Stagione 4 - Episodio 8 (1)
Ci sono tante cose che non sappiamo delle elezioni presidenziali americane del prossimo novembre, e non solo perché mancano sette mesi al 3 novembre. Il punto è che non sappiamo come sarà il mondo tra sette mesi, e quindi non sappiamo nemmeno come sarà l'America. Non sappiamo in che modo la pandemia condizionerà la campagna elettorale, e in che modo condizionerà fisicamente le stesse operazioni di voto. Gli americani andranno a votare come sempre, facendo lunghe code in seggi anche molto affollati? Oppure sarà necessario votare per posta, come già oggi è possibile fare in alcuni stati? In caso di voto per posta, bisognerà fare richiesta della scheda elettorale o la si riceverà automaticamente? Quali saranno le conseguenze sull'affluenza? Come fare per evitare irregolarità? E quanto tempo sarà necessario per lo scrutinio? Cambieranno le regole per iscriversi nelle liste elettorali, e quindi poter partecipare al voto? E i candidati potranno organizzare incontri e comizi?
Anche se non conosciamo le risposte a queste domande, possiamo essere ragionevolmente certi di una cosa: nella politica americana oggi non esiste la collaborazione necessaria tra le parti per arrivare a queste risposte con delle decisioni condivise. E sapete cosa vuol dire? Vuol dire che le risposte a queste domande, con ogni probabilità, non arriveranno dal governo o dal Congresso. Le cose che deciderà la Camera saranno osteggiate dal Senato, le cose che deciderà il Congresso saranno osteggiate dall'amministrazione, le cose che deciderà l'amministrazione saranno osteggiate dai singoli stati. Dove arriverà quindi la palla, chi decidera? I tribunali. Ci aspettano mesi di decisioni e contro-decisioni, di ricorsi e di appelli, in cui le scelte più importanti alla fine potrebbero essere prese non nelle stanze nella politica ma nei tribunali federali, se non addirittura alla Corte Suprema. Sarebbe una cosa nuova ma non completamente inedita. Non bisogna andare troppo lontano per trovare un'altra elezione presidenziale americana il cui esito è stato deciso dalla Corte Suprema. Siamo nel 2000. In Italia il presidente del Consiglio si chiama Giuliano Amato e le persone pagano ancora usando le lire. L'ingresso nel nuovo millennio è stato una festa globale di entusiasmo e speranza. Sugli aerei si possono ancora portare i liquidi nel bagaglio a mano e l'unica vera forte preoccupazione ha a che fare con la diffusione di una malattia degenerativa e irreversibile che colpiva i bovini, soprannominata “mucca pazza”. Anche negli Stati Uniti si guarda al futuro con fiducia: il tasso di disoccupazione è sceso fino al 3,8 per cento, il livello più basso dal 1969. Il numero degli occupati non è mai stato così alto, e il Vermont è diventato il primo stato a legalizzare le unioni civili tra le persone dello stesso sesso. È stata pubblicata l'ultima striscia dei Peanuts, a causa della morte di Schulz, e i Rage Against The Machine hanno improvvisato un concerto davanti alla borsa di Wall Street per girare il video di Sleep Now In The Fire, diretto da Michael Moore, portando a un gran casino e all'interruzione delle contrattazioni. Il clima generale rispetto al futuro è ottimista, in quegli anni. La fine della Guerra fredda e la caduta dell'Unione Sovietica sono ormai lontane, e hanno portato un pezzo significativo dell'Europa dentro una fase di crescita economica e allargamento dei diritti democratici. Le guerre in Jugoslavia sono finite. La Cina e gran parte dell'Africa hanno cominciato a far uscire milioni di persone dalla povertà. L'Europa sta per fare un passo grande e ambizioso, decidendo di usare una sola moneta. L'arrivo di una cosa chiamata Internet nelle case delle persone fa immaginare un futuro di comunicazioni più semplici e relazioni fruttuose tra posti molto lontani e persone molto diverse. Il terrorismo internazionale si sta già facendo sentire ma deve ancora traumatizzare il mondo con gli attentati dell'11 settembre del 2001. È in questa atmosfera che negli Stati Uniti ci si prepara alle elezioni di novembre. Nei due mandati trascorsi alla Casa Bianca dal presidente uscente, Bill Clinton, l'economia americana è cresciuta con grande solidità, portando a un fortissimo aumento dell'occupazione, delle opportunità e della prosperità: pensate che il problema economico più discusso, in quel momento, era come utilizzare i soldi del surplus di bilancio. I soldi che il governo federale aveva incassato in più del previsto, e che non sapeva come spendere. In un contesto del genere uno dei candidati alla presidenza non poteva che essere il vice del presidente uscente, Al Gore, ex senatore del