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Il giornalino di Gian Burrasca - Vamba, Capitolo 19

Capitolo 19

14 gennaio.

Il giovane di studio del Maralli è, invece, un vecchio tentennone che sta sempre nella stanza d'ingresso, seduto a un tavolino, con lo scaldino tra le gambe, e scrive sempre, dalla mattina alla sera, sempre copiando e ricopiando le medesime cose... Io non so come fa a non incretinire; ma forse dipende perché è cretino di suo. Eppure mio cognato ha molta fiducia in lui, e ho sentito spesso che l'ha incaricato d'incombenze anche difficili che non so come faccia a disimpegnarle, con quella faccia da Piacciaddìo che si rimpasta... Invece, se il Maralli avesse giudizio, quando ha qualche commissione da sbrigare alla svelta e per la quale c'è bisogno d'un po' d'istruzione e d'intelligenza, dovrebbe affidarla a me, e così piano piano farmi impratichire nella professione e tirarmi su per avvocato. Mi piacerebbe tanto di diventar come lui e d'andar nei tribunali a difendere i birbanti, ma quelli buoni però, cioè che son diventati cattivi per disgrazia e per forza delle circostanze nelle quali si sono trovati, come è successo a me; e lì vorrei fare certi bei discorsi, urlando con tutto il fiato che ho in corpo (e mi par d'averne più di mio cognato) per fare stare zitti gli avversari e far trionfare la giustizia contro la prepotenza delle classi sfruttatrici, come dice sempre il Maralli. Io qualche volta mi trattengo a discorrere con Ambrogio che è appunto il giovane di studio e che è dello stesso mio parere. - L'avvocato Maralli si farà strada, - mi dice spesso - se lei diventasse avvocato troverebbe qui nel suo studio la nicchia bell'e fatta. - Oggi intanto ho incominciato a impratichirmi un poco di processi e di tribunali. Mio cognato era fuori; e Ambrogio a un certo punto ha posato lo scaldino, è uscito di dietro il suo tavolino e mi ha detto: - Che mi potrei fidare di lei, sor Giannino, per un piacere? - Gli ho risposto di sì, e lui allora mi ha detto che aveva da andare un momento a casa sua dove aveva dimenticato certe carte importantissime, che avrebbe fatto presto... - Lei stia qui finché torno io: e chiunque venga lo faccia aspettare... Mi raccomando però; non si muova di qui... Posso star sicuro, sor Giannino? - L'ho rassicurato e mi son messo a sedere dove sta lui, con lo scaldino tra le gambe e la penna in mano. Di lì a poco è entrato un contadino, un tipo buffo con un ombrellone verde sotto il braccio, e che, rigirandosi il cappello tra le mani ha detto: - Che è qui che ho a venire? - Chi cercate? - gli ho domandato. - Del sor avvocato Maralli... - L'avvocato è fuori... ma io sono il suo cognato e potete parlare liberamente... È come se ci fosse lui in persona. E voi chi siete? - Chi sono io? Io son Gosto contadino del Pian dell'Olmo, dove mi conoscono tutti, e anzi mi chiamano Gosto grullo per distinguermi da un altro Gosto che sta nel podere accanto, e sono, come lei saprà, ascritto alla Lega dove pago due soldi tutte le settimane che Dio mette in terra, e il sor Ernesto lo può dire che è il nostro segretario e sa far di conto perché lui non è un contadino come noialtri disgraziati... Sicché i' ero venuto a sentire per quel processo dello sciopero con la ribellione, che deve andare fra due giorni e dove son testimonio, come qualmente il giudice istruttore mi ha mandato a chiamare per farmi l'interrogatorio, ma io prima di andar da lui son venuto qui per sentire come mi devo regolare... - Io non ne potevo più dal ridere, ma mi sono trattenuto, e anzi ho preso un'aria molto seria e gli ho detto: - Come andò il fatto? - Gua'! Il fatto andò che quando noi ci si trovò di fronte ai soldati si cominciò a vociare, e poco dopo Gigi il Matto e Cecco di Merenda cominciarono a tirar sassate e allora i soldati spararono. Ma che le ho a dire queste cose al giudice istruttore? - S'intende esser bestie, ma a questo punto non credevo mai che un contadino ci potesse arrivare. Hanno proprio ragione a chiamarlo Gosto grullo! Come si fa, dico io, a non sapere che in Tribunale i testimoni devono dire la verità, tutta la verità e niente altro che la verità, che sono cose che le sanno anche i bambini d'un anno? Io gli ho detto di dire le cose come stavano, che in quanto al resto poi ci avrebbe pensato il mio cognato. - Ma i compagni di Pian dell'Olmo però mi hanno raccomandato di negare il fatto delle sassate! - Perché sono ignoranti e grulli come voi. Fate come vi dico io: non dite nulla a nessuno di quel che avete fatto, e vedrete che tutto anderà a finir bene. - Gua'!... Lei non è il cognato del sor avvocato Maralli? - Sicuro. - E a discorrer con lei non è lo stesso che discorrer con lui? - Precisamente. - E quand'è così vo via tranquillo e dico come stanno le cose per filo e per segno. Arrivedella e grazie. - E se n'è andato. Io son rimasto molto soddisfatto d'aver sbrigato quest'affare a mio cognato... Pensare che se stessi qui sempre potrei preparare i processi, dare il parere ai clienti ed essergli utile e nello stesso tempo divertirmi chi sa quanto!... Sento proprio d'esser nato per far l'avvocato... Quando è tornato Ambrogio e mi ha domandato se c'era stato nessuno gli ho risposto: - C'è stato un grullo... ma me lo son levato di tra i piedi. - Ambrogio ha sorriso, è tornato al suo posto, s'è messo lo scaldino tra le gambe e la penna tra le dita, e ha ricominciato a scrivere sulla carta bollata... 15 gennaio.

