L'italiano sta peggiorando? Il NEOSTANDARD
Nello scorso secolo è successo qualcosa di sorprendente.
Noi italiani abbiamo iniziato a parlare italiano.
Oggi, infatti, più del 90% delle persone
che vivono in Italia, conosce la lingua di Dante.
È vero, non tutti lo sappiamo bene.
Però tutti conosciamo, bene o male, l'italiano.
E perché questo è sorprendente? Lo scopriremo in questo video.
Ciao a tutti e benvenuti su Podcast Italiano,
il canale YouTube e podcast per imparare l'italiano se siete stranieri
e ogni tanto, a volte, sempre più spesso,
un canale che può interessare anche agli italiani.
Dicevo, perché è sorprendente? Beh, vediamo qualche dato.
Nel 1955 solo il 36% della popolazione italiana parlava italiano.
Torniamo ancora più indietro: 1861. L'Italia finalmente diventa
uno Stato unitario dopo secoli di divisioni politiche.
Linguisticamente però il paese è molto frammentato.
Gli italiani parlano dialetto e l'italiano
è conosciuto dal 2,5% secondo una stima,
al 10% secondo un'altra stima, di persone.
Entrambe le stime dimostrano che l'italiano era poco conosciuto.
Oggi, come abbiamo detto, questo dato è del 90% circa
ed è un risultato notevole, non è da sottovalutare,
perché noi abbiamo preso una lingua scritta,
da secoli impiegata dagli intellettuali, dagli scrittori,
e l'abbiamo fatta diventare una lingua parlata,
l'abbiamo fatta nostra, per così dire.
I dialetti sono rimasti, ma si usano
sempre di meno in via esclusiva, quindi da soli.
E come potete capire è molto importante che uno Stato
abbia una lingua nazionale, che viene compresa e utilizzata dal suo popolo.
Quindi, questo grande cambiamento è avvenuto di recente.
Ora, consideriamo questo fatto: una lingua, per cambiare, deve essere parlata.
Prendete l'italiano: dal 1300 agli anni '60 del 1900 è cambiato un pochino,
ma molto, molto poco, molto meno rispetto, per esempio,
a quanto è cambiato l'inglese dal 1300 al 1900 o ai giorni nostri.
E questo perché il modello di italiano, per secoli,
è stato l'italiano scritto da Dante, Petrarca e Boccaccio nel 1300.
Se parliamo poi di grammatica beh, il modello principale di grammatica
è stata la codificazione, da parte del grammatico e scrittore Pietro Bembo
fatta nel 1525, nel suo libro "Le prose della volgar lingua"
in cui lui ha fissato la grammatica italiana
ispirandosi al modello di Petrarca e Boccaccio,
trascurando un pochino Dante che comunque, innegabilmente,
ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della lingua.
Una cosa interessante è che Bembo fa un'operazione molto vintage,
cioè lui prende l'italiano, o fiorentino, scritto di 200 anni prima rispetto a lui,
non il fiorentino del suo tempo.
E la sua grammatica, creata con questa operazione vintage,
ha rappresentato per secoli il nucleo fondante,
fondamentale della grammatica italiana.
Torniamo al secolo scorso. Tra gli anni '60 e gli anni '80
hanno luogo una serie di cambiamenti socio-culturali
molto importanti, quindi la diffusione della televisione,
l'importanza della scuola, emigrazioni interne,
la diffusione dei giornali... E tutti questi fattori
contribuiscono alla diffusione della lingua italiana.
Cresce il numero di persone che parlano
solamente italiano, come me o come i miei genitori
e cresce il numero di persone che parlano l'italiano come madrelingua,
molto importante questo fatto.
Abbiamo detto che solo una lingua che viene parlata è una lingua che cambia.
Se prima l'italiano non veniva parlato e quindi non cambiava,
adesso l'italiano finalmente viene parlato
e questo scatena tutta una serie di cambiamenti molto repentini, molto veloci.
