigionamenti. Armand de Caulaincourt, annalista della campagna di Russia scrive: "Lasciammo la Lituania con carriaggi carichi oltre ogni misura.
Sulle terribili strade della Russia le ruote si spaccavano obbligandoci ad abbandonare enormi carichi preziosi". I carri dell'esercito francese erano costruiti per strade lastricate e men che mai per un paese quasi privo di strade.
I tratturi di sabbia dell'odierna Bielorussia provocarono un disastro mai visto. Poi fecero la loro parte gli ufficiali della sussistenza che sistemarono sui carri un carico doppio pensando che si sarebbero scaricati man mano che si procedeva.
Ma non si tenne conto che bisognava superarare comunque delle grandi distanze prima di poter attingere a quei rifornimenti. I primi carichi ad essere abbandonati furono quelli di acquavite e vino.
E il vino in una spedizione militare non è soltanto un rilassante, ma un potente antisettico. In mancanza di acqua potabile i francesi erano costretti a bere finanche nei pantani.
Era estate, il caldo soffocante, la dissenteria, condizioni igieniche terribili. Tutto questo rappresentava un nemico forte e invisibile che nemmeno il genio di Napoleone riusciva a sconfiggere. Intanto il maresciallo Murat e il generale Eugene de Beauharnais, suo figliastro, presso il quale si trovava il pittore Albreckt Adam, continuavano ad affermare che alla vittoria definitiva mancavano pochi giorni soltanto.
Continuava l'avanzata delle truppe francesi all'interno di quella terra misteriosa che era la Russia.
Una avanzata che non somigliava affatto a quella di un vincitore. Ecco come Adam descrive l'avventura della Guardia italiana. "Calzavano grandi elmi per imitare i legionari romani. Molti cavalleggeri assonnati urtavano contro i rami degli alberi, gli elmi cadevano a terra o pendevano appesi alle cinghiette, non pochi venivano disarcionati. E nessuno sapeva quanti di loro avrebbero rivisto la patria". Alla Battaglia di Borodino mancavano 21 giorni.
Avete ascoltato la XX puntata del ciclo "1812.
La bufera napoleonica" a cura di Dmitrij Mincenok.