'Exit Only: Cosa sbaglia l'Italia sui cervelli in fuga'
Buonasera a tutti e tutte, benvenuti a Casa Alla Terza, scusate per il ritardo,
i problemi tecnici. Questa sera diamo il benvenuto a Giulia Pastorella,
autrice del libro di cui parleremo questa sera, responsabile delle relazioni istituzionali per
Zoom e neoeletta capolista di Lavoriamo per Milano con Sala per Azione, e Federico Rampini,
giornalista scrittore e corrispondente di Repubblica a New York, nonché autore e curatore
della prefazione del libro di Giulia. Io sono Marta Bernardi e questa sera modellerò questa
conversazione. Come prima cosa, in realtà, volevo dire due parole sul tema del libro di Giulia,
un tema che mi tocca particolarmente perché io sono italiana ma oggi parlo da Vienna,
perché studio qua, e il tema del libro di Giulia sono i cervelli in fuga, o quantomeno è una nuova
prospettiva, un pochino più approfondita rispetto alla narrazione più mainstream,
sui cervelli in fuga e se fuga significa questo fenomeno per l'Italia, ma soprattutto su che
cosa potrebbe fare l'Italia per migliorare le conseguenze di questo fenomeno. Io vorrei
iniziare chiedendo a Giulia la prima cosa che mi è venuta in mente guardando il libro e leggendo
anche la prefazione. Ma quindi, dopo tutta questa ricerca che sei portato avanti, dopo la tua
esperienza personale, dopo i contatti con tutti gli expat e i cervelli in fuga che hai incontrato,
quali pensi che siano le cause principali per cui la gente se ne va dall'Italia per lavorare,
ricercare e svolgere le proprietà da un'altra parte del mondo? Grazie Marta e grazie alla
Terza di darmi l'opportunità di parlare di questo libro che in effetti può parere un libro un
pochino pessimista, che dipinge un'Italia che fa scappare i propri talenti e visto che Marta
mi chiede che cosa li fa scappare, il primo aspetto da dire è che non tutti scappano,
quindi attenzione di fare tutta l'erba un fascio, c'è chi va semplicemente perché ha voglia,
perché vuole fare un'esperienza, perché cerca una diversità di cultura o di lavoro che magari
in Italia non c'è e c'è invece proprio chi scappa. Immagino che la tua domanda si riferisca più a chi
scappa, quindi ai cervelli in fuga propriamente detti. Le statistiche ci dicono, perché questo
libro non è un libro solo di aneddoti, solo di storia personale, è un libro che ha cercato di
basare proprio, sfatare qualche mito guardando ai dati soprattutto, i dati ci dicono, i sondaggi
che sono realizzati tra i cervelli in fuga, ci dicono che la motivazione principale è spesso
legata al mondo del lavoro in senso lato. Cosa significa? Non significa solo alla mancanza di
lavoro, quindi alla disoccupazione in senso stretto, ma anche alla qualità del lavoro e
quindi a che tipo di occupazione si trovi in Italia, è legata alla cultura sul mondo del
lavoro, quindi una cultura mi spiace dire purtroppo gerontocratica, per cui si valorizza
molto l'esperienza e poco magari l'innovazione o la giovinezza o l'entusiasmo o l'energia o quello
che sia e soprattutto, e questo fa più male per una come me che ha comunque investito tanti anni
nello studio, ho tenuto un PhD e tutto, una sottovalutazione, una valutazione bassa,
valorizzazione bassa delle competenze in particolare accademiche, ma non solo e quindi
a parità di qualifiche accademiche in Italia per esempio si guadagna molto meno, si fa carriera
molto più lentamente e così via e così via, quindi le motivazioni principali che ci raccontano sono
quelle legate al mondo del lavoro. Una piccola parentesi aggiuntiva è che però poi quando si va
a scavare sotto e quando si parla con chi è scappato via, il lavoro è la punta dell'iceberg,
poi c'è tutto il resto di queste che sono persone, non sono solo cervelli, per cui molto spesso si
adducono motivazioni più legate al benessere generale, alla mancanza di servizi per la
persona, all'essere donna e non trovare necessariamente un ambiente non solo lavorativo,
ma proprio in generale di cultura, di società adatto e così via, quindi diciamo il lavoro come
prima motivazione sicuramente, ma poi con tutto quello che si porta dietro in termini di queste
persone e non solo questi cervelli. Grazie Giulia, a questo punto in realtà vorrei chiedere a Federico,
ma anche a Giulia volendo, di introdurre un po' quello che è l'argomentazione principale
dell'inizio del libro, quindi questo ribaltamento di prospettiva dal considerare la fuga dei
cervelli come in qualche modo una causa del declino dell'Italia a considerarla un sintomo
del declino dell'Italia, quindi cosa significa che ribaltiamo la prospettiva, che cosa cambiamo
nella narrazione tra i giorni, al di là del date alla mano considerare chi è che se ne va perché
effettivamente non sta bene in Italia e chi è che invece vuole andare. Quale step bisogna fare per
provare a ragionare in modo un pochino più razionale sul fenomeno? Ma intanto premetto che
questo è un libro molto bello, molto importante, un libro che trova un giusto equilibrio tra
l'aspetto della testimonianza personale, cioè si parte dal caso concreto dell'autrice che è un
cervello in fuga, però poi allarga la visuale, non è basato solo sull'anedotica, c'è anche tanta
ricerca scientifica sul fenomeno ed è un libro che offre tanti approcci originali, interessanti e
quindi è una lettura che consiglio decisamente. Premetto che io sono chiamato in causa non in
quanto cervello in fuga perché appartenga a una categoria un po' diversa, sono un espatriato che
però ha prevalentemente lavorato per aziende italiane, giornali, case editrici, quindi non
mi posso considerare un cervello in fuga e tuttavia quello dei cervelli in fuga è un mondo
che conosco molto bene perché ci convivo da alcuni decenni, perché nelle mie varie vite all'estero,
addirittura cominciato da Bruxelles che è la sede attuale di Giulia, poi Parigi e così via,
insomma San Francisco, Pechino, New York, mi sono imbattuto costantemente in cervelli italiani in
fuga, li ho frequentati, molti di loro sono miei amici tuttora e quindi le loro storie fanno parte
della mia, nel senso che i loro sfoghi o comunque i racconti che fanno delle ragioni della partenza
sono una parte dell'informazione che ho travasato nella breve prefazione a questo libro. A me colpisce
una cosa, vorrei aggiungere tutte le motivazioni della fuga dei cervelli che Giulia ha appena
ricordato, nei racconti, nelle testimonianze che ho raccolto io c'è anche molto forte la fuga da
