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La coscienza di Zeno - Italo Svevo (Zeno's Conscience), 5.11 Storia di un'associazione commerciale

5.11 Storia di un'associazione commerciale

Quella sera non seppi trovare l'Olivi. Era appena uscito dall'ufficio quand'io entrai. Supponevano si fosse recato alla Borsa. Non lo trovai neppure colà e allora mi recai a casa sua ove appresi che si trovava ad una seduta di un'associazione economica nella quale occupava un posto onorifico. Avrei potuto raggiungerlo colà, ma oramai s'era fatto notte, e cadeva ininterrotta una pioggia abbondante che convertiva le vie in tanti ruscelli.

Fu un diluvio che durò per tutta la notte e di cui per lunghi anni non si perdette il ricordo. La pioggia cadeva tranquilla, tranquilla, addirittura perpendicolarmente, sempre nella stessa abbondanza. Dalle alture che circondano la città scese il fango che, associato alle scorie della nostra vita cittadina, andò ad ostruire i nostri scarsi canali. Quando mi decisi a rincasare dopo di aver atteso inutilmente in un rifugio che la pioggia cessasse e quand'ebbi chiara la visione che il tempo s'era assestato nella pioggia e ch'era vano di sperare un mutamento, si camminava nell'acqua anche movendosi sulla parte più alta del selciato. Corsi a casa bestemmiando e fradicio fino alle ossa. Bestemmiavo anche perché avevo perduto tanto buon tempo per rintracciare l'Olivi. Può essere che il mio tempo non sia poi tanto prezioso, ma è sicuro ch'io soffro orrendamente quando posso constatare di aver lavorato invano. E correndo pensavo: «Lasciamo tutto per domani quando sarà chiaro e bello e asciutto. Domani andrò dall'Olivi e domani mi recherò da Guido. Magari mi leverò di buon'ora, ma sarà chiaro e asciutto». Ero tanto convinto della giustezza della mia decisione che dissi ad Augusta che da tutti si era stabilito di rimandare ogni decisione alla dimane. Mi cambiai, mi rasciugai e con le comode e calde pantofole sui piedi torturati, dapprima cenai eppoi mi coricai per dormire profondamente fino alla mattina mentre ai vetri delle mie finestre batteva la pioggia grossa come funi.

Così seppi solo tardi gli avvenimenti della notte. Dapprima apprendemmo che la pioggia aveva finito col provocare in varie parti della città delle inondazioni, poi che Guido era morto.

Molto più tardi seppi come poté accadere una cosa simile. Alle undici di sera circa, quando la signora Malfenti si fu allontanata, Guido avvertì la moglie ch'egli aveva ingoiata una quantità enorme di veronal. Volle convincere la moglie che era condannato. L'abbracciò, la baciò, le domandò perdono di averla fatta soffrire. Poi, ancora prima che la sua parola si convertisse in un balbettio, l'assicurò ch'essa era stata il solo amore della sua vita. Essa non credette per allora né a quest'assicurazione né ch'egli avesse ingoiato tanto veleno da poter morirne. Non credette neppure ch'egli avesse perduti i sensi, ma si figurò che fingesse per strapparle di nuovo dei denari.

Poi, trascorsa quasi un'ora, vedendo ch'egli dormiva sempre più profondamente, ebbe un certo terrore e scrisse un biglietto ad un medico che abitava non lontano dalla sua abitazione. Su quel biglietto scisse che suo marito abbisognava di pronto aiuto avendo ingoiato una grande quantità di veronal.

Fino ad allora non c'era stata in quella casa alcun'emozione che avesse potuto avvisare la fantesca, una vecchia donna ch'era in casa da poco tempo, della gravità della sua missione.

La pioggia fece il resto. La fantesca si trovò con l'acqua a mezza gamba e smarrì il biglietto. Se ne accorse solo quando si trovò alla presenza del dottore. Seppe però dirgli che c'era urgenza e lo indusse a seguirla.

Il dottor Mali era un uomo di circa cinquant'anni, tutt'altro che una genialità, ma un medico pratico che aveva fatto sempre il suo dovere come meglio aveva potuto. Non aveva una grande clientela propria, ma invece aveva molto da fare per conto di una società dai numerosissimi membri, che lo retribuiva poco lautamente. Era rincasato poco prima ed era arrivato finalmente a riscaldarsi e rasciugarsi accanto al fuoco. Si può immaginare con quale animo abbandonasse ora il suo caldo cantuccio. Quando io mi misi ad indagare meglio le cause della morte del mio povero amico, mi preoccupai anche di fare la conoscenza del dottor Mali. Da lui non seppi altro che questo: quando giunse all'aperto e si sentì bagnare dalla pioggia traverso l'ombrello, si pentì d'aver studiato medicina invece di agricoltura, ricordando che il contadino, quando piove, resta a casa.

