'Il fantastico regno delle Due Sicilie' di P. I. Armino
Buongiorno a tutti, buongiorno a tutte. Strano dire buongiorno e non buonasera perché appunto
questo è un bellissimo esperimento, trovo, cioè quello di proporre una presentazione
in diretta che poi rimarrà registrata diciamo in pausa pranzo, sicuramente almeno per chi
mangia un po' tardi. Potrebbero essercene altre organizzate da Editori da Terza in questa
fascia oraria, vediamo come va. Per cui grazie Editori da Terza per questa bella occasione
di dialogo. Io farò un po' gli onori di casa, introducendo primamente il libro che andiamo
a presentare e poi smistando le eventuali domande, le osservazioni e le critiche che
verranno nel corso di questa ora di incontro e poi lascerò i due esperti del tema di cui
siamo qui a parlare, a discutere tra di loro. Presentiamo oggi un libro a mio avviso strepitoso,
ma sono di parte come dirò tra un momento, che è Il fantastico regno delle due Sicilie,
breve catalogo delle imposture neovorboniche di Pino e Politormino che vedete da questa
parte, scusate non riesco a indicarlo, sono un po' goffo, che esce, ho citato da pochi giorni,
all'interno della collana della serie Fact-Checking, la storia, la prova dei fatti,
che io ho l'onore di curare per Editori da Terza. Il quinto libro che esce in Fact-Checking,
l'ho inaugurata io con il mio intitolato L'antifascismo non serve più a niente,
cui ho fatto seguito e allora le foibe di Enrico Betti, è uscito poi anche I partigiani però di
Chiara Colombini e prima di questo, prima Gli italiani, sì ma quali, di Francesco Filippi.
L'impostazione di Fact-Checking è piuttosto auto-evidente, quella di dare dei titoli
antifrastici, provocatori, comunque che cercano di scuotere il dibattito pubblico e poi appunto
di fare una sorta di debunking storico, cioè andando a vedere quali sono le falsità,
le mistificazioni, le distorsioni che sono presenti nella nostra memoria pubblica,
nel dibattito pubblico e provare a riportare ai dati di fatto qualunque cosa voglia dire,
allo stato dell'arte, alle acquisizioni della storia, a quello che gli storici sanno,
che hanno ricostruito in questi lunghi decenni, nel caso specifico in questo secolo abbondante,
rispetto alla storia nazionale e non solo. Allargheremo anche i nostri orizzonti.
Un accenno solo alla genese di questo volume, c'è capitato di leggere il libro che Pino aveva
scritto, Cinque ragioni per stare all'allarghe da Pino Aprile, pubblicato da Pellegrini nel 2019,
ci folgorò questo libro e capimmo che c'era un fact-checking in potenza, che come dire,
si poteva arrivare a dare una risposta sensata, ponderata e argomentata alle imposture neobarboniche
con un'operazione quale è quella di fact-checking. Pino si è gettato in questa avventura con enorme
entusiasmo, ha scritto un libro molto importante e che a me personalmente ha fatto capire una cosa
in particolare, magari la dirò dopo perché non voglio rubarvi ulteriore tempo. Pino è autore di
numerosi altri libri, ve ne cito alcuni, quelli che abbiamo riportato nel risvolto di copertina,
Azionismo e sindacato, vita di Antonio Armino, uscito per Rubettino nel 2012, Brigantaggio
politico nelle due Sicilie, Città del Sole nel 2015, Quando il Sud divenne arretrato, Guida nel 2018,
quello che ho citato prima, Storia della Calabria partigiana, Pellegrini nel 2020 e Ritorno al Futuro,
Manifesto per l'unità d'Italia con Tonino Perna, Castelvecchi nel 2020. Carmine Pinto è uno dei
massimi esperti, se non il massimo esperto di questi temi in Italia, ricordo il suo libro recente
uscito nel 2019, ristampato per la sesta volta se non sbaglio nel 2020, La guerra per il mezzogiorno,
Italiani borbonici e briganti 1860-1870, uscito appunto per la terza. Carmine Pinto è professor
ordinario di storia contemporanea all'Università degli Studi di Salerno e i suoi studi spaziano su
vari argomenti, in particolare i sistemi politici del 900, guerre civili e movimenti nazionali invece
nel XIX secolo. A questo punto direi che è il momento di dare a voi la parola, per cui chiederei
al professor Pinto di intervenire come vuole e quanto a lungo vuole su questo libro, sui temi
che questo libro ha affrontato e di interrogare Pinto e Politomino intorno al volume. Grazie entrambi.