un paese poco meritocratico, l'ha già accennato un po' Giulia, è un paese dove ancora le reti
familistiche, nepotistiche, l'essere figlio di qualcuno, figlia di qualcuno, l'essere raccomandati
è fondamentale nella carriera, nell'inizio carriera e nel prossimo carriera. Cose che
altrove sono meno importanti, non dico che non esistono, per carità, Hollywood per esempio,
i cognomi di attori che si ereditano di padre in figlio, di nonno in nipote ci sono anche qua,
oppure le dinastie, le grandi dinastie del capitalismo americano, anche qui qualcosa si
eredita, però complessivamente negli Stati Uniti i giovani italiani che vengono trovano
una società che è più accogliente per chi vuole farsi strada puntando solo sul proprio talento e
non su parentele, amicizie, clan, raccomandazioni, politici che ti aiutano e così via. Questa è una
cosa che ho sentito molto forte, così come ho sempre sentito molto forte il tema del sessismo,
in particolare nel mondo della scienza, cioè qui in America conosco tante scienziate italiane
che sono venute via dall'Italia perché è ancora un paese dove i baroni universitari che comandano,
che dominano, che elargiscono, favori, prebende, incarichi, assunzioni, sono degli uomini e
prevalentemente favoriscono altri uomini e c'è proprio ancora la forza di un pregiudizio
antifemminile, nonostante che poi qui vediamo quante scienziate italiane sono bravissime,
si fanno strada una volta liberate dalle oppressioni del sessismo italiano. Però torno
alla domanda della moderatrice, uno degli aspetti interessanti del libro di Giulia Pastorella,
è proprio insistere sul fatto che non bisogna demonizzare il fenomeno della circolazione dei
cervelli, è un fenomeno universale, tutti i paesi hanno dei flussi in entrate e in uscita,
uno dei problemi italiani, uno degli handicap dell'Italia è proprio condensato nel titolo
exit only, dall'Italia si esce, in Italia si entra poco, non riusciamo a compensare il deflusso di
talenti italiani con un afflusso perché non siamo abbastanza competitivi nell'attrarre giovani dal
resto dell'Europa, dall'Asia, dalle Americhe e così via, ci sono degli arrivi di stranieri,
ma sono dei rigagnoli, veramente poca cosa rispetto ai flussi in uscita e questo rimanda
di nuovo a tutti gli ostacoli del sistema paese, quindi in questo senso la risposta senz'altro è
il exit only, il fenomeno è più un sintomo del declino dell'Italia che non una causa,
perché della fuga dei cervelli si può fare anche un uso positivo, produttivo e quindi concludo con
due accenni, uno è quello che i cervelli, soprattutto in un'epoca che ha abbastanza
smaterializzato il lavoro, in cui si lavora molto a distanza, è facilissimo incontrare
dei cervelli italiani che vivono una parte della loro vita magari prevalente nella Silicon Valley
in California, però hanno dei progetti di start up che riguardano l'Italia e quindi che arricchiscono
l'Italia da lontano, ma questo è sempre più possibile, addirittura è sempre più facile.
La seconda cosa è la possibilità di usare il deflusso di cervelli come un arricchimento del
paese, facendoli prima o poi ritornare e colpisce come ci siano altri paesi che ci sono riusciti
molto meglio di noi, quello che io conosco meglio di tutti, a cui accenno nella prefazione al libro,
è la Cina, la Cina è abbastanza sconcertante perché un regime autoritario dovrebbe avere
molti più handicap dell'Italia, invece la Cina riesce ad attivare un ritorno di cervelli,
non li fa tornare tutti, ci sono anche tanti cinesi che rimangono all'estero,
dopo aver studiato all'estero ci restano, però c'è un consistente flusso di ritorno di cinesi
a cui la Cina fa ponti d'oro perché tornino in tutti i sensi, cioè gli offre soldi ma anche
potere e questa è una delle cose che l'Italia non sa fare, cioè l'Italia ai cervelli emigrati non
fa ponti d'oro né dal punto di vista economico né tanto meno dal punto di vista delle posizioni
di potere e qui mi fermo. Se posso allora completare la domanda,
la riflessione in effetti che vuole un po' sfatare il mito è anche il mito di bisogna a tutti i costi
farli tornare o bisogna a tutti i costi, cioè la soluzione è che tutti ritornino, è vero che si
potrebbe fare molto di più perché ritornino e sicuramente sarebbero un valore aggiunto per il
paese ma attenzione a pensare che questa sia l'unica strada. In questo senso quello che mi ha
stupito vedere o meglio potevo immaginarmelo ma quello che ho scoperto è che c'è un grossissimo
dibattito anche a livello accademico su proprio quale sia la migliore maniera di affrontare questo
tema e soprattutto quale massimizzi il valore aggiunto di questi cervelli perché se noi
immaginiamo il cervello come una sorta di contenitore di potenzialità, di qualità,
di innovazione, di un imprenditore in petto insomma sono delle persone che danno valore
aggiunto giusto? Quindi la domanda vera è questo valore aggiunto noi che cosa ne vogliamo fare?
Ce lo intestiamo come italiani e vogliamo farli tornare a tutti i costi perché l'Italia li ha
formati, li ha pagato i loro studi, ha pagato il servizio sanitario nazionale che li ha curati
da bambini e quindi sono una proprietà dell'Italia e quindi dovrebbero dare valore aggiunto all'Italia
oppure pensiamo che il valore aggiunto del cervello si possa esprimere e realizzare magari
meglio per esempio negli Stati Uniti dove una donna non è penalizzata invece che in Italia e quindi
dovremmo incentivare quasi questa partenza. Questa lotta tra le due scuole di pensiero da
una parte di dire i cervelli sono proprietà dello stato che li ha creati tra virgolette e dall'altra
di dire no i cervelli sono proprietari di loro stessi prima di tutto e portano valore aggiunto
e possono essere più realizzare meglio le loro potenzialità altrove, questo dibattito tra queste
due scuole va avanti da decenni e non è un dibattito astratto è un dibattito che poi ha
portato a sviluppare politiche che affrontano questo tema in maniera molto diversa
dal tassare i cervelli che partono con una sorta di punizione fino invece all'incentivare dando
addirittura fondi per esempio andare a ricercare a fare ricerca all'estero o andare a studiare
all'estero quindi la lastrazione di dibattiti accademici poi si rivelano essere quelli che
toccano la pelle di questi cervelli che sono poi oggetto di varie politiche di più o meno rientro.
