L'Apostata (361-363) - Ep. 8 (1)
Nello scorso episodio della narrazione principale abbiamo assistito all'anti climatica conclusione della guerra civile non guerreggiata tra Giuliano e Costanzo. Abbiamo salutato quest'ultimo, il nostro paranoico, vendicativo, implacabile ma efficiente Costanzo. In questo episodio vedremo cosa farà Giuliano con l'immenso potere accumulatosi nelle sue mani: vi do un indizio, ha qualche cosa a che fare con il motivo per il quale lo chiamiamo “l'apostata”.
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Giuliano, dopo aver ricevuto la notizia della sua elezione al trono anche da parte delle legioni orientali, non perse tempo e galoppò il più velocemente possibile verso Costantinopoli, la città dove era nato e che considerava la sua patria. Fece un ingresso trionfale nella città l'11 Dicembre. Qui il suo primo atto fu il solenne funerale a Costanzo II: Giuliano non solo partecipò al funerale ma permise che avvenisse con tutti i riti del cristianesimo di Costanzo: Costanzo fu quindi interrato nel mausoleo di famiglia nella chiesa dei Santi Apostoli. Non stupisca questo atto: Giuliano doveva la sua legittimità a governare alle azioni di Costanzo e rispettarne la memoria era il primo passo per consolidare il suo potere.
Subito dopo si occupò della transizione e dello spoil system. A ogni cambio di regime imperiale qualche testa inevitabilmente rotolava tra gli alti papaveri imperiali, sia in termini figurati che reali. Di solito si trattava di una veloce purga extragiudiziale: veniva fatta subito dopo l'incoronamento in modo da non doverne fare altre, per quanto possibile, durante il resto del regno. Giuliano aveva bisogno di eliminare le persone che più si erano opposte a lui ma decise anche di dedicarsi a rimuovere anche quelli tra gli alti papaveri imperiali che fossero dimostrabilmente molto corrotti. E qui lasciatemi fare un excursus sulla corruzione nell'antica Roma.
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La corruzione era endemica dello stato romano, che non aveva i mezzi per impedirla in modo efficace: si può dire che anche noi successori non siamo molto bravi in questo. Quello che dobbiamo capire è che le cariche imperiali erano il meccanismo principale per legare le classi dirigenti imperiali al governo: l'impero era una forma statale costruita con il consenso e la partecipazione soprattutto della classe dei proprietari terrieri. Il governo aveva un fisco centralizzato che elargiva posizioni burocratiche a corte, pagando già di suo ottimi salari ai suoi funzionari. Era pratica accettata che questi salari fossero incrementati e rimpinguati con pagamenti diretti di privati per accelerare pratiche o prendere decisioni: si trattava, fino ad un certo punto, di una accettata integrazione al reddito dei funzionari. La paga dei funzionari – sia quella ufficiale che quella ufficiosa – servivano a dare alle classi superiori dell'impero un chiaro incentivo a volere e desiderare il mantenimento dello status quo, condizione fondamentale per il mantenimento del regime imperiale.
Giuliano non voleva certamente estirpare la corruzione, ma almeno eliminare gli altri papaveri più rapaci e quelli per i quali la priorità tra servire lo stato e arricchirsi era troppo spostata sull'arricchimento personale. Fece finta di seguire anche una procedura legale, mettendo su un tribunale “indipendente” sull'altro lato del bosforo, come a dire “vedete, i giudici sono indipendenti…non sono neanche sotto il mio naso”. Alcune teste rotolarono, altri furono esiliati. Furono esiliati ad esempio il curator palatii – l'amministratore delle fabbriche e degli edifici appartenenti all'imperatore – oltre al Comes rerum privatum, l'amministratore delle terre di proprietà dell'imperatore. Eh sì, li nomino solo perché mi piace darvi un'idea di quelle che erano alcune delle cariche principali della burocrazia imperiale. Un'altra carica fondamentale era quella del Comes largitionum, sostanzialmente il ministro delle finanze. Questa carica era amministrata da un Carneade che aveva avuto l'ardire di lamentarsi – di fronte alle rovine fumanti di Amida – del coraggio e delle capacità dell'esercito, esclamando “ecco come vengono spesi i soldi faticosamente raccolti dalla popolazione dell'impero”. I soldati se la segnarono al dito e la sua testa fu una delle poche a rotolare. Uno dei condannati a morte – ma in contumacia – fu il Fiorenzo che tanta noia aveva dato a Giuliano nelle Gallie, Fiorenzo si diede alla macchia ma non vi preoccupate, si rifarà vivo dopo la sua morte.