Il signor Venanzio è uggioso, ne convengo, ma ha delle buone qualità. Con me per esempio, è pieno di gentilezze e dice sempre che sono un ragazzo originale e che si diverte un mondo a sentirmi discorrere. È di una curiosità straordinaria. Vuol saper tutto quello che si fa in casa e tutto quello che si dice di lui, e per questo mi dà quattro soldi al giorno. Stamani, per esempio, si è molto interessato ai soprannomi coi quali lo chiamano in casa, e io glie ne ho detti parecchi. Mia sorella Virginia lo chiama vecchio spilorcio, sordo rimbambito, spedale ambulante; il Maralli lo chiama lo zio Tirchio, lo zio Rùdero, e spesso gli dice anche vecchio immortale perché non muore mai. Perfino la donna di servizio gli ha messo il soprannome: lo chiama Gelatina perché trema sempre. - Meno male! - ha detto il signor Venanzio. - Bisogna convenire che, fra tutti, la più gentile verso di me è la serva. La ricompenserò! - E s'è messo a ridere come un matto. 16 gennaio.

Ho già pensato al regalo che debbo fare a mio cognato. Gli comprerò una bella cartella da tenere sulla sua scrivania invece di quella che ha ora, che è tutta strappucchiata e sudicia d'inchiostro. E poi comprerò anche un paio di razzi che manderò dalla terrazza in segno di gioia per esser finalmente diventato un buon ragazzo come desiderano i miei genitori.

17 gennaio.