L'altro mito da sfatare secondo me visto che chiedevi qual è un po' insomma il fondo e la
differenza è il mito di pensare che il maggior problema dell'Italia sia non solo che abbiamo
più cervelli che se ne vanno degli altri paesi cosa che come appena detto Federico non è così
ma che siano solo i cervelli che partono se invece guardiamo all'emigrazione totale dall'Italia c'è
una grossissima fetta in realtà la maggioranza che non è cervelli in termine stretto quindi che non
sono laureati che partono eppure c'è un'emigrazione fortissima che penalizza altrettanto il nostro
paese per cui ci c'è tutta questa narrativa narrazione fatta sui cervelli in fuga che ignora
completamente tutto il resto di quello che è in fuga dal nostro paese che ci può creare problemi
e come dicevi tu giustamente Marta che accusa veramente punta al dito è un po' da lì che io
sono partita per scrivere questo libro che punta al dito contro noi cervelli in fuga
dicendo è colpa vostra se il paese va a remengo se il paese va a scatafascio e la risposta dei
cervelli in fuga anche i miei amici i miei colleghi i miei compagni d'università e tutti è di dire no
cioè noi ce ne siamo andati perché il paese va a scatafascio perché è troppo burocratico perché è
impossibile fare impresa perché l'università è appunto piena di baroni con i concorsi truccati
e sotto finanziata e così via e così via e i politici non si prendono mai la responsabilità
e quindi è più facile accusare noi cervelli in fuga che non dire forse dovremmo sistemare il paese
affinché loro tornino. Posso aggiungere una cosa, un'osservazione su quest'ultimo, questo è un
passaggio molto interessante, Giulia ha aperto uno squarcio su una realtà che è quella dei non
laureati che se ne vanno e qui allora vorrei ricordare un aspetto che trovo particolarmente
interessante perché lo vedo crescere di anno in anno qui negli Stati Uniti ma anche in altre
parti del mondo che il mondo della ristorazione della gastronomia italiana noi abbiamo noi stiamo
esportando un'intera generazione di giovani chef allora qui è un fenomeno molto molto interessante
perché da un lato è la conferma cioè se ne vanno perché aprire un ristorante poi magari allargarsi
e diventare catena di ristoranti è decisamente più facile in un paese come gli Stati Uniti dove la
burocrazia è meno penalizzante per chi vuol fare impresa. C'è anche qui l'aspetto positivo
della fuga dei cervelli perché questi diventano questi giovani a volte giovanissimi che vengono
a portare gastronomia italiana di altissima qualità negli Stati Uniti sono degli ambasciatori del
made in Italy quindi non sottovalutiamo il fatto che il cervello in fuga alle volte è addirittura
un ponte che l'Italia lancia verso nuovi mercati e che diventa un modo per rafforzare certi flussi
di esportazioni migliorare l'immagine del made in Italy. Negli Stati Uniti la cucina italiana
fino a 25 anni fa era una cucina povera era una cucina prevalentemente italo-americana
adesso è una cucina di altissima qualità che sta spesso sostituendo la cucina francese nella
fascia alta del mercato. Tutto questo ha delle ricadute molto importanti poi sulle esportazioni
dei nostri prodotti agroalimentari perché crea nuova domanda. Allora qui da un lato questo è
un fenomeno a cui dobbiamo dedicare più attenzione anche se non sono laureati anche se non hanno
diciamo pesato sul bilancio pubblico italiano per la formazione universitaria o post-universitaria
però sono degli aspetti della fuga dei cervelli molto interessanti anche per il risvolto positivo
che possano avere. La nostra moderatrice non riesce più a parlare allora ne approfitto per
aggiungere un elemento a questo che l'altra cosa in cui queste due scuole di pensiero che
avevo raccontato si differenziano è proprio vedere la fuga dei cervelli o come una somma a zero o come
invece un fenomeno che ha aspetti positivi aspetti negativi sia per i paesi d'origine che per i paesi
di destinazione cosiddetti. A quello che diceva Federico aggiungerei che un'altra maniera in cui
i cervelli in fuga sono dei ponti è per gli investimenti verso l'Italia. Al di là di essere
degli ambasciatori sono molto spesso proprio il tramite fisico, il tramite tra chi vorrebbe
investire in Italia ma non sa bene come fare questi si tramutano in ambasciatori in quel senso quindi
le ricadute positive sono sia di reputazione ma anche proprio di conoscenza del paese di fatto
che queste diaspore organizzate possono aiutare altre nazionalità a capire e a fidarsi e poi a
investire nel nostro paese quindi gli aspetti positivi sono tanti e la vera domanda è come
viene calcolato il valore aggiunto nel cervello viene calcolato puramente per l'Italia viene
calcolato per il livello europeo per esempio visto che stiamo dentro a un'unione che in dove in teoria
c'è il mercato unilogico la circolazione libera di cervelli e non di persone insomma e così via e
quindi questa è un po' la domanda e un po' la sfida che lancio dicendo attenzione a pensare che il più
e il meno del valore aggiunto nei cervelli sia solo da considerare in relazione al piccolo paese
Italia e non a pensare alle ricadute positive anche di chi va fuori per l'Italia. Grazie Giulia
per l'aggiunta i problemi tecnici ogni tanto persistono e in realtà uno degli aspetti che
ha prestato di più del libro è il fatto che si rifà moltissimo a pubblicare il libro per
provarsi in atto sia in Italia che all'estero per contenere il fenomeno dei cervelli in fuga.
Credo di aver capito che la domanda è sulle politiche per trattenere.
Tu senti qualcosa?
Io direi per scontato che hai capito bene la domanda,
sì politiche per trattenere.