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Sbrigata questa faccenda Giuliano si dedicò a ridurre l'enormemente accresciuto entourage imperiale, fatto di un numero infinito di cuochi, barbieri e eunuchi. Giuliano aveva sempre come sua stella polare gli imperatori del principato – quelli precedenti alla crisi del terzo secolo – che avevano avuto un approccio più egalitario e meno altisonante dei severi sovrani monarchici del quarto secolo. Narra Marcellino che un giorno era stato chiamato un barbiere per tagliare i capelli dell'imperatore e Giuliano vide entrare un uomo vestito sontuosamente. Allora chiese al barbiere quanto guadagnasse, e venne fuori che riceveva lauti compensi in natura, un importante stipendio annuo oltre che pagamenti per ben remunerate prestazioni straordinarie. Insomma, era un uscere del parlamento italiano. Va da sé che il suo posto di lavoro fu uno dei primi ad essere eliminato.
Giuliano sognava di essere Marco Aurelio, l'imperatore filosofo suo eroe d'infanzia e finì per cercare di assomigliargli, crescendo una lunga barba da filosofo. Cercò di imitare gli imperatori del periodo aureo dell'impero divenendo più accessibile: discuteva in Senato (quello di Costantinopoli) gli affari di stato, quando i suoi contemporanei erano oramai abituati a farsi dire che cosa applaudire dei progetti del sovrano. Camminava tra le persone comuni che erano abituate a vedere i loro imperatori da lontano, vestiti di regalia e considerandoli completamente inaccessibili in quanto sovrani e rappresentanti della divinità in terra. Dai tempi di Diocleziano gli imperatori erano figure altamente idealizzate e i Romani del quarto secolo non avevano idea di cosa fare di questo principe. Va detto infatti che questo comportamento lasciò molto perplessi i contemporanei, incluso Ammiano Marcellino che per il resto venerava Giuliano: pareva loro probabilmente come una riduzione della maestà della carica imperiale, non necessaria e svilente della figura dell'imperatore.
Ma non siete qui per sentirmi parlare di barbe e barbieri penso, credo che vogliate sapere come mai il nostro Giuliano è chiamato Apostata e bè la risposta è credo ovvia da tempo: apostata vuol dire rinnegatore del proprio credo, come Giuliano fece rinnegando privatamente la religione che lo Zio aveva portato al centro dello stato Romano. Quando tutto sembrò perduto, quando Costanzo marciava alla testa del suo esercito per mettere al suo posto il cugino ribelle, Giuliano iniziò a professare apertamente e senza sotterfugi la sua nuova fede, o la sua fede ritrovata come amava pensare. Poi arrivò la morte di Costanzo, con una tempistica che non poté sembrare a Giuliano null'altro che un messaggio da parte degli Dei per riportare i culti antichi al centro dello stato romano: questo incredibile avvenimento ne alimentò anche l'arroganza, da questo momento in poi Giuliano si sentirà un predestinato e non un semplice mortale.
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Una volta agguantato l'ufficio più alto dell'Impero Giuliano si mise di lena per annientare i nazareni e il cristianesimo. Si ho detto annientare, anche se Giuliano non voleva annientare i cristiani ma marginalizzare e riportare ad una posizione minoritaria la loro religione. Per farlo Giuliano aveva studiato e pensato a lungo cosa fare e da principio aveva capito che le persecuzioni di alcuni imperatori pagani avevano fatto più male che bene: le persecuzioni di Nerone, Decio e soprattutto Diocleziano erano state a loro modo anche efficaci – checché ne dica la chiesa molti cristiani e perfino una buona parte del clero si arresero alle domande dello stato romano e fecero abiura della loro religione. Lo sappiamo perché la questione sulle modalità di riammissione alla chiesa, dopo Ponte Milvio, fu una delle questioni più spinose della cristianità. Ma le persecuzioni avevano avuto più effetti controproducenti, almeno dal punto di vista delle autorità imperiali pagane: avevano creato spesso martiri che potevano essere dei punti di riferimento per la nuova religione, degli esempi di vita a cui guardare per resistere allo stato. In più avevano unito le varie chiese cristiane, con tutte le loro differenze sulla natura divina e di cristo, fino al momento in cui era stato possibile rimuovere l'oppressione statale.
Giuliano non intendeva fare nulla di tutto ciò e pensò bene di scatenare contro i cristiani il loro nemico più implacabile e terribile: loro stessi.
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Per capire cosa intendo dobbiamo capire che nei cinquant'anni scarsi trascorsi da Ponte Milvio si era combattuta una guerra senza esclusione di colpi per definire quale sarebbe stata la fede cristiana che sarebbe diventata la fede ufficiale dell'impero: era chiaro a tutti i cristiani – in fondo erano romani anche loro – che poteva esistere una sola religione in uno stato come Roma, dove la religione era intrinsecamente collegata con il potere politico. Gli imperatori desideravano avere un solo credo che unificasse la popolazione dell'impero e lo stesso volevano la maggior parte dei vescovi.