Ieri mattina me n'è successa una bella. Nel ritornare a casa, dopo aver comprato la cartella per il Maralli e i due razzi, passai dallo studio, e vedendo nella stanza d'aspetto che Ambrogio non c'era e che aveva lasciato sotto il tavolino lo scaldino spento, mi venne l'idea di fargli una sorpresa e gli ci misi dentro i due razzi, nascosti ben bene sotto la cenere. Veramente, se avessi potuto immaginare le conseguenze, questo scherzo non lo avrei fatto; ma come si fa, santo Dio, a immaginarsi le conseguenze che hanno il torto di venir sempre dopo, quando alle cose non c'è più rimedio? Però da qui in avanti voglio pensarci ben bene prima di fare una burla in modo che non mi succeda più di sentirmi dire, come per questo fatto, che io fo gli scherzi di cattivo genere. È stata proprio una faccenda seria, ma per me che sapevo che non c'era pericolo è stata una cosa da morire dal ridere. Io avevo visto Ambrogio andare in cucina ad assettare lo scaldino, come fa tutte le mattine, e naturalmente stavo in vedetta. A un certo punto si è sentito un gran tonfo ed un urlo, e allora mio cognato e due clienti che erano nello studio si sono precipitati nella stanza d'aspetto e son corse pure Virginia e la donna di servizio per vedere quel che era successo. Ma ecco che, quando tutti erano lì riuniti, scoppia nello scaldino un tonfo più grosso di prima, e allora via tutti come pazzi a scappar di qua e di là, lasciando quel povero Ambrogio solo, incastrato fra il tavolino e la seggiola e che non aveva la forza di moversi e balbettava: - Che sarà mai? Che sarà mai? - Io ho cercato di fargli coraggio, dicendogli: - Non è niente di pericoloso... Anzi! Io credo che sieno certi razzi che avevo messo lì per fare un po' di festa... - Ma il povero Ambrogio non capiva più niente e non mi sentiva neppure; però mi ha sentito il Maralli, che dopo essere scappato via con gli altri ora ritornava piano piano e faceva capolino alla porta. - Ah! - ha gridato mostrandomi il pugno - sei stato tu, ancora coi tuoi fuochi d'artifizio? Ma dunque hai giurato proprio di farmi rovinar la casa in capo? - Io allora ho cercato di rinfrancare anche lui dicendogli: - Ma no, via; t'assicuro che non è rovinato altro che uno scaldino... Non è niente, vedi? È stata più la paura che il danno... - Non l'avessi mai detto! Mio cognato è diventato rosso dalla rabbia, e ha incominciato a gridare: - Che paura e non paura, brutto imbecille che non sei altro! Io non ho paura di nulla, per tua regola... ma ho paura a tenerti in casa mia, perché sei un flagello, e vedo che, prima o poi, finiresti col farmi la pelle... - Io allora mi sono messo a piangere e sono scappato in camera mia, dove poco dopo è venuta mia sorella che mi ha fatto una predica d'un'ora, ma poi ha finito col perdonarmi e col persuadere il Maralli a non riportarmi a casa mia per esser mandato in collegio. E io, per dimostrargli la mia gratitudine, stamani prima che egli andasse nello studio, gli ho messo sulla scrivania la cartella nuova che gli comprai, e ho buttato quella vecchia nel caminetto. Speriamo che anche lui mi sia grato della mia gratitudine...

Oggi ho pensato tutto il giorno a correggermi del difetto di fare gli scherzi di cattivo genere, e perciò mi è venuto in mente di farne uno che non può aver nessuna seria conseguenza né recar danno a nessuno. Mentre ero dal signor Venanzio, che tra parentesi si è divertito un mondo al racconto del fatto d'ieri, ho colto il momento in cui aveva posato le lenti sul tavolino e gliele ho prese. Poi sono andato nella stanza d'aspetto, e quando Ambrogio è andato nello studio a parlare col Maralli, lasciando le sue lenti sul tavolino, ho preso anche le sue e sono corso in camera mia. Lì ho rotto una delle due punte di un pennino facendone un piccolo cacciavite; e con questo, svitando i perni delle lenti ho messo quelle d'Ambrogio nei cerchietti d'oro del signor Venanzio e le lenti del signor Venanzio nei cerchietti d'acciaio di Ambrogio, riserrando poi i pernetti con le viti com'eran prima. L'operazione è stata fatta così alla lesta, che ho potuto rimettere le due paia di lenti al loro posto senza che né Ambrogio né il signor Venanzio si fossero accorti della loro mancanza. Non mi par vero dì vedere come anderà a finire questo scherzo che non potrà essere certo giudicato uno scherzo di cattivo genere.