Allora se le politiche in effetti dedico un capitolo non solo alle politiche per trattenere
ma a tutti i vari tipi di politiche che sono usati per affrontare più che solo trattenere
i cervelli. Abbiamo capito che la domanda è sulle politiche per trattenere i
cervelli giusto? Allora andiamo da soli. Come dicevo prima trattenere è solo una
delle opzioni che la politica ha per affrontare questo problema. Le politiche che trattengono i
cervelli tendenzialmente significa che il governo in questione o il politico in questione interpreta
la fuga dei cervelli come qualcosa di potenzialmente negativo e quindi per trattenere i cervelli vanno
dalle opzioni più soft come possono essere degli incentivi, delle più borse di studio,
miglioramento delle condizioni, insomma tutto quello che è un incentivo a restare in senso
lato o fino ad arrivare a misure molto più dure come quella a cui accennavo prima che può essere
l'idea di tassare le persone che emigrano, cosa che io personalmente trovo illiberale
come atteggiamento però è una delle opzioni che non sono state proposte soprattutto nell'ambito
di paesi in via di sviluppo in cui la fuga dei cervelli ha veramente un impatto probabilmente
anche più negativo di quello che può avere in paesi europei o in paesi occidentali perché insomma
viste le condizioni di partenza l'esodo per esempio di medici infermieri è stato uno dei
problemi che i paesi in via di sviluppo hanno dovuto affrontare di più. Quindi trattenere è
una delle possibilità che ci sono, ci sono però anche altre possibilità per gestire il fenomeno
che sono possibilità di come diciamo prima di utilizzare meglio le diaspore quindi utilizzare
meglio i cervelli che sono usciti, ci sono opzioni di trattenere che sono opzioni in realtà di
attrattività nel senso di incentivare l'arrivo di talenti in senso lato che sia il ritorno dei
cervelli o che sia l'attrattività per altri talenti. Queste possono essere per esempio dei
visti nel senso di per l'immigrazione più rapidi o meno costosi per un certo tipo di profilo un po'
come la green card americana che c'è l'equivalente europeo che la blue card ma viene usata molto poco,
possono essere addirittura politiche fatte per incentivare la partenza ma anche il ritorno,
queste sono per dire borse di studio per studiare all'estero ma che poi si aspettano come dire un
ritorno e sono legate a un tot di anni o un tot di tempo che poi lo studente deve passare invece
nel paese nel paese da cui è partito. Quindi questo è solo per dare qualche esempio ma per
dire che le politiche, i politici hanno affrontato questo problema in tantissime maniere diverse e
molto spesso con una combinazione per cui anche l'Italia per esempio per far tornare i cervelli ha
principalmente utilizzato quelli che io chiamerei in maniera così per raggrupparne insieme dei bonus,
quindi diminuire le tasse, degli incentivi per il traslochi cioè degli incentivi finanziari per
aiutare sul trasloco e così via che sono misure però un pochino limitate nel tempo e io aggiungerei
anche di poco effetto sul lungo termine però insieme a queste misure specifiche anche l'Italia
ha provato a migliorare la situazione dell'università e della ricerca con aggiungerei io scarsi risultati,
ha provato a sistemare tra regolette la questione femminile anche lì si potrebbe far meglio quindi
ogni paese che ho analizzato ha scelto una combinazione diversa di queste varie tipologie
di politiche per affrontare il brain drain e nessuno di questi paesi almeno di quelli che
io ho analizzato si è focalizzato solo ed esclusivamente su un aspetto. Allora io qui
tornerei sull'esempio che mi sembra il più interessante di tutti che è la Cina perché più
che trattenere i cervelli in fuga la Cina ha considerato anzi per gran parte della sua storia
recente che era nel suo interesse incoraggiare una fuga dei cervelli con la fiducia che sarebbero
ritornati. Questa è una cosa che è abbastanza stupefacente per un regime autoritario, di solito
i regimi autoritari tendono a ridurre la mobilità delle persone, dei loro cittadini, invece la Cina
dopo soprattutto dopo piazza Tiananmen 1989 imbocca una strada veramente originale cioè
Deng Xiaoping che allora era il leader comunista cinese in carica dice letteralmente ai giovani
cinesi andate a studiare all'estero, siamo un paese povero, siamo un paese arretrato,
non riusciremo mai a vincere la sfida del decollo economico e della modernizzazione
basandoci esclusivamente sulle nostre conoscenze. Abbiamo bisogno che andiate a studiare nelle
migliori università americane, inglesi, tedesche, giapponesi e poi tornerete e grazie a voi
costruiremo una Cina molto migliore e così è stato, cioè è stato veramente un uso, anzi proprio
un incentivo allo studiare all'estero come un modo per addirittura saltare una tappa, accelerare,
accorciare i tempi dello sviluppo economico e della modernizzazione di un paese. È stato un
esempio veramente interessante e la capacità della Cina di far ritornare una parte consistente,
veramente una parte ragguardevole dei cinesi che hanno studiato all'estero, di nuovo non ha fatto
ricorso a metodi coercitivi, a forme di costrizione o tassazione, è stato proprio un saper organizzare
il sistema cinese in modo che fosse accogliente, che offrisse prospettive di carriera, di successo
professionale e ripeto anche posizioni di potere importanti. Il mondo universitario è sconcertante
in paragone tra Cina e Italia, cioè in Cina oggi è normale trovare al vertice, alla guida di interi
dipartimenti universitari, di interi centri di ricerca scientifica dei cinesi che hanno fatto
gran parte della loro carriera all'estero, mentre sappiamo quanto il mondo accademico italiano tende
a premiare chi è rimasto vicino al barone, a coccolare quelli che sono rimasti nella cerchia
prossima del barone, quindi abbiamo molto da imparare in questo senso dal caso cinese. Poi
c'è un ingrediente in più su cui bisogna aprire una riflessione che è il nazionalismo. I cinesi
tornano a casa anche perché il nazionalismo è un collante ideologico molto forte, non so quanto
siamo in grado di attivare anche questa leva per il ritorno degli italiani. Abbiamo le nostre forme
di nazionalismo e ricordiamoci sempre quando parliamo di ciò che possiamo fare per incentivare
un positivo, diciamo una circolazione duale nei due sensi. E' bene che gli italiani vadano a
studiare all'estero come ci sono andati i cinesi, è altrettanto positivo se una parte di loro hanno
le opportunità e la voglia di ritornare nel loro paese. Ricordiamoci sempre che per i talenti in
fuga, per i cervelli in fuga, staccarsi dal proprio paese comporta dei sacrifici enormi. Pensiamo alla
vita personale, agli affetti e a quelle forme di nazionalismo per cui tutti amiamo molto l'Italia.
Non è così semplice staccarsi, anche se l'Italia qualche volta è una matrigna che ci ha deluso,
ha inflitto tante penalità perché non facevamo parte del clan giusto, però è un paese che amiamo
profondamente e quindi la voglia di tornare c'è. Non so se sia così forte come il nazionalismo
dei cinesi, però l'amore degli italiani per l'Italia è un dato reale. Io provo a parlare,
non so se mi sentite. In realtà io volevo sviluppare un accenna che aveva fatto Giulia
all'inizio, cioè il fatto che le persone che partono vengono sempre indicate con queste
mediche del cervello, del neurone, però è un po' diminuendo ed effettivamente non rende
la tridimensionalità delle persone che partono. Oltre ad essere persone interne d'ossa,
hanno di solito a seguito anche amici, famiglia, affetti, tutto un mondo che spostano dall'Italia
ad un altro paese. Partendo da questa riflessione che Giulia fa nel libro, vorrei provare ad aprire
un po' un dibattito su un'altra questione, cioè noi espatriamo moltissimi giovani che poi in buona
parte non tornano, ma soprattutto riceviamo pochissimi cervelli, neuroni, talenti, riceviamo
pochissime persone che scelgono di trasferirsi in Italia. Questo anche perché trasferirsi in Italia
non è facile dal punto di vista burocratico, non solo per la persona che si trasferisce,
che magari ha trovato lavoro in Italia o ha vinto un'esperienza di ricerca, cosa quasi impossibile,
ma è difficile soprattutto per tutta la famiglia e gli affetti che ci sono a seguito. Per esempio
accedere a dei corsi in italiano gratuiti o accedere a tutti quei servizi che permettono
di integrare nel paese d'arrivo è una cosa piuttosto complicata e Giulia ne parla nel
libro, quindi volevo chiederle un po' di approfondire questo aspetto e soprattutto
cosa fanno i paesi che riescono a rendere facile questa transizione non solo per la
persona che parte, ma anche per tutte le persone che lo circondano e che parlano insieme.