Giunto al letto di Guido, trovò Ada del tutto calmata. Ora che aveva accanto il dottore, ricordava meglio come Guido l'avesse giocata mesi prima simulando un suicidio. Non toccava più a lei di assumersi una responsabilità, ma al dottore il quale doveva essere informato di tutto, anche delle ragioni che dovevano far credere in una simulazione di suicidio. E queste ragioni il dottore le ebbe tutte come prestava nello stesso tempo l'orecchio alle onde che spazzavano la via. Non essendo stato avvisato che lo si aveva chiamato per curare un caso di avvelenamento, egli mancava di ogni ordigno necessario alla cura. Lo deplorò balbettando qualche parola che Ada non intese. Il peggio era che, per poter imprendere un lavacro dello stomaco, egli non avrebbe potuto mandar a prendere le cose necessarie, ma avrebbe dovuto andar a prenderle lui stesso traversando per due volte la via. Toccò il polso di Guido e lo trovò magnifico. Domandò ad Ada se forse Guido avesse sempre avuto un sonno molto profondo. Ada rispose di sì, ma non a quel punto. Il dottore esaminò gli occhi di Guido: reagivano prontamente alla luce! Se ne andò raccomandando di dargli di tempo in tempo dei cucchiaini di caffè nero fortissimo.

Seppi anche che, giunto sulla via, mormorò con rabbia:

— Non dovrebbe essere permesso di simulare un suicidio con questo tempo!

Io, quando lo conobbi, non osai di fargli un rimprovero per la sua negligenza, ma egli l'indovinò e si difese: mi disse che rimase stupito all'apprendere alla mattina che Guido era morto, tanto che sospettò fosse rinvenuto e avesse preso dell'altro veronal. Poi soggiunse che i profani d'arte medica non potevano immaginare come nel corso della sua pratica il dottore venisse abituato a difendere la sua vita contro i clienti che vi attentavano non pensando che alla loro.

Dopo poco più di un'ora, Ada si stancò di cacciare a Guido il cucchiaino fra' denti e vedendo ch'egli ne sorbiva sempre meno e che il resto andava a bagnare il guanciale, si spaventò di nuovo e pregò la fantesca di recarsi dal dottor Paoli. Questa volta la fantesca tenne da conto il bigliettino. Ma ci mise più di un'ora per raggiungere l'abitazione del medico. È naturale che quando piove tanto si senta il bisogno di tempo in tempo di fermarsi sotto qualche portico. Una pioggia simile non solo bagna, ma sferza.

Il dottor Paoli non era in casa. Era stato chiamato poco prima da un cliente e se ne era andato dicendo che sperava di ritornare presto. Ma poi pare avesse preferito di attendere presso il cliente che la pioggia cessasse. La sua donna di servizio, una buonissima persona in età, fece sedere la fantesca di Ada accanto al fuoco e si preoccupò di rifocillarla. Il dottore non aveva lasciato l'indirizzo del suo cliente e così le due donne passarono insieme varie ore accanto al fuoco. Il dottore ritornò, solo quando la pioggia fu cessata. Quando poi arrivò da Ada con tutti gli ordigni che già aveva esperiti su Guido, albeggiava. A quel letto ebbe un solo compito: celare ad Ada che Guido era già morto e far venire la signora Malfenti prima che Ada se ne accorgesse, per assisterla nel primo dolore.

Per questo la notizia ci pervenne molto tardi e imprecisa.

Levatomi dal letto ebbi per l'ultima volta uno slancio d'ira contro il povero Guido: complicava ogni sventura con le sue commedie! Uscii di casa senza Augusta che non poteva abbandonare il bimbo così su due piedi. Fuori, fui trattenuto da un dubbio! Non avrei potuto attendere che le Banche si aprissero e l'Olivi fosse nel suo ufficio per comparire dinanzi a Guido fornito del denaro che avevo promesso? Tanto poco credevo alla notizia della gravità delle condizioni di Guido che pur m'era stata annunziata!

La verità la ebbi dal dottor Paoli in cui m'imbattei sulle scale. Ne ebbi uno sconvolgimento che quasi mi fece precipitare. Guido, dacché vivevo con lui, era divenuto per me un personaggio di grande importanza. Finché era vivo lo vedevo in una data luce ch'era la luce di parte delle mie giornate. Morendo, quella luce si modificava in modo come se improvvisamente fosse passata traverso un prisma. Era proprio questo che m'abbacinava. Egli aveva sbagliato, ma io subito vidi ch'essendo morto, dei suoi errori non restava niente. Secondo me era un imbecille quel buffone che in un cimitero coperto di epigrafi laudatorie domandò dove si seppellissero in quel paese i peccatori. I morti non sono mai stati peccatori. Guido era ormai un puro! La morte l'aveva purificato.

Il dottore era commosso per aver assistito al dolore di Ada. Mi disse qualche cosa dell'orrenda notte ch'essa aveva passata. Oramai si era riusciti a farle credere che la quantità di veleno ingerita da Guido era stata tale che nessun soccorso avrebbe potuto giovare. Guai se avesse saputo altrimenti!

— Invece - aggiunse il dottore con sconforto - se io fossi arrivato qualche ora prima l'avrei salvato. Ho trovate le boccette vuote del veleno.

Le esaminai. Una dose forte ma poco più forte dell'altra volta. Mi fece vedere alcune boccette sulle quali lessi stampato: Veronal. Dunque non veronal al sodio. Come nessun altro io potevo ora essere certo che Guido non aveva voluto morire. Non lo dissi però mai a nessuno.