Grazie a te Carlo, alla Casa di Dirice della Terza che sta mobilitando forze su terreni
culturali anche molto innovativi e questo ovviamente di mettere sul piatto della battaglia
politico-culturale cose che magari producono elementi stereotipati, a volte peggio nel
discorso pubblico, credo che sia una cosa molto coraggiosa, tra l'altro sia un tema di grande
interesse, tra l'altro è un elemento a cui una parte importante del mondo della cultura sta
prestando attenzione. Il libro di Pinto e Politomino ovviamente si inserisce in questo
processo culturale e è costruito per dialogare fondamentalmente con il discorso pubblico e per
offrire elementi di riflessione al discorso pubblico, è evidente il contesto in cui si
collega l'autore ed è evidente anche la struttura interpretativa che non coincide soltanto con
l'impostazione della collana a cui hai fatto riferimento Carlo, ma anche con un obiettivo
di carattere evidentemente divulgativo, cioè di mettere in discussione dei processi di formazione
di immaginari, di narrazione di immaginari che in realtà sono molto recenti e hanno una struttura
molto meno compressa di quando si pensa. Provo a fare due o tre riflessioni, ma davvero rapidissime,
perché credo che sia organizzato come una conversazione, quindi davvero rapidissime sul
tema per non andare a ripercorrere i capitoli del libro e le questioni del libro, anche perché
ne abbiamo conversato veramente tantissime volte. Provo a offrire più uno scenario al libro,
ovviamente non omettendo una brevissima presentatore per gli ascoltatori. Si tratta non solo di un
libro che punta a dialogare al discorso pubblico, ma che conosce benissimo il contesto scientifico
e il dibattito storiografico su questi temi. Lo trasformo, ovviamente, lo sintetizza per
renderlo agente a chi vuole leggerlo in qualche ora senza dover approfondire o analizzare il
dibattito storiografico, ma con estrema determinazione e direi anche senza paura
di affrontare questioni anche a volte spiacevoli, diciamo, in un certo tipo di comunicazione,
soprattutto di comunicazione digitale. Dice che queste vicende appartengono a una costruzione
narrativa, quindi Fenestrelle, Ponte d'Andorfo e mille altre cose che semplicemente non esistono.