Sì, intanto fai bene a ricordare che i cervelli in fuga non sono solo cervelli e che non sono
monadi, quindi non sono da soli. Non c'è una pratica unica e univoca che direi può risolvere
il problema perché ogni famiglia è diversa, ogni persona è diversa, quindi c'è chi ha bisogno del
corso d'italiano, c'è chi non ha bisogno, però diciamo che globalmente alcune best practices
che ho visto sono all'interno dell'università per esempio, dove spesso c'è un cosiddetto partner
placement, quindi cercano di piazzare e di aiutare a piazzare, piazzare suona male,
ma insomma di trovare un lavoro anche alla persona, il compagno o alla compagna dell'accademico che si
sposta nell'università e che cerca, che non vuol dire piazzarlo in senso italiano, ma vuol dire
aiutare a cercare a capire il mondo del lavoro, a capire appunto gli aspetti burocratici. Io penso
che la vera svolta sia quanto, e me ne sono occupata durante la mia campagna qui per Milano,
quanto una città, persino una città come Milano che in teoria in Italia è particolarmente avanti,
quanto è capace di pensare alle necessità di stranieri o italiani di ritorno quando arrivano
nella città e soprattutto per gli stranieri, visto che parliamo di attrattività di talenti
anche non italiani, molto spesso è difficilissimo, al di là delle complessità burocratiche che già
sappiamo essere, noi siamo particolarmente bravi a renderci la vita complessa, ma anche proprio
banalmente per la lingua, non esistono sportelli in una lingua che non sia l'italiano dove il
commesso di turno, insomma il funzionario di turno semplicemente urla più forte se tu non
parli italiano, non ci sono pagine dedicate che ti accompagnino la persona straniera in tutti questi
vari processi, anche per l'investitore straniero, perché ricordiamoci che non stiamo solo parlando
di singoli accademici o lavoratori dipendenti, ma anche di investitori, molto spesso manca
l'infrastruttura della cosiddetta business diplomacy che per esempio in Inghilterra è molto
sviluppata e quindi ci sono tanti pezzettini che metterei sotto la parola forse internazionalizzazione
dei servizi locali, comunali, statali eccetera, anche dell'apparato burocratico che si potrebbe
fare. L'altro aspetto fondamentale penso sia in generale i servizi come chiamare, i servizi di
welfare, nel senso che tante delle ragioni per cui i cervelli non tornano è perché non esistono,
che ne so se sia una famiglia, non ci sono posti negli asili nido, non ci sono le scuole giuste in
certe città, insomma ci sono tutte delle problematiche legate al resto della famiglia
del famoso cervello in fuga o della famosa cervello in fuga che non esistono, proprio non
vengono supportati, ma qui mi porta infatti a una considerazione generale che è che io sappia,
che io abbia trovato in questa ricerca per questo libro, non esiste una maniera di far
tornare o di attrarre talenti, ci sono tante cose che vanno fatte su tanti fronti e che non
sono fatte, ci sono tante cose che devono essere fatte all'università ma non solo sradicare le
baronie ma anche banalmente smettere di pensare che non si possono fare corsi in inglese perché
se no perderemo la nostra italianità, cosa che è stata più volte dibattuta e per ora l'inglese ha
sempre perso e così via, quindi la risposta è complessa ma deve essere per forza sfaccettata
perché solo così l'Italia purtroppo deve operare un cambiamento su più fronti, non basta una cosa,
non basta la riforma della giustizia, non basta la riforma della burocrazia, non basta
l'internazionalizzazione, non basta la facilitazione all'imprenditoria, cosa che è complicatissima in
Italia e così via e così via, quindi è poco soddisfacente come risposta però purtroppo
bisogna perché le cose cambino in Italia bisogna davvero cambiare tanti tanti tanti tanti aspetti.
Grazie mille e Federico se vuoi aggiungere qualcosa?
Ma più che aggiungere posso sottolineare, mettere un accento ulteriore su cose che Giulia Pastorella
ha già detto, la burocrazia è un problema enorme per l'Italia, abbiamo una delle peggiori
burocrazie di tutto l'Occidente, quindi è una delle ragioni che portano a exit only,
a tante fughe e pochi ritorni o tanti flussi in uscita e pochi flussi in entrata, quindi è un
nodo strutturale da affrontare, è uno tra l'altro dei cantieri delle riforme che Draghi si è impegnato
a portare avanti nell'ambito del piano next generation EU, quindi non sottovalutiamo le
resistenze enormi che incontrerà, perché se abbiamo quella burocrazia lì è anche perché ormai
si sono creati degli interessi consolidati, sono cristallizzati tanti interessi a far funzionare
la pubblica amministrazione in quel modo, quindi è una battaglia, non è solo una riforma, sarà
uno scontro, per vincerlo bisogna anche sconfiggere delle resistenze umane molto importanti. E
l'inglese? La lingua inglese sì, è l'altra cosa, io siccome ogni tanto vengo invitato da università
italiane noto che soprattutto nel nord Italia si diffondono i corsi in lingua inglese, però è un
inglese spesso un po' maccheronico, insomma ancora abbiamo dei problemi che risalgono al
modo in cui la lingua viene insegnata nelle scuole medie e nei licei. Quando si parla dei grandi
cantieri delle riforme che questo governo Draghi deve affrontare sempre nel quadro del next
generation EU, si mette giustamente l'accento sulla digitalizzazione, perché anche su quel
terreno l'Italia ha dei ritardi enormi, ma forse bisognerebbe anche ricordare quanto siamo indietro
nella diffusione dell'inglese come seconda lingua universale, un inglese parlato bene,
non un inglese imparato su manuali scolastici con insegnanti italiani che non lo sanno,
lo parlano male, con l'accento sbagliato, la pronuncia sbagliata, è una retratezza molto
seria, se facciamo il confronto con i paesi del nord Europa, paesi scandinavi dove gli inglesi
lo parlano come se fossero nati in Inghilterra o negli Stati Uniti, è un nostro ritardo grave.