Il Paoli mi lasciò dopo di avermi detto che per il momento non cercassi di vedere Ada. Egli le aveva propinati dei forti calmanti e non dubitava che presto avrebbero avuto il loro effetto.

Sul corridoio sentii venire da quella stanzuccia, ove ero stato ricevuto due volte da Ada, il suo pianto mite. Erano parole singole che non intendevo, ma pregne di affanno. La parola lui era ripetuta più volte ed io immaginai quello ch'essa diceva. Stava ricostruendo la sua relazione col povero morto. Non doveva somigliare affatto a quella ch'essa aveva avuta col vivo. Per me era evidente ch'essa col marito vivo aveva sbagliato. Egli moriva per un delitto commesso da tutti insieme perché egli aveva giocato alla Borsa col consenso di tutti loro. Quando s'era trattato di pagare allora l'avevano lasciato solo. E lui s'era affrettato di pagare. Unico dei congiunti io, che veramente non ci entravo, avevo sentito il dovere di soccorrerlo.

Nella stanza da letto matrimoniale il povero Guido giaceva abbandonato, coperto dal lenzuolo. La rigidezza già avanzata, esprimeva qui non una forza ma la grande stupefazione di essere morto senz'averlo voluto. Sulla sua faccia bruna e bella era impronto un rimprovero. Certamente non diretto a me.

Andai da Augusta a sollecitarla di venire ad assistere la sorella. Io ero molto commosso ed Augusta pianse abbracciandomi:

— Tu sei stato un fratello per lui, - mormorò. - Solo adesso io sono d'accordo con te di sacrificare una parte del nostro patrimonio per purificare la sua memoria.

Mi preoccupai di rendere ogni onore al mio povero amico. Intanto affissi alla porta dell'ufficio un bollettino che ne annunciava la chiusura per la morte del proprietario. Composi io stesso l'avviso mortuario. Ma soltanto il giorno seguente, d'accordo con Ada, furono prese le disposizioni per il funerale. Seppi allora che Ada aveva deciso di seguire il feretro al cimitero. Voleva concedergli tutte le prove d'affetto che poteva. Poverina! Io sapevo quale dolore fosse quello del rimorso su una tomba. Ne avevo tanto sofferto anch'io alla morte di mio padre.

Passai il pomeriggio chiuso nell'ufficio in compagnia del Nilini. Si arrivò così a fare un piccolo bilancio della situazione di Guido. Spaventevole! Non solo era distrutto il capitale della ditta, ma Guido restava debitore di altrettanto, se avesse dovuto rispondere di tutto.

Io avrei avuto bisogno di lavorare, proprio lavorare a vantaggio del mio povero defunto amico, ma non sapevo far altro che sognare. La prima mia idea sarebbe stata di sacrificare tutta la mia vita in quell'ufficio e di lavorare a vantaggio di Ada e dei suoi figliuoli. Ma ero poi sicuro di saper far bene?

Il Nilini, come al solito, chiacchierava mentre io guardavo tanto, tanto lontano. Anche lui sentiva il bisogno di mutare radicalmente le sue relazioni con Guido. Ora comprendeva tutto! Il povero Guido, quando gli aveva fatto di torto, era stato già colto dalla malattia che doveva condurlo al suicidio. Perciò tutto era dimenticato oramai. E predicò dicendosi proprio fatto così. Non poteva serbare rancore a nessuno. Egli aveva sempre voluto bene a Guido e gliene voleva tuttavia.

Finì che i sogni del Nilini s'associarono ai miei e vi si sovrapposero. Non era nel lento commercio che si avrebbe potuto trovare il riparo ad una catastrofe simile, ma alla Borsa stessa. E il Nilini mi raccontò di persona a lui amica che all'ultimo momento aveva saputo salvarsi raddoppiando la posta.

Parlammo insieme per molte ore, ma la proposta del Nilini di proseguire nel gioco iniziato da Guido, arrivò in ultimo, poco prima del mezzodì e fu subito accettata da me. L'accettai con una gioia tale come se così fossi riuscito di far rivivere il mio amico. Finì che io comperai a nome del povero Guido una quantità di altre azioni dal nome bizzarro: Rio Tinto, South French e così via.

Così s'iniziarono per me le cinquanta ore di massimo lavoro cui abbia atteso in tutta la mia vita. Dapprima e fino a sera restai a misurare a grandi passi su e giù l'ufficio in attesa di sentire se i miei ordini fossero stati eseguiti. Io temevo che alla Borsa si fosse risaputo del suicidio di Guido e che il suo nome non venisse più ritenuto buono per impegni ulteriori. Invece per varii giorni non si attribuì quella morte a suicidio.

Poi, quando il Nilini finalmente poté avvisarmi che tutti i miei ordini erano stati eseguiti, incominciò per me una vera agitazione, aumentata dal fatto che al momento di ricevere gli stabiliti, fui informato che su tutti io perdevo già qualche frazione abbastanza importante. Ricordo quell'agitazione come un vero e proprio lavoro. Ho la curiosa sensazione nel mio ricordo che ininterrottamente, per cinquanta ore, io fossi rimasto assiso al tavolo da giuoco succhiellando le carte. Io non conosco nessuno che per tante ore abbia saputo resistere ad una fatica simile. Ogni movimento di prezzo fu da me registrato, sorvegliato, eppoi (perché non dirlo?) ora spinto innanzi ed ora trattenuto, come a me, ossia al mio povero amico, conveniva. Persino le mie notti furono insonni.