Tennessee, candidato col Partito Democratico. Il suo sfidante era George W. Bush, governatore del Texas e figlio dell'ex presidente George H. W. Bush, che era stato sconfitto proprio da Clinton nel 1992. Il fatto che gli Stati Uniti in quel momento non avessero grandi problemi economici portò a una campagna elettorale per una volta molto proiettata sul futuro: si discuteva di come usare il surplus di bilancio, di come riformare la sanità e la previdenza sociale. Sia Gore che Bush volevano tagliare le tasse, e i soldi per farlo c'erano, ma volevano farlo in modo molto diverso. Al Gore sosteneva che bisognasse continuare il lavoro fatto negli anni di Clinton, e che lui fosse la persona migliore per farlo visto che era stato vicepresidente per otto anni. George W. Bush sosteneva che negli anni di Clinton l'amministrazione avesse esagerato con l'interventismo in politica estera, soprattutto nei Balcani: un'accusa ironica, tenendo conto di come sarebbero andate poi le cose durante la sua presidenza. In quegli anni nella politica americana si stava già cominciando a osservare la progressiva radicalizzazione dei due partiti, e lo scontro tra i Democratici e i Repubblicani al Congresso era diventato molto aggressivo. Come ricorderete si era arrivati persino all'impeachment del presidente Clinton, e a un certo punto il governo federale aveva dovuto sospendere ogni sua attività per via del mancato raggiungimento di un accordo sul bilancio. Bush sosteneva che rieleggere Gore avrebbe riprodotto le stesse tensioni viste in quegli anni, mentre lui sarebbe stato in grado di far lavorare il Congresso e porsi come mediatore tra Democratici e Repubblicani: la sua ideologia politica fu chiamata dai media “conservatorismo compassionevole”, perché Bush era sì un conservatore ma nei suoi discorsi parlava spesso di come tutelare i più deboli, e non aveva posizioni particolarmente radicali sull'immigrazione. Inoltre era molto efficace in campagna elettorale, grazie a una caratteristica che oggi possiamo rivedere in parte in Joe Biden: era molto a suo agio quando era circondato dagli elettori, dalle persone comuni, mostrando calore, umanità e senso dell'umorismo; questo ogni tanto lo portava a fare delle gaffe, degli errori, a dire delle cose che avrebbe dovuto evitare, mettendosi nei guai ma costruendosi allo stesso tempo la fama di politico schietto e che dice le cose come stanno. Dal canto suo la posizione di Gore non era semplice, innanzitutto perché i suoi rapporti personali con Clinton non erano ottimi. Nel suo comitato esisteva il timore che se fosse apparso troppo vicino al presidente, gli americani lo avrebbero percepito come un personaggio comprimario, come un vassallo di Clinton, e non come una figura autonoma. Gore scelse quindi come vice il senatore Joe Lieberman, probabilmente il parlamentare del partito più critico con Clinton, nel tentativo di presentarsi come un personaggio nuovo e indipendente anche se aveva passato otto anni alla Casa Bianca. Poi c'era il suo carattere, molto diverso da quello di Bush: Gore era un personaggio altero, schivo, privo di grande autoironia e non completamente a suo agio in mezzo agli elettori. Al Gore sembrava uno molto convinto di sé, forse persino un po' troppo: venne molto preso in giro quando sembrò volersi prendere parte del merito dell'invenzione di internet. C'era poi un terzo candidato, l'ambientalista Ralph Nader, che secondo i sondaggi raccoglieva un numero minoritario ma significativo di consensi, sottraendoli soprattutto ad Al Gore: come spesso accade quando si va a votare dopo che la presidenza è stata occupata per otto anni dallo stesso partito, gli elettori di quel partito non erano particolarmente motivati. Gli elettori del partito che ha passato otto anni al governo non hanno l'entusiasmo di chi vuole tornare al potere, e di solito durante quegli otto anni ha trovato almeno qualche motivo per essere deluso. Si arrivò quindi al voto di novembre in una situazione di grande equilibrio, con i sondaggi che non permettevano di dire chiaramente chi fosse il favorito. Ci si attendeva un'elezione equilibrata, ma nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo. Quando si parla del sistema politico americano, infatti, c'è una cosa che si dice sempre: la sera delle elezioni, in America, si conosce già il nome del vincitore. Ed è vero: per come è costruito il sistema politico americano, e per come funziona la sua legge elettorale, nella grandissima parte dei casi a poche ore dalla chiusura dei seggi è chiaro chi ha vinto le elezioni. Perché dico “nella grandissima parte dei casi”: perché nel 2000 le cose andarono diversamente.