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Capitolo 19 Chapter 19

14 gennaio.

Il giovane di studio del Maralli è, invece, un vecchio tentennone che sta sempre nella stanza d'ingresso, seduto a un tavolino, con lo scaldino tra le gambe, e scrive sempre, dalla mattina alla sera, sempre copiando e ricopiando le medesime cose... Io non so come fa a non incretinire; ma forse dipende perché è cretino di suo. Eppure mio cognato ha molta fiducia in lui, e ho sentito spesso che l'ha incaricato d'incombenze anche difficili che non so come faccia a disimpegnarle, con quella faccia da Piacciaddìo che si rimpasta... Invece, se il Maralli avesse giudizio, quando ha qualche commissione da sbrigare alla svelta e per la quale c'è bisogno d'un po' d'istruzione e d'intelligenza, dovrebbe affidarla a me, e così piano piano farmi impratichire nella professione e tirarmi su per avvocato. Mi piacerebbe tanto di diventar come lui e d'andar nei tribunali a difendere i birbanti, ma quelli buoni però, cioè che son diventati cattivi per disgrazia e per forza delle circostanze nelle quali si sono trovati, come è successo a me; e lì vorrei fare certi bei discorsi, urlando con tutto il fiato che ho in corpo (e mi par d'averne più di mio cognato) per fare stare zitti gli avversari e far trionfare la giustizia contro la prepotenza delle classi sfruttatrici, come dice sempre il Maralli. Io qualche volta mi trattengo a discorrere con Ambrogio che è appunto il giovane di studio e che è dello stesso mio parere. - L'avvocato Maralli si farà strada, - mi dice spesso - se lei diventasse avvocato troverebbe qui nel suo studio la nicchia bell'e fatta. - Oggi intanto ho incominciato a impratichirmi un poco di processi e di tribunali. Mio cognato era fuori; e Ambrogio a un certo punto ha posato lo scaldino, è uscito di dietro il suo tavolino e mi ha detto: - Che mi potrei fidare di lei, sor Giannino, per un piacere? - Gli ho risposto di sì, e lui allora mi ha detto che aveva da andare un momento a casa sua dove aveva dimenticato certe carte importantissime, che avrebbe fatto presto... - Lei stia qui finché torno io: e chiunque venga lo faccia aspettare... Mi raccomando però; non si muova di qui... Posso star sicuro, sor Giannino? - L'ho rassicurato e mi son messo a sedere dove sta lui, con lo scaldino tra le gambe e la penna in mano. Di lì a poco è entrato un contadino, un tipo buffo con un ombrellone verde sotto il braccio, e che, rigirandosi il cappello tra le mani ha detto: - Che è qui che ho a venire? - Chi cercate? - gli ho domandato. - Del sor avvocato Maralli... - L'avvocato è fuori... ma io sono il suo cognato e potete parlare liberamente... È come se ci fosse lui in persona. E voi chi siete? - Chi sono io? Io son Gosto contadino del Pian dell'Olmo, dove mi conoscono tutti, e anzi mi chiamano Gosto grullo per distinguermi da un altro Gosto che sta nel podere accanto, e sono, come lei saprà, ascritto alla Lega dove pago due soldi tutte le settimane che Dio mette in terra, e il sor Ernesto lo può dire che è il nostro segretario e sa far di conto perché lui non è un contadino come noialtri disgraziati... Sicché i' ero venuto a sentire per quel processo dello sciopero con la ribellione, che deve andare fra due giorni e dove son testimonio, come qualmente il giudice istruttore mi ha mandato a chiamare per farmi l'interrogatorio, ma io prima di andar da lui son venuto qui per sentire come mi devo regolare... - Io non ne potevo più dal ridere, ma mi sono trattenuto, e anzi ho preso un'aria molto seria e gli ho detto: - Come andò il fatto? - Gua'! Il fatto andò che quando noi ci si trovò di fronte ai soldati si cominciò a vociare, e poco dopo Gigi il Matto e Cecco di Merenda cominciarono a tirar sassate e allora i soldati spararono. Ma che le ho a dire queste cose al giudice istruttore? - S'intende esser bestie, ma a questo punto non credevo mai che un contadino ci potesse arrivare. Hanno proprio ragione a chiamarlo Gosto grullo! Come si fa, dico io, a non sapere che in Tribunale i testimoni devono dire la verità, tutta la verità e niente altro che la verità, che sono cose che le sanno anche i bambini d'un anno? Io gli ho detto di dire le cose come stavano, che in quanto al resto poi ci avrebbe pensato il mio cognato. - Ma i compagni di Pian dell'Olmo però mi hanno raccomandato di negare il fatto delle sassate! - Perché sono ignoranti e grulli come voi. Fate come vi dico io: non dite nulla a nessuno di quel che avete fatto, e vedrete che tutto anderà a finir bene. - Gua'!... Lei non è il cognato del sor avvocato Maralli? - Sicuro. - E a discorrer con lei non è lo stesso che discorrer con lui? - Precisamente. - E quand'è così vo via tranquillo e dico come stanno le cose per filo e per segno. Arrivedella e grazie. - E se n'è andato. Io son rimasto molto soddisfatto d'aver sbrigato quest'affare a mio cognato... Pensare che se stessi qui sempre potrei preparare i processi, dare il parere ai clienti ed essergli utile e nello stesso tempo divertirmi chi sa quanto!... Sento proprio d'esser nato per far l'avvocato... Quando è tornato Ambrogio e mi ha domandato se c'era stato nessuno gli ho risposto: - C'è stato un grullo... ma me lo son levato di tra i piedi. - Ambrogio ha sorriso, è tornato al suo posto, s'è messo lo scaldino tra le gambe e la penna tra le dita, e ha ricominciato a scrivere sulla carta bollata... 15 gennaio.