Temendo che qualcuno della famiglia avesse potuto intervenire ad impedirmi l'opera di salvataggio cui m'ero accinto, non parlai a nessuno della liquidazione di metà del mese quando giunse. Pagai tutto io, perché nessun altro si ricordò di quegli impegni, visto che tutti erano intorno al cadavere che attendeva la tumulazione. Del resto, in quella liquidazione era da pagare meno di quanto fosse stato stabilito a suo tempo, perché la fortuna m'aveva subito assecondato. Era tale il mio dolore per la morte di Guido, che mi pareva di attenuarlo compromettendomi in tutti i modi tanto con la mia firma che con l'esposizione del mio danaro. Fin qui m'accompagnava il sogno di bontà che avevo fatto lungo tempo prima accanto a lui. Soffersi tanto di quell'agitazione, che non giuocai mai più in Borsa per conto mio.

Ma a forza di «succhiellare» (questa era la mia occupazione precipua) finii col non intervenire al funerale di Guido. La cosa avvenne così. Proprio quel giorno i valori in cui eravamo impegnati fecero un balzo in alto. Il Nilini ed io passammo il nostro tempo a fare il calcolo di quanto avessimo ricuperato della perdita. Il patrimonio del vecchio Speier figurava ora solamente dimezzato! Un magnifico risultato che mi riempiva di orgoglio. Avveniva proprio quello che il Nilini aveva preveduto in tono molto dubitativo bensì ma che ora, naturalmente, quando ripeteva le parole dette, spariva ed egli si presentava quale un sicuro profeta. Secondo me egli aveva previsto questo e anche il contrario. Non avrebbe fallato mai, ma non glielo dissi perché a me conveniva ch'egli restasse nell'affare con la sua ambizione. Anche il suo desiderio poteva influire sui prezzi.

Partimmo dall'ufficio alle tre e corremmo perché allora ricordammo che il funerale doveva aver luogo alle due e tre quarti.

All'altezza dei volti di Chiozza, vidi in lontananza il convoglio e mi parve persino di riconoscere la carrozza di un amico mandata al funerale per Ada. Saltai col Nilini in una vettura di piazza, dando ordine al cocchiere di seguire il funerale. E in quella vettura il Nilini ed io continuammo a succhiellare. Eravamo tanto lontani dal pensiero al povero defunto che ci lagnavamo dell'andatura lenta della vettura. Chissà quello che intanto avveniva alla Borsa non sorvegliata da noi? Il Nilini, a un dato momento, mi guardò proprio con gli occhi e mi domandò perché non facessi alla Borsa qualche cosa per conto mio.

— Per il momento - dissi io, e non so perché arrossissi, - io non lavoro che per conto del mio povero amico. - Quindi, dopo una lieve esitazione, aggiunsi: — Poi penserò a me stesso. - Volevo lasciargli la speranza di poter indurmi al giuoco sempre nello sforzo di conservarmelo interamente amico. Ma fra me e me formulai proprio le parole che non osavo dirgli: «Non mi metterò mai in mano tua!». Egli si mise a predicare.

— Chissà se si può cogliere un'altra simile occasione! - Dimenticava d'avermi insegnato che alla Borsa v'era l'occasione ad ogni ora.

Quando si arrivò al posto dove di solito le vetture si fermano, il Nilini sporse la testa dalla finestra e diede un grido di sorpresa. La vettura continuava a procedere dietro al funerale che s'avviava al cimitero greco.

— Il signor Guido era greco? - domandò sorpreso.

Infatti il funerale passava oltre al cimitero cattolico e s'avviava a qualche altro cimitero, giudaico, greco, protestante o serbo.

— Può essere che sia stato protestante! - dissi io dapprima, ma subito mi ricordai d'aver assistito al suo matrimonio nella chiesa cattolica.

— Dev'essere un errore! - esclamai pensando dapprima che volessero seppellirlo fuori di posto.

Il Nilini improvvisamente scoppiò a ridere di un riso irrefrenabile che lo gettò privo di forze in fondo alla vettura con la sua boccaccia spalancata nella piccola faccia.

— Ci siamo sbagliati! - esclamò. Quando arrivò a frenare lo scoppio della sua ilarità, mi colmò di rimproveri. Io avrei dovuto vedere dove si andava perché io avrei dovuto sapere l'ora e le persone ecc. Era il funerale di un altro!

Irritato, io non avevo riso con lui ed ora m'era difficile di sopportare i suoi rimproveri. Perché non aveva guardato meglio anche lui? Frenai il mio malumore solo perché mi premeva più la Borsa, che il funerale. Scendemmo dalla vettura per orizzontarci meglio e ci avviammo verso l'entrata del cimitero cattolico. La vettura ci seguì. M'accorsi che i superstiti dell'altro defunto ci guardavano sorpresi non sapendo spiegarsi perché dopo di aver onorato fino a quell'estremo limite quel poverino lo abbandonassimo sul più bello.