Vi spiego perché senza troppi giri di parola, ma neppure senza spersare il punto. E' evidente
che questo ci porta a tre riflessioni di contesto, su cui vado per titoli e rispetto all'impegno
della brevità. Uno, si tratta di temi molto conosciuti sul piano storiografico. Questo
che fa Pino e Porito Arminio in realtà si basa su questioni che non solo sono molto
confute, ma a volte sono anche scontate. Faccio un esempio, che a Fenestrelle non esistesse
nessun tipo di campo di estreminio, sciocchezze di questo tipo. Non solo lo si sapeva da sempre,
ma non era neppure in discussione. Cioè, se tratta di un'invenzione, come spesso succede,
su questo vado Carlo nel secondo punto, talmente evidente che forse non la si prendeva neppure
in considerazione, semplicemente perché non esiste. Ovviamente questo vale a non per tutti
gli argomenti, perché altri argomenti si trattano di libri, invece ad esempio le origini
del divario economico tra Nord e Sud appartengono a ben altro tipo di dibattito politico, culturale,
scientifico e storiografico. Quindi il libro non è che tocca soltanto le invenzioni vere
e proprie, ma affronta in maniera molto semplice, questo è un libro per il lettore che non
vuole fare il concorso, ma che vuole leggere così, anche temi che hanno una profondità
strutturale, ma a questi temi che hanno una profondità strutturale affronta cose che
semplicemente non esistono, che Harry Baldmer canti e dice che è una showcase, punto. E lui
dice che è una showcase. Fatto questa premessa, tre riflessioni rapidissime. Uno, in realtà
l'utilizzo pubblico del passato per costruire identità attraverso i risentimenti non è
certamente una prerogativa di questo fenomeno. È un fenomeno milenario, è esistito sempre,
è esistito non solo nei processi storico-politici, ma anche nei processi umani, personali. Anche se
io e la mia fidanzata ritighiamo, colloquiamo nel passato i risentimenti. Quindi non stiamo
scoprendo un fenomeno originale, stiamo scoprendo un fenomeno dei cui dimensioni sono state
moltiplicate da alcune cose. Il potere della rete e la sua forza democratizzante, ognuno si scrive
la propria storia e trova chi dà ragione, magari qualcuno ci crede pure. Due, il fatto che viviamo
una società molto serena. Questo può apparire impopolare, ma in realtà noi viviamo la migliore
società che c'è mai stata, quella più serena, più tranquilla, senza violenza, con il più basso tasso
di povertà della storia umana. Nella storia d'Italia o nella storia d'Europa non c'erano mai
stati così pochi omicidi. Oggi gli indicatori di omicidi sono risibili rispetto a qualsiasi
altro momento della storia europea. Potrei continuare su questo terreno. C'è una sola
cosa che ossessiona tutti quanti e sono le malattie. Lo si è visto anche nella vicenda
recente del virus, ma prima erano i tumori. E questo che cosa determina? Determina che la ricerca
di elementi, tra le altre cose, che la ricerca di elementi identitari, elementi che creano
appartenenze o semplicemente passioni forti, inevitabilmente si colloca sempre di più nel
passato. E più in una società serena, dove non ci si ammazza per nessun motivo, per fortuna ovviamente,
è più difficile trovare elementi passionali che in una società dove ci sono grandi fratture,
battaglie politiche. Tu hai parlato della resistenza, mi potrei fare un esempio. In
sostanza, chiudo su questo, poi magari ne conversiamo, è evidente che stiamo difronte
un doppio bisogno. Da un lato la necessità di costruire identità forti che appartiene sempre
agli uomini anche nei rapporti personali e che c'è sempre stato. In secondo luogo il fatto che la
struttura sociale contemporanea, proprio per la sua serenità, porta spesso gli uomini a collocare
nel passato o in altri elementi legati all'immaginario o al bisogno di immaginari, la
costruzione delle proprie identità. E quindi questo è un fenomeno generale. Ecco, da questo
punto di vista non dobbiamo essere neppure noi paesani o provinciali. È un fenomeno generale.
Quello che affronta Pieno Arminia, quindi si colloca in questo fenomeno, che ha avuto in molti
paesi dei svolti ben più potenti che in Italia, anzi in Italia è rimasto molto marginale, se pensiamo
alla Catalogna, se pensiamo alla Scozia, se pensiamo a mille altri casi che potremmo fare.
Perché? Perché questo fenomeno, pur avendo un certo successo nel discorso pubblico, non l'ha
avuto né sul piano storiografico, né sul piano scientifico, né sul piano intellettuale, né su quello
politico. Quindi è rimasto, e non è un caso che... ma qui non voglio andare... è un fenomeno
rilevante sul piano del discorso pubblico, ma del tutto rilevante sul piano scientifico,
intellettuale e per alcuni, non tutti, ma per alcuni aspetti anche politico. Perché questo?