Ok, mi sentite? Allora, a questo punto, in realtà, raccogliendo questi feedback su quanto
sia sistemica la natura del problema e quindi su quanto debba essere sistemica anche la natura
della soluzione che si dovrebbe proporre, io vorrei ripartire dal titolo del libro di Giulia,
exit only, che si rifà al framework di Hirschman, per cui se una persona si trova male
nell'organizzazione in cui lavora o in cui comunque svolge un'attività, ha due grandi opzioni,
exit, uscire, lasciare l'organizzazione, oppure voice, farsi sentire, speak up,
far sentire la propria voce e cercare di migliorare il posto in cui è, di modo da trovarsi meglio lui,
ma anche far trovare meglio tutte le altre persone nella stessa situazione. Quindi a me
piacerebbe approfondire la frase con cui Giulia chiude il libro, dicendo che la cosa migliore
sarebbe che le persone potessero fare entrambe le cose, cioè uscire, se vogliono, ma anche speak up,
quindi dare voce a quelle persone che escono e non colpevolizzandole come se avessero sprecato
le risorse del Paese per poi andarsene e sprecarle in giro per il mondo, come se peraltro il valore
aggiunto non fosse una cosa che si scambia tra un Paese e l'altro, quindi con una prospettiva
molto nazionalistica. Quindi prendendo per esempio alcune delle soluzioni che sono indicate come
good practice nel libro, come per esempio la blue card, che sarebbe un po' la versione della green
card americana però in salsa europea, che dai dati che sono andata a leggere dal libro in realtà è
usata soprattutto dalla Germania e l'Italia per esempio lo usa pochissimo, a soluzioni come
l'opzione di Aspora che sostanzialmente consiste, da quanto capito, nella creazione di network di
espatriati che in qualche modo dovrebbero riuscire a condividere informazioni e quindi ottimizzare...
Completiamo noi la domanda? Quindi immagino che la domanda sia quali sono appunto le maniere
in cui si può fare fronte a questo problema. Ne ha menzionate due, queste due sono ancora una
volta sono espressioni di scuole di pensiero diverse, perché la blue card significa attrarre
talenti al di fuori dell'Europa, dal di fuori dell'Europa e quindi significa anche avere il
coraggio di pensare che questi talenti non saranno l'ennesima influsso di immigrazione che fregherà il
lavoro a chi invece è nativo del paese e quindi avere un po' lo stesso coraggio della
Cina in un certo senso, al contrario di dire anche se attraggo riuscirò comunque a valorizzare i miei
talenti perché attrarrò solo quello che manca nel paese e quindi c'è un po' questa idea di essere
fiduciosi del fatto che se si attraggono altri talenti o se si mandano i propri in giro comunque
il beneficio tornerà. L'opzione diaspora che hai menzionato sicuramente è una seconda cosa che si
riferisce a quello che si diceva prima del fatto che le diaspore possono portare valore aggiunto
al paese d'origine se sono organizzate bene, molto spesso queste diaspore si auto organizzano
quindi si creano gruppetti di interesse ma questi gruppetti di interesse di cervelle in fuga molto
spesso non riescono a riportare a casa quello che hanno imparato senza tornare a casa fisicamente.
Quello che voglio dire è quello che hanno visto, vissuto di buono nei paesi in cui sono andati
quindi all'estero non viene utilizzato dall'Italia per imparare tutta conoscenza e capitale che molto
spesso resta nelle diaspore e non viene riportato a casa. Altri aspetti su cui si può
lavorare sicuramente se prendiamo per esempio il mondo accademico, al di là delle cose come si
scardinano le baronie, come si fa sì che i concorsi di dottorato non siano fintamente
meritocratici, secondo me la chiave sta in una valutazione, in un'assegnazione delle risorse
basato sul merito dell'istituzione, non sto parlando del singolo ma non solo del singolo
professore ma dell'istituzione in generale e quindi rendere un pochino più accountable le
università dei loro risultati non solo delle pubblicazioni ma anche della qualità dell'insegnamento
in questo senso il modello che conosco meglio è quello britannico dove c'è tutto un sistema
di valutazione, le università britanniche, tanti non lo sanno ma sono per la maggior parte pubbliche,
c'è un sistema di valutazione che poi distribuisce a seconda del ranking non solo una questione di
reputazione ma proprio anche dei fondi, in Italia questo si era tentato di fare ma alla fine non
succede per cui si distribuiscono fondi a piogge in maniera più o meno uguale tra tutte le università
e questo non porta a un miglioramento, non porta un'eccellenza, non porta a una scelta più
meritocratica se vogliamo tra le varie istituzioni e c'è tutto il capitolo invece di necessità di
internazionalizzare l'università di cui abbiamo già parlato. Poi si dovrebbe agire sul fronte
del cosiddetto quello che Federico ha chiamato sessismo, io lo chiamerei più un problema
culturale con il ruolo della donna nella società che abbiamo visto, tutti credo abbiate visto,
quel terribile sondaggio, io l'ho trovato terribile, che è stato pubblicato durante,
mi parla il primo lockdown in cui si chiedeva alle donne di esprimere un giudizio su varie
cose tra cui cosa si pensa della donna che va a lavorare avendo una famiglia e le donne stesse
erano le prime a dire sicuramente sarà una madre de genere, sicuramente non riuscirà a tirare sui
bambini come si deve e questo significa che il problema è proprio culturale e lì è difficile
dire che cosa si può fare per cambiare questa cultura, io non sono una fautrice delle quote
rosa per niente, penso che siano proprio la maniera sbagliata di approcciare il problema
e quindi lavorerei più su aspetti intanto di educazione e di sfatare gli stereotipi di genere,
quindi attraverso role models e altro e secondo lavorare sull'aspetto del settore privato del
pubblico perché lì si può con approcci non necessariamente legislativi ma più di incentivi
all'attenzione alla presenza femminile operare un cambiamento che per forza prenderà del tempo.
L'ultimo e poi veramente mitaccio è la questione del settore pubblico perché parlo del settore
pubblico come un settore prioritario da sistemare non solo per la parte burocrazia eccetera di cui
abbiamo già parlato ma anche perché il settore pubblico è un grandissimo datore di lavoro cioè
è un datore di lavoro importante, un datore di lavoro che o meglio è un settore se vogliamo
che quando non funziona l'intero paese si blocca e quindi per me è prioritario rivedere come funziona
il processo di selezione e di recrutamento all'interno del settore pubblico non solo per
farlo diventare attrattivo come appunto come datore di lavoro potenziale perché adesso i
migliori talenti non finiscono certo a fare l'impiegato molto spesso statale e quindi sia
come datore di lavoro che come proprio un motore del paese che lo fa funzionare più che un motore
quasi l'olio negli ingranaggi del paese. Se riuscissimo a cambiare e ad avere più talenti
se vogliamo anche talenti di ritorno che arrivassero nel settore pubblico penso che
il paese non potrebbe che beneficiarne. Queste sono alcune delle opzioni che do alla fine del
libro ne do tante altre visto che le cose da fare sono tante però insomma ci sono come dicevo prima
non c'è un cosiddetto silver bullet come lo chiameremo appunto all'estero non c'è una
soluzione perfetta ma ci sono tante cose su cui lavorare e ci vorranno probabilmente più del
governo Draghi, più del prossimo governo, ci vorranno diversi governi per riuscire a fare tutto.