5.11 Storia di un'associazione commerciale 5.11 History of a trade association 5.11 Historique d'une association professionnelle 5.11 História de uma associação profissional 5.11 En branschorganisations historia

Quella sera non seppi trovare l'Olivi. Era appena uscito dall'ufficio quand'io entrai. Supponevano si fosse recato alla Borsa. Non lo trovai neppure colà e allora mi recai a casa sua ove appresi che si trovava ad una seduta di un'associazione economica nella quale occupava un posto onorifico. Avrei potuto raggiungerlo colà, ma oramai s'era fatto notte, e cadeva ininterrotta una pioggia abbondante che convertiva le vie in tanti ruscelli.

Fu un diluvio che durò per tutta la notte e di cui per lunghi anni non si perdette il ricordo. La pioggia cadeva tranquilla, tranquilla, addirittura perpendicolarmente, sempre nella stessa abbondanza. Dalle alture che circondano la città scese il fango che, associato alle scorie della nostra vita cittadina, andò ad ostruire i nostri scarsi canali. Quando mi decisi a rincasare dopo di aver atteso inutilmente in un rifugio che la pioggia cessasse e quand'ebbi chiara la visione che il tempo s'era assestato nella pioggia e ch'era vano di sperare un mutamento, si camminava nell'acqua anche movendosi sulla parte più alta del selciato. Corsi a casa bestemmiando e fradicio fino alle ossa. Bestemmiavo anche perché avevo perduto tanto buon tempo per rintracciare l'Olivi. Può essere che il mio tempo non sia poi tanto prezioso, ma è sicuro ch'io soffro orrendamente quando posso constatare di aver lavorato invano. E correndo pensavo: «Lasciamo tutto per domani quando sarà chiaro e bello e asciutto. Domani andrò dall'Olivi e domani mi recherò da Guido. Magari mi leverò di buon'ora, ma sarà chiaro e asciutto». Ero tanto convinto della giustezza della mia decisione che dissi ad Augusta che da tutti si era stabilito di rimandare ogni decisione alla dimane. Mi cambiai, mi rasciugai e con le comode e calde pantofole sui piedi torturati, dapprima cenai eppoi mi coricai per dormire profondamente fino alla mattina mentre ai vetri delle mie finestre batteva la pioggia grossa come funi.

Così seppi solo tardi gli avvenimenti della notte. Dapprima apprendemmo che la pioggia aveva finito col provocare in varie parti della città delle inondazioni, poi che Guido era morto.

Molto più tardi seppi come poté accadere una cosa simile. Alle undici di sera circa, quando la signora Malfenti si fu allontanata, Guido avvertì la moglie ch'egli aveva ingoiata una quantità enorme di veronal. Volle convincere la moglie che era condannato. L'abbracciò, la baciò, le domandò perdono di averla fatta soffrire. Poi, ancora prima che la sua parola si convertisse in un balbettio, l'assicurò ch'essa era stata il solo amore della sua vita. Essa non credette per allora né a quest'assicurazione né ch'egli avesse ingoiato tanto veleno da poter morirne. Non credette neppure ch'egli avesse perduti i sensi, ma si figurò che fingesse per strapparle di nuovo dei denari.

Poi, trascorsa quasi un'ora, vedendo ch'egli dormiva sempre più profondamente, ebbe un certo terrore e scrisse un biglietto ad un medico che abitava non lontano dalla sua abitazione. Su quel biglietto scisse che suo marito abbisognava di pronto aiuto avendo ingoiato una grande quantità di veronal.

Fino ad allora non c'era stata in quella casa alcun'emozione che avesse potuto avvisare la fantesca, una vecchia donna ch'era in casa da poco tempo, della gravità della sua missione.

La pioggia fece il resto. La fantesca si trovò con l'acqua a mezza gamba e smarrì il biglietto. Se ne accorse solo quando si trovò alla presenza del dottore. Seppe però dirgli che c'era urgenza e lo indusse a seguirla.

Il dottor Mali era un uomo di circa cinquant'anni, tutt'altro che una genialità, ma un medico pratico che aveva fatto sempre il suo dovere come meglio aveva potuto. Non aveva una grande clientela propria, ma invece aveva molto da fare per conto di una società dai numerosissimi membri, che lo retribuiva poco lautamente. Era rincasato poco prima ed era arrivato finalmente a riscaldarsi e rasciugarsi accanto al fuoco. Si può immaginare con quale animo abbandonasse ora il suo caldo cantuccio. Quando io mi misi ad indagare meglio le cause della morte del mio povero amico, mi preoccupai anche di fare la conoscenza del dottor Mali. Da lui non seppi altro che questo: quando giunse all'aperto e si sentì bagnare dalla pioggia traverso l'ombrello, si pentì d'aver studiato medicina invece di agricoltura, ricordando che il contadino, quando piove, resta a casa.