E vado a concludere. Perché è evidente la sua fragilità. Cioè, questo fenomeno in che cosa si
basa? Sull'idea che un mondo, una parte del nostro paese, sia più fragile di altre per una frattura
originaria collocata in un passato utico e le cui ragioni a un certo punto sono riemesse e riaffiorate
per giustificare l'esistenza. Siccome il passato mitico non c'è, le ragioni politiche non ci sono,
ma soprattutto il Mezzogiorno d'Italia è forse la parte più italiana del paese, non solo sul
piano linguistico, ma anche nei meccanismi di potere. Basta vedere gli apparati dello Stato,
o la struttura pubblica del nostro paese per vedere la potenza di questo esemplare,
è evidente che questo fenomeno ha un impatto su alcuni settori molto fragili. Questo non
ne riga la potenza del discorso pubblico. E su questo concludo. A che cosa si spiega la potenza
di questo fenomeno sul discorso pubblico? Alla combinazione tra l'invenzione del bandito sociale
degli anni 60-70, che ha trasferito questa invenzione di studi marxisti in un mitico bandito
sociale mai esistito nel Mezzogiorno italiano, all'utilizzo dei materiali prodotti da alcuni
dal legittimismo politico degli anni del XIX secolo, scelto come fonte primaria per giustificare
l'invenzione di una tradizione e soprattutto l'invenzione di un'identità basata interamente,
questo è un caso abbastanza già interessante, su un risentimento tutto collocato nel passato.
Il libro di Pino Arminio non è un libro che tocca un fenomeno locale, è un libro,
tra l'altro ce ne sono stati altri molto utili in questi anni, che tocca un fenomeno
globale, cioè il ritorno sorprendente e potente della storia nella formazione dell'identità
contemporanea. Un fenomeno globale che in alcuni casi vede questi principi basati fondamentalmente
sul risentimento, ma che come dimostra il suo libro, proprio nel caso di specie, pur
avendo un certo successo nel discorso pubblico, sono di tale fragilità sul terreno scientifico
e politico-culturale da non aver avuto, o almeno per ora, poi magari vedremo sorpresi,
niente scritto prima, lo stesso successo di altri fenomeni analoghi europei e contemporanei.
Grazie mille per questo intervento utilissimo, che direi a Pino, perché lui ci possa gezzare
intorno, ne approfitto a questo punto per dire due cose, per simularlo ulteriormente,
Pino se vuoi intervenire un po' sul ruolo della rete, come è stato sottolineato benissimo,
e su questa, che Baumann ha chiamato retrotopia, cioè questo punto del cercare in un passato
mitico inesistente la legittimazione di un'identità, forse ho percepito un eccessivo ottimismo
sul fatto che invece, a parte la comunità scientifica, che la politica non abbia recepito
questa narrative, forse Pino su questo vuoi dire due parole.
Grazie Carlo, intanto voglio ringraziare, un ringraziamento non convenzionale, ma che
sento di dare all'editore Giuseppe Laterza per avermi offerto questa possibilità di
scrivere questo libro su questo fenomeno, il neoverbonismo, di cui poi cercherò di
dire anche io qualcosa, e la percezione che io ho vivendo nei territori che da questo
punto di vista sono stati un po' più contaminati, qual è probabilmente la Calabria in questo
momento. Devo ringraziare anche Carlo e Giovanni Carletti, perché mi hanno dato utilissimi
suggerimenti durante la stesura del libro, e l'ultimo ringraziamento ovviamente lo faccio
a Carmine Pinto che ha accettato di discutere quest'oggi con me.
Allora sì, è vero, io concordo del tutto con quello che dice Pinto riguardo al fatto
che sul dibattito storiografico, quello scientifico, ha da tempo e da sempre risolta la radice
questi nodi definendo per quello che sono le bagianate neoverboniche. Nessuno o quasi
storico di rilievo ha mai pensato di sposare la causa neoverbonica, di credere alle tante
cose curiose che sono state inventate di sana pianta. Però il dibattito pubblico, e questo
spiega anche la ragione per cui ho scritto il libro, volutamente usando il linguaggio
del divulgatore, perché lo scopo non era interessare il target, non gli storici, il
target, il bersaglio che mi sono proposto, e sono le tante, troppe persone che invece
da queste predicazioni insulse e prive di fondamento sono state pesantemente condizionate.