Il signor Venanzio è uggioso, ne convengo, ma ha delle buone qualità. Con me per esempio, è pieno di gentilezze e dice sempre che sono un ragazzo originale e che si diverte un mondo a sentirmi discorrere. È di una curiosità straordinaria. Vuol saper tutto quello che si fa in casa e tutto quello che si dice di lui, e per questo mi dà quattro soldi al giorno. Stamani, per esempio, si è molto interessato ai soprannomi coi quali lo chiamano in casa, e io glie ne ho detti parecchi. Mia sorella Virginia lo chiama vecchio spilorcio, sordo rimbambito, spedale ambulante; il Maralli lo chiama lo zio Tirchio, lo zio Rùdero, e spesso gli dice anche vecchio immortale perché non muore mai. Perfino la donna di servizio gli ha messo il soprannome: lo chiama Gelatina perché trema sempre. - Meno male! - ha detto il signor Venanzio. - Bisogna convenire che, fra tutti, la più gentile verso di me è la serva. La ricompenserò! - E s'è messo a ridere come un matto. 16 gennaio.

Ho già pensato al regalo che debbo fare a mio cognato. Gli comprerò una bella cartella da tenere sulla sua scrivania invece di quella che ha ora, che è tutta strappucchiata e sudicia d'inchiostro. E poi comprerò anche un paio di razzi che manderò dalla terrazza in segno di gioia per esser finalmente diventato un buon ragazzo come desiderano i miei genitori.

17 gennaio.