Giunto al letto di Guido, trovò Ada del tutto calmata. Ora che aveva accanto il dottore, ricordava meglio come Guido l'avesse giocata mesi prima simulando un suicidio. Non toccava più a lei di assumersi una responsabilità, ma al dottore il quale doveva essere informato di tutto, anche delle ragioni che dovevano far credere in una simulazione di suicidio. E queste ragioni il dottore le ebbe tutte come prestava nello stesso tempo l'orecchio alle onde che spazzavano la via. Non essendo stato avvisato che lo si aveva chiamato per curare un caso di avvelenamento, egli mancava di ogni ordigno necessario alla cura. Lo deplorò balbettando qualche parola che Ada non intese. Il peggio era che, per poter imprendere un lavacro dello stomaco, egli non avrebbe potuto mandar a prendere le cose necessarie, ma avrebbe dovuto andar a prenderle lui stesso traversando per due volte la via. Toccò il polso di Guido e lo trovò magnifico. Domandò ad Ada se forse Guido avesse sempre avuto un sonno molto profondo. Ada rispose di sì, ma non a quel punto. Il dottore esaminò gli occhi di Guido: reagivano prontamente alla luce! Se ne andò raccomandando di dargli di tempo in tempo dei cucchiaini di caffè nero fortissimo.

Seppi anche che, giunto sulla via, mormorò con rabbia:

— Non dovrebbe essere permesso di simulare un suicidio con questo tempo!

Io, quando lo conobbi, non osai di fargli un rimprovero per la sua negligenza, ma egli l'indovinò e si difese: mi disse che rimase stupito all'apprendere alla mattina che Guido era morto, tanto che sospettò fosse rinvenuto e avesse preso dell'altro veronal. Poi soggiunse che i profani d'arte medica non potevano immaginare come nel corso della sua pratica il dottore venisse abituato a difendere la sua vita contro i clienti che vi attentavano non pensando che alla loro.

Dopo poco più di un'ora, Ada si stancò di cacciare a Guido il cucchiaino fra' denti e vedendo ch'egli ne sorbiva sempre meno e che il resto andava a bagnare il guanciale, si spaventò di nuovo e pregò la fantesca di recarsi dal dottor Paoli. Questa volta la fantesca tenne da conto il bigliettino. Ma ci mise più di un'ora per raggiungere l'abitazione del medico. È naturale che quando piove tanto si senta il bisogno di tempo in tempo di fermarsi sotto qualche portico. Una pioggia simile non solo bagna, ma sferza.

Il dottor Paoli non era in casa. Era stato chiamato poco prima da un cliente e se ne era andato dicendo che sperava di ritornare presto. Ma poi pare avesse preferito di attendere presso il cliente che la pioggia cessasse. La sua donna di servizio, una buonissima persona in età, fece sedere la fantesca di Ada accanto al fuoco e si preoccupò di rifocillarla. Il dottore non aveva lasciato l'indirizzo del suo cliente e così le due donne passarono insieme varie ore accanto al fuoco. Il dottore ritornò, solo quando la pioggia fu cessata. Quando poi arrivò da Ada con tutti gli ordigni che già aveva esperiti su Guido, albeggiava. A quel letto ebbe un solo compito: celare ad Ada che Guido era già morto e far venire la signora Malfenti prima che Ada se ne accorgesse, per assisterla nel primo dolore.

Per questo la notizia ci pervenne molto tardi e imprecisa.

Levatomi dal letto ebbi per l'ultima volta uno slancio d'ira contro il povero Guido: complicava ogni sventura con le sue commedie! Uscii di casa senza Augusta che non poteva abbandonare il bimbo così su due piedi. Fuori, fui trattenuto da un dubbio! Non avrei potuto attendere che le Banche si aprissero e l'Olivi fosse nel suo ufficio per comparire dinanzi a Guido fornito del denaro che avevo promesso? Tanto poco credevo alla notizia della gravità delle condizioni di Guido che pur m'era stata annunziata!

La verità la ebbi dal dottor Paoli in cui m'imbattei sulle scale. Ne ebbi uno sconvolgimento che quasi mi fece precipitare. Guido, dacché vivevo con lui, era divenuto per me un personaggio di grande importanza. Finché era vivo lo vedevo in una data luce ch'era la luce di parte delle mie giornate. Morendo, quella luce si modificava in modo come se improvvisamente fosse passata traverso un prisma. Era proprio questo che m'abbacinava. Egli aveva sbagliato, ma io subito vidi ch'essendo morto, dei suoi errori non restava niente. Secondo me era un imbecille quel buffone che in un cimitero coperto di epigrafi laudatorie domandò dove si seppellissero in quel paese i peccatori. I morti non sono mai stati peccatori. Guido era ormai un puro! La morte l'aveva purificato.

Il dottore era commosso per aver assistito al dolore di Ada. Mi disse qualche cosa dell'orrenda notte ch'essa aveva passata. Oramai si era riusciti a farle credere che la quantità di veleno ingerita da Guido era stata tale che nessun soccorso avrebbe potuto giovare. Guai se avesse saputo altrimenti!

— Invece - aggiunse il dottore con sconforto - se io fossi arrivato qualche ora prima l'avrei salvato. Ho trovate le boccette vuote del veleno.

Le esaminai. Una dose forte ma poco più forte dell'altra volta. Mi fece vedere alcune boccette sulle quali lessi stampato: Veronal. Dunque non veronal al sodio. Come nessun altro io potevo ora essere certo che Guido non aveva voluto morire. Non lo dissi però mai a nessuno.