Io vi faccio due esempi giusto perché sia chiaro a cosa mi riferisco. A Sud di recente
uno dei più noti esponenti del neoborbonismo non solo ha fondato un movimento politico
che aspira ad avere un ruolo anche alle prossime regionali in Calabria, ma addirittura è
diventato direttore di una testata televisiva tra le più importanti in Calabria e attorno
alla quale girano anche alcuni importanti media o giornali online. Quindi ha un peso
considerevole già nel condizionare l'opinione pubblica calabrese. Ma se pensiamo anche in
Puglia e ci sono molti altri casi, ma se pensiamo che il fenomeno sia limitato al mezzogiorno
vi sbagliate, perché qualche anno fa quando uscì il mio libro Quando il Sud di Venera
e Perato, che ha qualche pretesa un po' più scientifica di quanto non abbia il fantastico
legno di Tuscicile, io ne vogli fare omaggio, una copia a un'importante biblioteca civica
di un importante capoluogo del nord Italia. Nel presentarlo alla dirigente della biblioteca
lo presentai come un libro che naturalmente metteva un po' alla berlina le teorie neoborboniche
e insomma quel libro nella sostanza mi fu rifiutato e oggi quella biblioteca non ha
quel libro perché la dirigente di quella biblioteca ritenne che quel tipo di esposizione
non era… infatti mi rispose, no, però bisogna considerare che con l'espressione che abbiamo
usato a ogni piatto spunto, la storia la fanno i vincitori.
Il risorgimento, così come l'abbiamo studiato sui libri di scuola, è un'invenzione degli
storici liberali e risorgimentali, in realtà le cose andavano in modo totalmente diverso,
come oggi ci spiegano Di Fiore, ci spiegano Pino Aprile, Antonio Ciane e così via. Quindi
queste vulgate, appunto vulgate, sono molto diffuse, molto di più di quanto noi pensiamo
e vale la pena, io credo, contrastarle proprio con un libro agevole che possa entrare un
po' in tutte le menti e aprirle al fatto che buona parte di quelle narrazioni sono
delle cose totalmente insensate, ma anche infondate in modo sciagurato. Se io penso,
per esempio, all'ipotesi di genocidio del popolo meridionale, che pure è stata avanzata,
arrivando a quantificare in 800 mila o 1 milione di morti l'esito di una guerra civile che
avrebbe coinvolto il nord e il sud, è chiaro che a questo in qualche modo bisogna reagire
e reagire con i dati, cosa che io mi sono incaricato di fare, andando a prendere in
buona sostanza le principali delle fake esportate dai neoborbonici e a far capire, con dati alla
mano, proprio appunto in logica di fact checking, che quelle cose non stavano in piedi, non
c'erano in terra. Vi posso dire giusto una cosa, perché davvero è incredibile, per
esempio quando Aprile scrive in un suo fortunato libro di successo che la ferrovia tra Napoli
e Puglia era in avanzata fase di costruzione, ma intervenne il conflitto e i lavori furono
interrotti, chi lo legge ci crede, perché non dovrebbe prestare fede a questa informazione?
Peccato che quella linea fu progettata nel 1862, quindi un anno dopo l'unità e la
costruzione avrà negli anni a venire, però queste cose se non le raccontiamo è chiaro
che hanno una presa sull'opinione pubblica e creano dei danni, poi sui danni magari interverrò
dopo per dire perché a mio avviso questa narrazione può provocare di fortuna.