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Da cinquanta anni e con maggior forza dopo il Concilio di Nicea – che avrebbe dovuto chiarire la questione una volta per tutte ma che finì solo per essere una tappa di questo processo – varie posizioni sulla trinità e natura di cristo si erano affrontate in ogni vescovado importante dell'impero. Gli ariani erano arrivati a Nicea divisi. C'erano alcuni – gli ariani veri e propri – che non credevano affatto alla natura divina di Gesù. I semi-ariani – la parte probabilmente più vicina a Costantino e Costanzo – credevano invece che il figlio fosse di una natura inferiore a quella di dio Padre. Divisi gli ariani avevano perso a Nicea ma si erano vendicati con gli interessi: erano riusciti a fare esiliare vescovi del credo Niceno ortodosso, come Atanasio di Alessandria, e avevano portato dalla loro i principali imperatori del loro tempo, vale a dire Costantino e soprattutto Costanzo II. La battaglia era ancora in corso e continuerà nell'impero almeno fino al concilio di Costantinopoli, nel 381 dopo cristo. Per capire a che punto eravamo nell'eterna contesa tra Ariani e Ortodossi occorre fare un passo indietro.
Nel 352 dopo cristo Liberio era stato eletto vescovo dal popolo dei cristiani di Roma, come si usava fare allora. Liberio era un convinto sostenitore della causa degli ortodossi e accolse a Roma Atanasio di Alessandria quando questi fu esiliato da Costanzo II: come detto in precedenza Atanasio era il vero capo del partito Niceno. I problemi per Liberio iniziarono quando Costanzo si impadronì di tutto l'occidente Romano, una volta sconfitto Magnenzio: Costanzo era un ariano convinto e fece notevoli pressioni sul papa per aderire alla sua versione semi-ariana del cristianesimo, versione che accettava la natura divina del figlio di Dio ma la considerava subordinata a Dio padre. Come bonus voleva ovviamente un nuovo esilio di Atanasio.
Nella primavera del 355 si tenne un concilio a Milano sotto l'egida di Costanzo II, I vescovi di corte si posero sulle posizioni semi-ariane, ne seguirono disordini tali che convinsero Costanzo ad intervenire personalmente: ordinò che tutti i vescovi condannassero Atanasio. I dissidenti furono esiliati. Inutili le proteste di Liberio, i cui legati furono a loro volta spediti in esilio. Il papa scrisse una lettera ai vescovi esiliati, chiamandoli martiri, ed esprimendo il suo rammarico per non era stato lui stesso il primo a soffrire tale pena. Fu presto accontentato.
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L'imperatore voleva convincere il vescovo di Roma, l'ultimo primate della chiesa non ariano, ad aderire alla sua politica religiosa e inviò a Roma il prefetto di palazzo, l'eunuco Eusebio con il mandato di convincere il papa a tutti i costi. La risposta di Liberio non ammetteva repliche: non poteva condannare Atanasio e i seguaci di Ario avrebbero dovuto essere espulsi e la loro eresia sottoposta ad anatema, come d'altronde convenuto a Nicea. Convinto che non c'era modo di trattare con Liberio Costanzo ordinò al praefectus urbi di Roma, Flavio Leonzio, di arrestare Liberio e di trascinarlo a corte. La cattura avvenne nottetempo, per evitare che il popolo di Roma causasse disordini. L'imperatore bandì il papa a Beroea in Tracia, lasciandogli però uno stipendio. Al suo posto, Costanzo fece eleggere l'arcidiacono Felice, che badate bene era anch'esso ortodosso ma a quanto pare più malleabile. Atanasio venne di nuovo esiliato.
Credete che sia finita? Tutt'altro. Liberio rimase in esilio per due anni e poi nel 357 dopo cristo, mentre Giuliano combatteva gli Alemanni nella campagna di Strasburgo, gli fu consentito di tornare a Roma. Le fonti sono discordanti sul motivo per il quale gli fu permesso di tornare, alcune fonti sostengono che Liberio non tentennò mai nella sua fede e fu richiamato su insistenza del popolo di Roma. Altre fonti invece testimoniano che a Liberio mancasse molto Roma e il suo seggio vescovile e avrebbe sottoscritto il credo di Costanzo, pur di tornare a casa, non vedendo alcuna speranza di ravvedimento o ceduta di Costanzo. Il credo di Costanzo negava che il figlio fosse “della stessa sostanza del padre” come declamato a Nicea, ma concedeva che fosse di “simile, nella sostanza, al Padre”. Si, tutti questi problemi nella chiesa di Roma erano dovuti alla differenza tra “stesso” e “simile”. Comunque sia il cedimento del Papa di Roma alla pressione degli ariani fu un colpo enorme per la causa Niceana. da questo momento in poi Liberio fu considerato da parte del partito niceno, a torto o ragione, come compromesso con il potere ariano.