Numerosi usi linguistici che già esistevano nella letteratura
ma erano considerati, diciamo, substandard,
iniziano a diventare sempre più comuni e diffusi,
tanto che negli anni '80 le cose sono già cambiate così tanto
che i linguisti fanno il punto della situazione
e si rendono conto che l'italiano sta cambiando
e per questo coniano alcune espressioni come:
"italiano neostandard", "italiano dell'uso medio",
"italiano tendenziale", "italiano comune".
Si rendono conto che l'italiano del popolo
differisce dall'italiano della norma letteraria, codificato dalle grammatiche
che hanno ancora come base, diciamo, quella di Bembo del 1500.
A questa norma letteraria, imposta dall'alto, dalla tradizione,
si sta affiancando una nuova norma,
una norma dell'uso, una norma statistica.
I nuovi modelli non sono più gli scrittori o gli intellettuali,
ma sono i giornali, sono i mass media,
sono i politici e alla fine sono le persone stesse, la popolazione.
È un nuovo modo di parlare, più rilassato, più personale,
meno formale e sì, bisogna dirlo: più semplice.
E questo processo non si è fermato negli anni '80,
ma sta ancora continuando, ovviamente.
L'aspetto interessante è che a scuola ci viene insegnata la norma tradizionale,
l'italiano standard, se vogliamo.
Ma poi, per la strada, in giro, noi utilizziamo l'italiano neostandard
e quindi c'è una distanza che dà fastidio a tante persone
che magari hanno imparato la norma e che ritengono assolutamente intoccabile,
che poi si rendono conto che però non è l'italiano che vediamo in giro,
non vediamo su internet, non vediamo spesso neanche sui giornali.
La norma letteraria esiste, ha ancora il suo prestigio,
ha ancora la sua importanza (ci viene insegnata a scuola),
ma è un modello che è sempre più distante dalla lingua utilizzata oggi.
E vediamo ora alcuni dei tratti più importanti dell'italiano neostandard.
A scuola, e io ho fatto le elementari nei primi anni 2000, non gli anni '50,
ho imparato il verbo "essere" così:
io sono, tu sei, egli/ella è, noi siamo, voi siete, essi/esse sono.
Nel mondo reale, oggi, nessuno dice: "egli", "ella", "essi", "esse",
perché normalmente diciamo, e forse voi stranieri
avete solamente imparato questi pronomi giustamente,
perché sono gli unici che si usano,
"lui", "lei", "loro", che però vengono praticamente dai pronomi tonici,
cioè in passato erano solo pronomi tonici,
quindi: "Ho visto lui", "ho visto lei" e "ho visto loro".
Questo pronome-oggetto praticamente è diventato anche un pronome-soggetto,
quindi: "Lui è andato", "lei è tornata", "loro sono venuti",
anche se in realtà è molto più comune omettere completamente il pronome,
quindi: "Ha detto", "ha comprato", "è andata", "sono tornati", eccetera.
Ah, e già Alessandro Manzoni - se non lo conosceste
è l'autore del primo romanzo in lingua italiana,
fondamentale per lo sviluppo dell'italiano -
nei "Promessi Sposi", nell'edizione finale dei "Promessi Sposi",
ha rimosso tutti i pronomi: "egli", "ella", "essi", "esse",
a volte sostituendoli con "lui", "lei", "loro",
ma ancora più spesso non mettendo proprio niente,
quindi un po' come facciamo oggi noi.
Rimaniamo nell'ambito dei pronomi.
Secondo la norma si dovrebbe utilizzare "loro"
in una frase come: "Ho detto loro",
"Ho comunicato loro il risultato dell'esame", "Ho dato loro un regalo".
Quindi abbiamo: "Ho detto loro" atono e "ho detto a loro" tonico,
un po' come: "Mi hanno detto" atono e "hanno detto a me" tonico.
Allora, questo uso tipo: "Ho dato loro il regalo", non è sparito
ma è stato relegato a un uso piuttosto formale.
Io personalmente, in un contesto normale,
rilassato, nella lingua di tutti i giorni,
non direi mai: "Ho dato loro il regalo".