E guarda essendo collocato anche centralmente tra voi due faccio un po' il passacarte stimolato
da entrambi e ridò la parola a Carmine, credo che abbiate detto delle cose complementari
molto importanti, nel frattempo stanno arrivando anche delle considerazioni, cioè il fatto
che le cosiddette acquisizioni della storiografia, lo stato dell'arte e della ricerca siano
spesso e non vale solo per quest'ambito date per scontate appunto dagli storici al punto
che legittimamente non si preoccupano neanche di confutarle su alcuni argomenti, penso in
particolare al secondo e al terzo libro di Fachekin, cioè allora le foibe e anche i
partigiani però, hanno permesso troppo spesso a queste vulgate mistificatorie di dilagare
completamente e ci sono delle assonanze abbastanza curiose, penso a due nomi su tutti, e non
solo Pino Aprile, è Gian Paolo Panza, lo penso in termini editoriali ovviamente, non
scientifici, stiamo parlando di libri che peraltro per chi non avesse ancora preso il
libro di Pino ci tengo a suggerire che è anche molto divertente il modo in cui lui
fa Fachekin e fa debunking su questi grandi mistificatori, perché queste narrative come
si dice in gergo vendono tantissimo e io credo che ovviamente non è che sia da addossare
la colpa alla comunità scientifica, ma sicuramente in diverse fasi della storia e della storiografia
la comunità scientifica ha sottovalutato la potenza di fuoco editoriale di queste vulgate,
per cui io se lasciando ovviamente Carmine libero di dire quello che vuole, però su
questo rapporto tra ricerca, divulgazione e uso pubblico ci sguazzo nella mia vita
professionale, mi piacerebbe continuare a sentirne parlare anche perché credo che sia
nostro dovere, chi lavora con la cultura abbia il dovere di accorciare la distanza tra il
senso comune e quello che gli storici sanno e hanno ricostruito.
Sei muto?
Il microfono, Carlo!
Ok, scusa, capisco e rispondo con uguale franchezza. Innanzitutto stiamo parlando di argomenti su
cui gli storici sono sempre misurati, credo che non esistono pochi casi in Italia di un
tema come questo che riguarda l'unificazione nel Mezzogiorno, la storia del XIX secolo,
la questione meridionale su cui si è stato scritto tanto. E non solo opere scientifiche,
ma anche opere che a volte hanno avuto successi enormi, ma non da oggi, basta vedere che da
eroi briganti di diritti alla rivoluzione di dorso, oppure se preferisci possiamo arrivare
anche a una cosa più colta, ma che comunque si leggeva, il dibattito di Emilio Sorreni
e Rosario Romagna. In realtà su questi temi sono state scritte decine e decine di migliaia
di libri e molte di queste hanno raggiunto un larghissimo pubblico. Quindi francamente
non credo che sia vero, per nulla. Non solo, ma anche nella fase più recente, anche su
alcune specifiche vicende evidentemente inventate, ci sono misurati storici che hanno anche
spiegato come si è arrivato, che so, recentemente, per esempio il caso di Ponte Randolfo, sono
usciti due libri, uno di Desiderio e un altro di Silvia Sorretti, che hanno spiegato non
solo che appunto era un'invenzione, ma anche la logica, le pratiche, i meccanismi che hanno
portato a un certo punto, a partire dagli anni 70 e del 900, prima un certo tipo di
cultura radicale, di sinistra radicale, poi un certo tipo di cultura suddista a inventare
questa storia. Quindi non credo che sia vero, assolutamente. Anzi, sul tema di specie si
è scritto fin troppo, senza contare che i più importanti storici, tra i più importanti
storici della nostra cultura nazionale, Benedetto Cruci, Rosario Coromeo, Giuseppe Galassano,
sono scritte su questo. Anche cose che sono la storia del Regno di Napoli di Cruci, è