Il Paoli mi lasciò dopo di avermi detto che per il momento non cercassi di vedere Ada. Egli le aveva propinati dei forti calmanti e non dubitava che presto avrebbero avuto il loro effetto.

Sul corridoio sentii venire da quella stanzuccia, ove ero stato ricevuto due volte da Ada, il suo pianto mite. Erano parole singole che non intendevo, ma pregne di affanno. La parola lui era ripetuta più volte ed io immaginai quello ch'essa diceva. Stava ricostruendo la sua relazione col povero morto. Non doveva somigliare affatto a quella ch'essa aveva avuta col vivo. Per me era evidente ch'essa col marito vivo aveva sbagliato. Egli moriva per un delitto commesso da tutti insieme perché egli aveva giocato alla Borsa col consenso di tutti loro. Quando s'era trattato di pagare allora l'avevano lasciato solo. E lui s'era affrettato di pagare. Unico dei congiunti io, che veramente non ci entravo, avevo sentito il dovere di soccorrerlo.

Nella stanza da letto matrimoniale il povero Guido giaceva abbandonato, coperto dal lenzuolo. La rigidezza già avanzata, esprimeva qui non una forza ma la grande stupefazione di essere morto senz'averlo voluto. Sulla sua faccia bruna e bella era impronto un rimprovero. Certamente non diretto a me.

Andai da Augusta a sollecitarla di venire ad assistere la sorella. Io ero molto commosso ed Augusta pianse abbracciandomi:

— Tu sei stato un fratello per lui, - mormorò. - Solo adesso io sono d'accordo con te di sacrificare una parte del nostro patrimonio per purificare la sua memoria.

Mi preoccupai di rendere ogni onore al mio povero amico. Intanto affissi alla porta dell'ufficio un bollettino che ne annunciava la chiusura per la morte del proprietario. Composi io stesso l'avviso mortuario. Ma soltanto il giorno seguente, d'accordo con Ada, furono prese le disposizioni per il funerale. Seppi allora che Ada aveva deciso di seguire il feretro al cimitero. Voleva concedergli tutte le prove d'affetto che poteva. Poverina! Io sapevo quale dolore fosse quello del rimorso su una tomba. Ne avevo tanto sofferto anch'io alla morte di mio padre.

Passai il pomeriggio chiuso nell'ufficio in compagnia del Nilini. Si arrivò così a fare un piccolo bilancio della situazione di Guido. Spaventevole! Non solo era distrutto il capitale della ditta, ma Guido restava debitore di altrettanto, se avesse dovuto rispondere di tutto.

Io avrei avuto bisogno di lavorare, proprio lavorare a vantaggio del mio povero defunto amico, ma non sapevo far altro che sognare. La prima mia idea sarebbe stata di sacrificare tutta la mia vita in quell'ufficio e di lavorare a vantaggio di Ada e dei suoi figliuoli. Ma ero poi sicuro di saper far bene?

Il Nilini, come al solito, chiacchierava mentre io guardavo tanto, tanto lontano. Anche lui sentiva il bisogno di mutare radicalmente le sue relazioni con Guido. Ora comprendeva tutto! Il povero Guido, quando gli aveva fatto di torto, era stato già colto dalla malattia che doveva condurlo al suicidio. Perciò tutto era dimenticato oramai. E predicò dicendosi proprio fatto così. Non poteva serbare rancore a nessuno. Egli aveva sempre voluto bene a Guido e gliene voleva tuttavia.

Finì che i sogni del Nilini s'associarono ai miei e vi si sovrapposero. Non era nel lento commercio che si avrebbe potuto trovare il riparo ad una catastrofe simile, ma alla Borsa stessa. E il Nilini mi raccontò di persona a lui amica che all'ultimo momento aveva saputo salvarsi raddoppiando la posta.

Parlammo insieme per molte ore, ma la proposta del Nilini di proseguire nel gioco iniziato da Guido, arrivò in ultimo, poco prima del mezzodì e fu subito accettata da me. L'accettai con una gioia tale come se così fossi riuscito di far rivivere il mio amico. Finì che io comperai a nome del povero Guido una quantità di altre azioni dal nome bizzarro: Rio Tinto, South French e così via.

Così s'iniziarono per me le cinquanta ore di massimo lavoro cui abbia atteso in tutta la mia vita. Dapprima e fino a sera restai a misurare a grandi passi su e giù l'ufficio in attesa di sentire se i miei ordini fossero stati eseguiti. Io temevo che alla Borsa si fosse risaputo del suicidio di Guido e che il suo nome non venisse più ritenuto buono per impegni ulteriori. Invece per varii giorni non si attribuì quella morte a suicidio.

Poi, quando il Nilini finalmente poté avvisarmi che tutti i miei ordini erano stati eseguiti, incominciò per me una vera agitazione, aumentata dal fatto che al momento di ricevere gli stabiliti, fui informato che su tutti io perdevo già qualche frazione abbastanza importante. Ricordo quell'agitazione come un vero e proprio lavoro. Ho la curiosa sensazione nel mio ricordo che ininterrottamente, per cinquanta ore, io fossi rimasto assiso al tavolo da giuoco succhiellando le carte. Io non conosco nessuno che per tante ore abbia saputo resistere ad una fatica simile. Ogni movimento di prezzo fu da me registrato, sorvegliato, eppoi (perché non dirlo?) ora spinto innanzi ed ora trattenuto, come a me, ossia al mio povero amico, conveniva. Persino le mie notti furono insonni.