Mi collego sia con le domande di Marta sia con quello che ha appena detto Giulia,
intanto riparto proprio dall'alternativa di Hirschman, combattere dentro il sistema per
cambiarlo oppure uscire dal sistema, le due cose non si escludono, bisogna avere chiaro di cosa si
tratta quando si dice combattere dentro il sistema. Io mi scaglio contro il piagnisteo
giornalista che descrive i problemi dell'Italia come problemi di una guerra tra generazioni,
con i vecchi troppo potenti che bloccano le opportunità dei giovani, lo faccio probabilmente
anche perché sono dalla parte sbagliata della barricata anagrafica ma anche perché io in realtà
vedo che per combattere dentro il sistema in Italia e cambiare quel sistema i giovani dovranno
scontrarsi contro altri giovani, l'Italia è un paese tutt'altro che ostile ai giovani in generale,
è un paese meraviglioso per tanti figli di papà o figlie di mamma, i quali hanno la strada spianata,
hanno delle carriere assicurate perché la protezione dei genitori gli dà un vantaggio,
gli dà dei privilegi che in altri paesi non avrebbero o sarebbero minori, quindi c'è una
battaglia culturale da fare all'interno della stessa generazione perché una parte dei giovani
italiani sicuramente minoritari ma sono aggrappati a dei privilegi di tipo familistico e nepotistico
che gli vanno benissimo e quel nemico da sconfiggere, poi ci sono naturalmente tanti
nemici anziani ma non solo gli anziani. Sulla diaspora, ecco voglio finire con una notazione,
anch'io insisterei sul fatto che le organizzazioni della diaspora esistono, qualche volta sono anche
delle ottime organizzazioni, ne cito una qui negli Stati Uniti, è ISNAF, l'ISNAF è l'associazione
degli scienziati italiani negli Stati Uniti, scienziate e scienziati, è un'organizzazione
molto attiva, molto vivace, il problema è proprio quello che diceva poco fa Giulia,
cioè l'Italia li vuole ascoltare, la diaspora anche quando è una diaspora così qualificata,
che si organizza come network, che cerca di fare sistema e cerca di mettersi al servizio
del proprio paese, fa fatica a trovare qualcuno in Italia che accetti dei consigli, dei suggerimenti,
degli aiuti anche, cioè aiutare l'Italia per questa comunità di scienziati e scienziate
italiane negli Stati Uniti non è così facile perché l'Italia non necessariamente vuole farsi
aiutare, perché anche farsi aiutare significa concedere un po' di potere, un po' di influenza,
significa non circoscrivere tutto a delle logiche di potere all'interno del quadrilatero magico
palazzo Chigi, palazzo Madama, Montecitorio, Quirinale, bisogna allargare gli orizzonti e
bisogna accettare che ci siano degli interlocutori da fuori che hanno qualcosa da insegnarci.
Quindi la diaspora in certi casi è già lì pronta a mettersi al servizio del sistema paese se
soltanto l'Italia vuole degnarsi di prestarle un po' di attenzione. Io su questo vi devo salutare
perché il mio tempo è scaduto ma l'importante che rimarrà in questo dialogo l'autrice Giulia
Pastorelli a cui auguro successo per Exit Only. Grazie mille, arrivederci.
Grazie.
Non ti sento più?
Sembra che si sia ripreso, scusate per i problemi tecnici, è davvero terribile.
Spero che ora si senta.
Sì, adesso ti sento.
Grazie, meno male. Dalla chat vedo che ci sono un po' di domande e ovviamente invito tutti e tutte
coloro che sono connessi a fare domande e interagire con Giulia in quest'ultima fase
della diretta. Abbiamo ancora qualche minuto e io in realtà partirei leggendo una domanda
interessante. Marco Rossiano richiede, ma c'è qualcosa che effettivamente noi abbiamo di buono
e altri paesi ci invidiano e che probabilmente, non lo dice ma questo lo dico io, potrebbe essere
un potenziale motivo per cui le persone vengono effettivamente in Italia. Quindi per che cosa
è che siamo attrattivi per i talenti? A me una risposta viene in mente ma sono molto curiosa.
Vai, no no no, prego, voglio sentire la tua e poi do la mia.
Perché nonostante la gente parta, io mi sono sempre trovata all'estero molto bene,
l'istruzione che ho avuto al liceo, da privilegiata che è stata al liceo classico,
soprattutto ho sempre trovato che anche altre persone italiane abbiano beneficiato
dell'istruzione liceale italiana, nonostante tutte le carenze e la gerontocrazia anche
dell'istruzione liceale. Lo pensavo anch'io, o meglio l'ho pensato anch'io, ma poi mi hanno
fatto notare che sì, io avevo un'istruzione liceale in un liceo a Milano, quindi in un
certo contesto, non in periferia ma più o meno in centro, quindi mi hanno sfatato il mito che
tutti i licei preparano benissimo, perché sappiamo bene poi quando si fanno i test
internazionali che insomma non ci sono livelli. Quindi pensavo anch'io fosse un aspetto positivo.