Ieri mattina me n'è successa una bella. Nel ritornare a casa, dopo aver comprato la cartella per il Maralli e i due razzi, passai dallo studio, e vedendo nella stanza d'aspetto che Ambrogio non c'era e che aveva lasciato sotto il tavolino lo scaldino spento, mi venne l'idea di fargli una sorpresa e gli ci misi dentro i due razzi, nascosti ben bene sotto la cenere. Veramente, se avessi potuto immaginare le conseguenze, questo scherzo non lo avrei fatto; ma come si fa, santo Dio, a immaginarsi le conseguenze che hanno il torto di venir sempre dopo, quando alle cose non c'è più rimedio? Però da qui in avanti voglio pensarci ben bene prima di fare una burla in modo che non mi succeda più di sentirmi dire, come per questo fatto, che io fo gli scherzi di cattivo genere. È stata proprio una faccenda seria, ma per me che sapevo che non c'era pericolo è stata una cosa da morire dal ridere. Io avevo visto Ambrogio andare in cucina ad assettare lo scaldino, come fa tutte le mattine, e naturalmente stavo in vedetta. A un certo punto si è sentito un gran tonfo ed un urlo, e allora mio cognato e due clienti che erano nello studio si sono precipitati nella stanza d'aspetto e son corse pure Virginia e la donna di servizio per vedere quel che era successo. Ma ecco che, quando tutti erano lì riuniti, scoppia nello scaldino un tonfo più grosso di prima, e allora via tutti come pazzi a scappar di qua e di là, lasciando quel povero Ambrogio solo, incastrato fra il tavolino e la seggiola e che non aveva la forza di moversi e balbettava: - Che sarà mai? Che sarà mai? - Io ho cercato di fargli coraggio, dicendogli: - Non è niente di pericoloso... Anzi! Io credo che sieno certi razzi che avevo messo lì per fare un po' di festa... - Ma il povero Ambrogio non capiva più niente e non mi sentiva neppure; però mi ha sentito il Maralli, che dopo essere scappato via con gli altri ora ritornava piano piano e faceva capolino alla porta. - Ah! - ha gridato mostrandomi il pugno - sei stato tu, ancora coi tuoi fuochi d'artifizio? Ma dunque hai giurato proprio di farmi rovinar la casa in capo? - Io allora ho cercato di rinfrancare anche lui dicendogli: - Ma no, via; t'assicuro che non è rovinato altro che uno scaldino... Non è niente, vedi? È stata più la paura che il danno... - Non l'avessi mai detto! Mio cognato è diventato rosso dalla rabbia, e ha incominciato a gridare: - Che paura e non paura, brutto imbecille che non sei altro! Io non ho paura di nulla, per tua regola... ma ho paura a tenerti in casa mia, perché sei un flagello, e vedo che, prima o poi, finiresti col farmi la pelle... - Io allora mi sono messo a piangere e sono scappato in camera mia, dove poco dopo è venuta mia sorella che mi ha fatto una predica d'un'ora, ma poi ha finito col perdonarmi e col persuadere il Maralli a non riportarmi a casa mia per esser mandato in collegio. E io, per dimostrargli la mia gratitudine, stamani prima che egli andasse nello studio, gli ho messo sulla scrivania la cartella nuova che gli comprai, e ho buttato quella vecchia nel caminetto. Speriamo che anche lui mi sia grato della mia gratitudine...

Oggi ho pensato tutto il giorno a correggermi del difetto di fare gli scherzi di cattivo genere, e perciò mi è venuto in mente di farne uno che non può aver nessuna seria conseguenza né recar danno a nessuno. Mentre ero dal signor Venanzio, che tra parentesi si è divertito un mondo al racconto del fatto d'ieri, ho colto il momento in cui aveva posato le lenti sul tavolino e gliele ho prese. Poi sono andato nella stanza d'aspetto, e quando Ambrogio è andato nello studio a parlare col Maralli, lasciando le sue lenti sul tavolino, ho preso anche le sue e sono corso in camera mia. Lì ho rotto una delle due punte di un pennino facendone un piccolo cacciavite; e con questo, svitando i perni delle lenti ho messo quelle d'Ambrogio nei cerchietti d'oro del signor Venanzio e le lenti del signor Venanzio nei cerchietti d'acciaio di Ambrogio, riserrando poi i pernetti con le viti com'eran prima. L'operazione è stata fatta così alla lesta, che ho potuto rimettere le due paia di lenti al loro posto senza che né Ambrogio né il signor Venanzio si fossero accorti della loro mancanza. Non mi par vero dì vedere come anderà a finire questo scherzo che non potrà essere certo giudicato uno scherzo di cattivo genere.