Temendo che qualcuno della famiglia avesse potuto intervenire ad impedirmi l'opera di salvataggio cui m'ero accinto, non parlai a nessuno della liquidazione di metà del mese quando giunse. Pagai tutto io, perché nessun altro si ricordò di quegli impegni, visto che tutti erano intorno al cadavere che attendeva la tumulazione. Del resto, in quella liquidazione era da pagare meno di quanto fosse stato stabilito a suo tempo, perché la fortuna m'aveva subito assecondato. Era tale il mio dolore per la morte di Guido, che mi pareva di attenuarlo compromettendomi in tutti i modi tanto con la mia firma che con l'esposizione del mio danaro. Fin qui m'accompagnava il sogno di bontà che avevo fatto lungo tempo prima accanto a lui. Soffersi tanto di quell'agitazione, che non giuocai mai più in Borsa per conto mio.

Ma a forza di «succhiellare» (questa era la mia occupazione precipua) finii col non intervenire al funerale di Guido. La cosa avvenne così. Proprio quel giorno i valori in cui eravamo impegnati fecero un balzo in alto. Il Nilini ed io passammo il nostro tempo a fare il calcolo di quanto avessimo ricuperato della perdita. Il patrimonio del vecchio Speier figurava ora solamente dimezzato! Un magnifico risultato che mi riempiva di orgoglio. Avveniva proprio quello che il Nilini aveva preveduto in tono molto dubitativo bensì ma che ora, naturalmente, quando ripeteva le parole dette, spariva ed egli si presentava quale un sicuro profeta. Secondo me egli aveva previsto questo e anche il contrario. Non avrebbe fallato mai, ma non glielo dissi perché a me conveniva ch'egli restasse nell'affare con la sua ambizione. Anche il suo desiderio poteva influire sui prezzi.

Partimmo dall'ufficio alle tre e corremmo perché allora ricordammo che il funerale doveva aver luogo alle due e tre quarti.

All'altezza dei volti di Chiozza, vidi in lontananza il convoglio e mi parve persino di riconoscere la carrozza di un amico mandata al funerale per Ada. Saltai col Nilini in una vettura di piazza, dando ordine al cocchiere di seguire il funerale. E in quella vettura il Nilini ed io continuammo a succhiellare. Eravamo tanto lontani dal pensiero al povero defunto che ci lagnavamo dell'andatura lenta della vettura. Chissà quello che intanto avveniva alla Borsa non sorvegliata da noi? Il Nilini, a un dato momento, mi guardò proprio con gli occhi e mi domandò perché non facessi alla Borsa qualche cosa per conto mio.

— Per il momento - dissi io, e non so perché arrossissi, - io non lavoro che per conto del mio povero amico. - Quindi, dopo una lieve esitazione, aggiunsi: — Poi penserò a me stesso. - Volevo lasciargli la speranza di poter indurmi al giuoco sempre nello sforzo di conservarmelo interamente amico. Ma fra me e me formulai proprio le parole che non osavo dirgli: «Non mi metterò mai in mano tua!». Egli si mise a predicare.

— Chissà se si può cogliere un'altra simile occasione! - Dimenticava d'avermi insegnato che alla Borsa v'era l'occasione ad ogni ora.

Quando si arrivò al posto dove di solito le vetture si fermano, il Nilini sporse la testa dalla finestra e diede un grido di sorpresa. La vettura continuava a procedere dietro al funerale che s'avviava al cimitero greco.

— Il signor Guido era greco? - domandò sorpreso.

Infatti il funerale passava oltre al cimitero cattolico e s'avviava a qualche altro cimitero, giudaico, greco, protestante o serbo.

— Può essere che sia stato protestante! - dissi io dapprima, ma subito mi ricordai d'aver assistito al suo matrimonio nella chiesa cattolica.

— Dev'essere un errore! - esclamai pensando dapprima che volessero seppellirlo fuori di posto.

Il Nilini improvvisamente scoppiò a ridere di un riso irrefrenabile che lo gettò privo di forze in fondo alla vettura con la sua boccaccia spalancata nella piccola faccia.

— Ci siamo sbagliati! - esclamò. Quando arrivò a frenare lo scoppio della sua ilarità, mi colmò di rimproveri. Io avrei dovuto vedere dove si andava perché io avrei dovuto sapere l'ora e le persone ecc. Era il funerale di un altro!

Irritato, io non avevo riso con lui ed ora m'era difficile di sopportare i suoi rimproveri. Perché non aveva guardato meglio anche lui? Frenai il mio malumore solo perché mi premeva più la Borsa, che il funerale. Scendemmo dalla vettura per orizzontarci meglio e ci avviammo verso l'entrata del cimitero cattolico. La vettura ci seguì. M'accorsi che i superstiti dell'altro defunto ci guardavano sorpresi non sapendo spiegarsi perché dopo di aver onorato fino a quell'estremo limite quel poverino lo abbandonassimo sul più bello.