un libro che si legge da chiunque, non è una storia di teoretica. Quindi non credo
che sia vero questo. Ma il problema degli storici, come di tutti coloro che fanno altacolture,
è il palcoscenico, Carlo. Se tu sei un bravissimo cantante, ma nessuno ti offre il palcoscenico,
canterei sempre per i tuoi amici. Se tu sei un eccellente attore, ma non riesci a crescere,
o semplicemente non hai l'opportunità, reciterai a casa tua. E il problema del palcoscenico
non è da sottoludare, perché la forza a cui tu fai riferimento, Carlo, è data da
chi è già nel mondo della comunicazione. E quindi utilizza strumenti di cui è già
il proprio proprietario per comunicare delle cose che, come ha detto Pino, hanno facilmente
successo anche per le proprie logiche interne. Ma magari su questo ci torniamo dopo. Quindi
io francamente non sono per nulla d'accordo sulla critica degli storici, non perché gli
storici siano perfetti, ma sulla critica che gli storici, per lo meno su questo tema, non
si siano misurati. Fintroppo. Se vai sul catalogo OPEC, ma su Wikipedia, e cominci a mettere
una parola chiave su ognuno delle cose su cui stiamo parlando, non finisce più. Ma
non finisce più. Su Wikipedia ci sono anche decine di migliaia di libri. Poi ovviamente
ci sono le questioni storiografiche più o meno innovative, tu mi hai fatto dei complimenti,
ma io penso di essere... scusami, ho parlato troppo, lo vado a chiudere. No, no, anzi, è
vero, però parlo con franchezza. Il problema è che se tu oggi fai una fiction televisiva,
com'è giusto che sia? Quante persone la vedono? Tiene voglia che devi stampare il libro? E
quella fiction ha inevitabilmente un potere del costruire un immaginario infinitamente
superiore al libro che tu hai stampato. Quindi ovviamente se la fiction ha anche un'evocazione
narrativa funzionale, un corretto, un'accettabile, perché una fiction deve essere una cosa di
fantasia, mica deve fare la didattica, per l'amor di Dio. Però una fiction non può
non fare la didattica e costruire un contesto storico credibile oppure un contesto storico
del tutto irreale. Ovviamente questo influenza il discorso pubblico. Ti faccio un altro esempio
perché tu sai benissimo che oggi è vero che i romanzi storici sono sempre venduti, ma
mai come oggi. Oggi se vai in qualsiasi libreria del mondo, gli scaffali che vendono i romanzi
storici, tutti gli altri di cui abbiamo parlato fino adesso, non c'è proprio partita. Sempre
per quel bisogno di cercare nel passato storie e così via. Tra l'altro quelli che si vendono
il più al mondo non riguardano certamente le cose che stiamo parlando, ma sono quelli
sull'antica Roma che sono in assoluto quelli che si compra tutto il mondo. Quindi non influenza
il discorso, quello che interessa a noi. Però che cosa voglio dire? Voglio dire che in realtà
non sono d'accordo solo con la critica degli storici, non sono d'accordo per niente sul fatto
che gli storici siano nell'atore da voi. Anzi, gli storici stanno sempre in mezzo alla strada,
basta vedere quanti eventi ognuno di noi partecipa e cerca di essere sempre disponibile. Però
l'efficacia del racconto è anche misurata a chi ti offre il palcoscenico. Su questo,
chi detiene le leve della comunicazione, se le detiene e le utilizza per raccontare la
sua storia, sarà sempre mille volte più efficiente anche dello storico più bravo
che ha le maggiori capacità di trasformare la sua ricerca in una divulgazione. Pertanto,
se noi vogliamo capire perché queste cose hanno successo, non ci apriamo manca da questo
punto di vista con gli storici, ma vediamo con chiarezza che non è importante soltanto
come scrivi e che cosa scrivi, ma anche la potenza del mezzo che è a disposizione.
Pino, vuoi intervenire? Vai, sei muto.