Mi sembra un po' troppo formale, troppo elegante.
Direi infatti: "Gli ho dato un regalo",
"gli ho comunicato il risultato dell'esame", "gli ho detto la verità".
Parliamo ora del passato remoto che è un tempo
piuttosto ostico per gli stranieri ma anche per noi italiani, a dire la verità.
Infatti, oggigiorno, si usa sempre di meno nella lingua parlata.
Ora, è vero che al Sud si usa di più in alcune regioni, soprattutto la Campania,
però al Nord non si usa e il Nord è, alla fine, il luogo dove
si parla l'italiano che è più influente,
che influisce anche sull'italiano parlato da altre parti d'Italia.
E quindi anche al Sud il passato remoto sta un po' regredendo,
si sta usando sempre di meno.
Nell'italiano di oggi è molto più comune
dire: "Sono nato a Torino" che non: "Nacqui a Torino".
Oppure: "Cinque anni fa sono andato in Grecia",
rispetto a: "Cinque anni fa andai in Grecia",
anche se è vero che ci sono delle variazioni regionali.
E in queso senso l'italiano si sta avvicinando al francese.
Poi, in italiano standard sono presenti due tempi futuri,
ma nell'italiano neostandard, sempre più spesso,
utilizziamo il presente al posto del futuro. Si chiama "presente pro futuro".
E questo avviene soprattutto per azioni che sicuramente avverranno
oppure che sono pianificate, quindi: "Domani vado dal dottore"
al posto di: "Domani andrò dal dottore", perché è una cosa sicura.
Oppure: "Tra due mesi mi scade il passaporto"
al posto di: "Tra due mesi mi scadrà il passaporto",
anche qui è una cosa sicura.
Il futuro non è morto, anzi. Però in un parlato informale
si tende ad usare sempre più spesso il presente.
A proposito, ho fatto un video su questo argomento molto tempo fa, lo trovate qui.
Il futuro, invece, ha acquisito un'altro significato,
quello di ipotesi, di probabilità, di supposizione.
- Quanti anni ha Giovanni? - Mah, non lo so. Avrà una trentina d'anni.
Oppure: "Fuori fa freddissimo, ci saranno -5°C."
Il futuro, in questo caso, non è un vero futuro, è un'ipotesi,
quindi ipotizzo che Giovanni abbia una trentina d'anni,
oppure suppongo che fuori facciano -5°C.
Anche qui, non è un uso nuovo, è un uso vecchio, attestato nella letteratura
ma che si è diffuso molto nell'italiano neostandard.
Oh, adesso finalmente facciamo arrabbiare alcuni italiani che mi stanno guardando...
"Se lo sapevo, non venivo". "Se me lo dicevi, te lo portavo".
"Se lo volevo, lo facevo".
Vi vedo, cari italiani, state già scrivendo dei commenti infuriati
del tipo: "Oddio, come si possono accettare queste frasi?!"
"Fanno schifo! Sono cacofoniche, sono terribili!"
La norma, infatti, vorrebbe: "Se lo avessi saputo, non sarei venuto"
oppure: "Se me l'avessi detto, te l'avrei portato",
o ancora: "Se avessi voluto, l'avrei fatto".
Ma io sono sicuro che, in alcuni contesti informali,
a tutti ci scappa questo uso dell'imperfetto nei periodi ipotetici.
E la parola chiave è contesto. Il contesto è fondamentale,
cioè dobbiamo superare la dicotomia che c'è un modo di parlare corretto
e un modo di parlare scorretto ed è sempre così.
No! Ci sono dei contesti e dobbiamo accettare
la nozione di appropriato e inappropriato.
In alcuni contesti è appropriato parlare in un modo
e inappropriato in un altro e in altri, invece, il contrario.
"Se lo sapevo, non venivo" va benissimo su Whatsapp oppure in birreria.
Anzi, forse è addirittura preferibile perché è più veloce.
Al contrario non andrebbe mai usato in un colloquio di lavoro.