Poi quello che ci invidiano forse è il motivo per cui proprio quando andiamo all'estero riusciamo,
quindi è difficile mettere il dito, però siamo evidentemente abituati, questo è un po' un luogo
comune, non ho dati a supporto, ma è il fatto che siamo talmente abituati a barcamerarci tra
appunto burocrazia, casini, network informali, eccetera, che siamo molto adattabili, siamo molto
malleabili in senso buono e in senso cattivo e quindi quando poi veniamo messi finalmente nelle
condizioni di non avere più da lottare col sistema, fioriamo in maniera forse più evidente che altri,
gli altri che sono comunque cresciuti in sistemi più facili dove appunto ottenere un certificato
non so di nascita non è una lotta, è una cosa semplice, questo è molto uno stereotipo però
mi dicono che poi è vero. L'altra cosa per cui credo possiamo essere attrattivi, quindi questo è che
cosa l'Italia ha dato a noi cervelli in fuga che gli altri ci invidiano, in termini di cosa l'Italia
può puntare, l'Italia può e dovrebbe puntare tantissimo sul differenziarsi non solo sugli
aspetti con cui compete con tanti altri paesi, ma sugli aspetti in cui invece non ha particolare
competizione. Per esempio a livello universitario certo che noi dobbiamo migliorare la percentuale
di laureati STEM eccetera, però il fatto che noi non siamo particolarmente attrattivi neanche per
quelle materie in cui dovremmo eccellere tipo la storia dell'arte, tipo l'archeologia, tipo insomma
tutto quello che attiene al nostro passato e a quello che è il nostro paese, io lo trovo
abbastanza paradossale e ridicolo, quindi forse non è una cosa positiva che si chiedeva, però è una
cosa su cui secondo me si dovrebbe lavorare in maniera prioritaria perché lì abbiamo una partenza
già più avanti degli altri, abbiamo un vantaggio competitivo già dall'inizio che non utilizziamo
particolarmente. Ecco, siamo avanti, potremmo essere avanti su quello e non lo siamo, poi questo
è un peccato. Grazie Giulia e penso che in realtà ci rimangano... Lorenzo, ti chiedo una cosa interessante, cioè se
possiate ormai una professione all'estero, il bisogno che loro tornino per dare qualcosa in
loro paese abbiamo provato a decostruirla, rimane però il fatto che se vogliono tornare devono in
qualche modo ripartire da zero, è molto difficile che una persona che si è costruita un'intera
carriera all'estero riesca a rientrare velocemente in Italia nello stesso livello che aveva raggiunto
in un altro paese, questa forse non è una dinamica sana, è una persona che ha raggiunto un certo livello
professionale all'estero, è molto facile che in realtà sia qualificata per fare lo stesso lavoro
in Italia, questo è quello che penso io. Però ovviamente lascio la parola a te per approfondire
su qual è la situazione di una persona che ha lavorato molto all'estero, è italiana e vorrebbe
tornare, com'è che l'Italia potrebbe aiutare? È complessa perché in Italia c'è una grossa differenza
per esempio di salari, come dicevo prima, cioè la parità di qualifiche e i salari sono molto più bassi
e non necessariamente con un costo della vita più basso, anzi in alcuni in alcuni posti assolutamente
no, e quindi la scelta se tornare o meno è determinata anche da come si diceva quanto
equivalente sia quello che si può trovare. Ora dipende dai casi, è difficile fare generalizzazioni
ma tendenzialmente quello che ho raccolto come testimonianza è che anche trovassero una situazione
lavorativa equivalente molto spesso quella non basta ad essere un motivo per tornare, perché come
dicevamo prima il lavoro è un aspetto ma poi c'è anche tutto il resto e quindi se la situazione
lavorativa equivalente è per esempio una situazione in cui si guadagna uguale però la cultura sul luogo
di lavoro è diversa, però le prospettive di carriera sono diverse, però quello che è attorno, quelli che
sono i servizi alla famiglia, quello che è l'efficacia o meno appunto della burocrazia,
tutto questo sono aspetti che vengono tenuti in considerazione ed è per quello che la politica
dei bonus, delle misure contro esodo che servono fino a un certo punto proprio
perché chi rientra non rientra solo per un motivo e non rientra solo per questione di soldi,
o meglio non è spinto a rientro solo con incentivi monetari e non solo ma questi
incentivi monetari penalizzano poi paradossalmente chi invece è arrestato in Italia e quindi chi non
ha, cioè lui dice ma io sono arrestato in Italia, ho lavorato in Italia e adesso arriva questo che è
stato magari 3-4 anni all'estero e paga la metà delle mie tasse, c'ha pure gli incentivi per fare
altro ed è una maniera di riattrarre talenti che in realtà fa pensare ancora di più a chi è arrestato
che forse pure loro dovrebbero andarsene e quindi è una sorta di circolo vizioso per cui l'andarsene
non diventa più un'opportunità, un'esperienza ma diventa una maniera per poi tornare a ottenere
il bonus, cioè ci sono delle dinamiche in questa scelta di politiche di ritorno dei cervelli
che sono davvero strane e sono tra l'altro comprovate dai numeri perché se vediamo
il successo, anzi l'insuccesso di questi bonus funziona esattamente così, le persone tornano,
ne approfittano e poi ritornano all'estero dove stavano alla fine abbastanza bene. Ora si dice
che il covid cambierà tutto, ha cambiato tutto perché ha fatto tornare tanti ragazzi appunto
alla ricerca della vicinanza con le famiglie, di un altro stile di vita e tutto, io non sono
particolarmente ottimista, penso che una volta finita la situazione di eccezione, la situazione
eccezionale, non in senso positivo, si tornerà probabilmente ad essere come si era prima e
quindi appena non si potrà più lavorare sempre solo da remoto, la scelta che si presenterà a chi
si è ritrasferito in Italia o che ha passato un grande periodo in Italia sarà la stessa di prima,
resto dove appunto magari c'è come ho visto uno dei commenti, il sole, il mare, la pizza, la mamma,
non so cos'altro, oppure me ne torno dove bene o male avevo una carriera avviata, dove c'erano
opportunità, dove eccetera eccetera e io temo che la scelta finirà sulla seconda e non sulla
prima opzione. Ecco finita questa parentesi covid. Sì in realtà volevo chiederlo però devo dire che
da come è messa nel libro sembrava una prospettiva non particolarmente rosea, nel senso che effettivamente
nonostante si parli di South Working sembra un fenomeno limitato nel tempo e con non moltissime
prospettive per il futuro ma non si sa mai effettivamente. Diciamo che personalmente
preferirei che l'Italia diventasse un paese dove le persone rimangono o vengono perché
ha strasse non perché c'è il sole e vogliono fare South Working. Però su South Working dipende anche
come le amministrazioni locali, tra l'altro ho lavorato su un progetto proprio su questo fenomeno,
come le amministrazioni locali dei paesi, dei paesi nel senso delle città in cui c'è questo
fenomeno sapranno approfittare o meno per dire ok al momento le abbiamo attratti adesso dobbiamo
tenerli cosa facciamo e quindi ci modernizziamo. Quindi però è una corsa contro il tempo perché
alla fine i cervelli sono molto più rapidi per tornare all'estero di quanto sia un'amministrazione
a cambiare la sua maniera di funzionare o a riqualificare quartieri o palazzi o quello
che sia necessario per far restare le persone. Sicuramente è stata un'opportunità. Il nostro
tempo è finito direi a questo punto quindi vorrei ringraziare Antonia III, la terza in generale per
l'invito e mi scuso moltissimo sia con Giulia che con Federico che non ci sente più per i problemi
tecnici. Ringrazio tutte le persone che ci sono connesse per l'attenzione, i commenti e consiglio
a tutti in realtà di leggere Exit Only perché ci sono dentro anche un sacco di spunti e di
reference che sono sempre la cosa più interessante dal mio punto di vista per approfondire. Quindi
un augurio anche a Giulia per la candidatura e soprattutto per il libro appena uscito. Grazie
mille, grazie aver moderato questo incontro e buonasera a tutti.