Tenete conto che negli Stati Uniti i seggi non chiudono tutti alla stessa ora, perché ci sono sei fusi orari diversi nel paese, e comunque ogni è stato è libero di decidere gli orari in cui è possibile votare. Quindi è normale e consueto che quando in Kansas si chiudono i seggi e comincia lo spoglio, per esempio, in Colorado si stia ancora votando.
Qui dobbiamo dire un'altra cosa importante. Se vi è capitato di seguire almeno un pezzo di una notte elettorale americana in diretta, magari guardando la CNN, vi sarete accorti che col passare delle ore gli stati vengono assegnati all'uno o all'altro candidato. Cosa significa il fatto che la CNN dica – come avete appena ascoltato – che un candidato ha vinto in Oklahoma e che un altro candidato ha vinto in Nevada? Vuol dire che quello stato ha comunicato il risultato ufficiale? No. Vuol dire che lo scrutinio è finito? Nemmeno. Vuol dire che lo scrutinio è arrivato a buon punto, e quindi possiamo sbilanciarci su chi sarà il vincitore? A volte, ma non sempre. Ci sono stati che vengono assegnati a uno o all'altro candidato nell'istante in cui si chiudono i seggi. Com'è possibile? Vediamo di capire di cosa parliamo.
Le elezioni americane funzionano come ogni altra elezione, naturalmente: si contano i voti in ogni seggio, man mano che lo scrutinio va avanti vengono diffusi i risultati parziali, lo stato raccoglie i risultati di tutti i seggi e quando lo scrutinio finisce annuncia il risultato ufficiale. Naturalmente questa procedura ha dei tempi piuttosto lunghi: ci possono essere delle contestazioni su alcune schede, se il risultato è molto equilibrato bisogna fare qualche verifica, e se ci sono persone che hanno votato per posta, lo scrutinio può durare molte ore in più. Pensate che alle elezioni del 2016 lo scrutinio in California durò tre settimane. Siccome vogliamo tutti sapere prima di tre settimane chi ha vinto le elezioni, e nella maggior parte dei casi ci sono gli elementi per capirlo prima che lo scrutinio finisca, i network televisivi e le testate giornalistiche fanno quella cosa nota come “calling election results”. Che vuol dire, in pratica, fare delle previsioni su chi vincerà, quando pensano di avere abbastanza elementi per poterlo dire.
Queste previsioni vengono fatte sulla base della storia elettorale di ogni stato, del risultato degli exit poll e del risultati parziali dello spoglio: a volte il risultato è così netto, e la storia di quello stato così chiara, che la previsione viene fatta nel momento in cui chiudono i seggi. Non bisogna essere dei maghi per prevedere che nel 2020 Joe Biden vincerà in California e Donald Trump vincerà in Alabama. Altre volte invece l'analisi di questi fattori rende la previsione molto più incerta. È questo il motivo per cui, quando la situazione è molto equilibrata, e i candidati sono troppo vicini tra loro per fare una previsione, si dice che la situazione è “too close to call”.
Questa procedura è molto meno azzardata e spericolata di quanto potrebbe sembrare. L'analisi che porta a fare in diretta queste previsioni è molto scrupolosa e approfondita, non è fatta a naso.