La lingua è come l'abbigliamento: la sua formalità varia in base alla situazione.
Nessuno andrebbe a un colloquio di lavoro in costume da bagno,
così come nessuno andrebbe in spiaggia in giacca e cravatta.
Poi c'è il "che polivalente" ovvero il "che" usato in contesti
in cui non sarebbe previsto dalla norma.
Per esempio il "che temporale" in una frase come:
"Il giorno che mi sono laureato"
al posto di: "Il giorno in cui mi sono laureato".
Interessante anche il "che" in frasi come: "Mangia, che ti fa bene"
oppure: "Vai a dormire, che è tardi",
oppure: "Chiamami, che ti devo dire una cosa".
Ma anche "che" al posto di "di cui":
"Il ragazzo che ti ho parlato" al posto di: "Il ragazzo di cui ti ho parlato".
Questo forse è un po' meno accettato però si può sentire in contesti molto rilassati.
Poi ci sono gli "accordi a senso" quindi, per esempio:
"La maggior parte delle persone sono venute"
al posto di: "È venuta", come prevederebbe la norma grammaticale.
"La metà degli studenti sono assenti" al posto di: "È assente".
"Al matrimonio c'erano un centinaio di invitati"
al posto di: "C'era un centinaio di invitati".
Ad alcuni non piacciono però, bisogna ammetterlo,
sono molto, molto diffusi e non solo nel parlato.
Infine parliamo delle "frasi marcate", ovvero le frasi che non seguono
l'ordine canonico delle parole in italiano,
quindi: soggetto - verbo - oggetto. Facciamo qualche esempio!
Al posto di dire: "Ho compraro le mele" potremmo dire: "Le mele le ho comprate",
che aggiunge una sfumatura di significato molto, molto interessante, ovvero:
per quanto riguarda le mele, le ho comprate
ma magari non ho comprato le arance.
Oppure: "Gianni ha mangiato la torta", frase standard non marcata
e per esempio: "È Gianni che ha mangiato la torta",
che è un'altra frase marcata.
Anche questo uso è molto comune nel parlato, un po' meno nello scritto.
Se vi interessa c'è questo video che ho fatto molto tempo fa, in cui approfondisco.
Siamo arrivati alla fine.
Queste erano alcune delle caratteristiche dell'italiano neostandard,
ma ci sono tantissimi altri tratti di cui non ho parlato per mancanza di tempo.
Detto questo, se vi interessa trovate alcuni link interessanti,
ad alcune fonti che ho usato qui sotto,
e se state imparando l'italiano, farò un episodio bonus
del mio podcast esclusivo "Tre parole"
in cui approfondirò questo argomento
facendo altri esempi di caratteristiche del neostandard,
sul mio Club su Patreon che costa 9 dollari al mese
e vi dà accesso a un sacco di altri contenuti esclusivi.
In conclusione, l'italiano è una lingua in movimento, come tutte le lingue parlate.
È una lingua che sta cambiando tanto e questo non piace a tante persone
che ritengono che questo sia un problema
e che la lingua stia peggiorando, in qualche modo.
Io però sono più ottimista e penso che dobbiamo comunque essere felici
del fatto che adesso abbiamo una lingua che tutti in Italia parliamo,
ed è qualcosa di straordinario.
Alcune domande per voi! Per gli stranieri: avete mai fatto caso
a questi usi dell'italiano? E magari sapevate che c'è un italiano standard
che è un pochino diverso dall'italiano parlato oggi?
Invece ai nostri ospiti italiani chiederei: quali di questi usi utilizzate effettivamente?
Quali vi piacciono e quali invece non usereste mai,
nemmeno se minacciati di torture, ecco?
Un ringraziamento infine va a tutte queste fantastiche persone
che sostengono il progetto e sono iscritte al Podcast Italiano Club.
Tra l'altro siamo quasi 400!
Aiutatemi ad arrivare a 400 membri, sarei molto contento.
E detto questo, ci vediamo nel prossimo video.
Alla prossima! Ciao ciao!