Ok, sì. Dicevo, se posso dire certo, è chiaro, gli storici non godono di un palcoscenico
così ampio come possono goderlo i suoi registi che hanno fatto alcune pellicole, discutibili
certamente sul piano storiografico proprio in riferimento alle questioni soggimentali,
o addirittura, adesso non ricordo il nome, ma un famoso cantante che ha avuto un grande
successo nei mesi o l'anno scorso, che ha raccontato che un sud depredato all'unità,
l'ho raccontato in questi termini, cantandolo, e che si è desertificato l'unità, perché
è una delle grandi invenzioni di queste narrazioni, è quella che l'immigrazione prende corpo
all'indomani dell'unità nazionale. Ma questa è una cosa in cui probabilmente,
se noi interlistiamo 100 milionari, 80 sono convinti di questo, perché è entrata talmente
nell'opinione comune che l'immigrazione è un fatto che deriva dall'unità nazionale,
che è difficile, io naturalmente porto dei dati che dimostrano questo, non è così,
però nell'opinione comune, quella che gli storici, per le ragioni che ha detto Pinto
sicuramente, non hanno il palcoscenico di cui godono i cantanti, i registi, gli attori,
i giornalisti, purtroppo nella pubblica opinione molte cose sono passate, sono passate anche
tra persone che hanno una media cultura, io conosco degli insegnanti che credono, ritengono
davvero che l'unità nazionale sia stato il momento in cui sono state svaliggiate le banche
del Mezzogiorno, che sono stati sottratti i macchinari per portarli al nord, queste cose
qui sono credute in larghissima misura. Piuttosto io mi chiedo un'altra cosa su cui magari chiedo
un'opinione anche a Carmine, a Carlo stesso, io ho notato, ho fatto una grande, la fatica
di questo mio lavoro, maggiore sapete qual è stata, è quella di dover leggere questi
testi, che sono pessimi da ogni punto di vista, e nello scoprire che alcune panzane erano
così grosse, così evidenti, che non potevano che essere, voglio dire, a volte l'autore
si può anche innamorare di una tesi e quindi è convinto di quello che scrive, ma in alcuni
casi, non volendo diciamo diffidare troppo la loro intelligenza, è evidente che l'autore
li ha inventati e si sono appiantati a altre cose. La domanda che mi pongo io è qual è
lo scopo per cui questi autori hanno voluto inventarsi queste storie e perché è successo
che in qualche modo in tandem hanno agito, più o meno nello stesso periodo di tempo,
a partire dagli anni 90, i leghisti del nord Italia e i neoborbonici del sud. C'è una
qualche ragione comune che li ha portati sostanzialmente a dialogare di fatto, anche se formalmente
si disconoscono, ma è noto tutti, Pinto lo sa, che molte delle invenzioni neoborboniche
hanno origini in Del Bocca, in Oneto, in autori leghisti. Poi naturalmente gli autori
leghisti non sono disposti a riconoscere, ci sostengono per esempio che la mafia è
nata prima dell'unità nazionale e che è dovuta proprio all'unità, mentre i neoborbonici
sostengono che la mafia nasce per effetto dell'unità nazionale. Ci sono alcune distinzioni
sulle quali, anche sulla descrizione fisica, per esempio, molto divertente, su Garibaldi,
entrambi sostengono i stati di un personaggio, un violentatore, un ladro, un negriero, però
nella descrizione fisica, somatica che ne fanno, questo è molto divertente, gli autori
del nord invece tendono a difendere l'immagine, mentre lo rappresentano piuttosto brutto,
basso, con le gambe arcuate gli autori del sud. C'è di fatto questa intelligenza tra
queste due narrazioni, quella leghista e quella neoborbonica e sono finalizzate. Questo secondo
me ovviamente interessa più il dibattito politico che non quello storico, però credo
che valga la pena interessarsi anche di questo.
Faccio sempre il passacarte per gli ascoltatori, rispondendo con le tue parole Pino, perché
nella premessa scrivi «non è agevole riconoscere la buona fede di chi scrive e ancor meno svelarmi
le intenzioni. Quello che è certo, tuttavia, è che alcune feiche hanno un'eccezionale
capacità di presa perché soddisfano un bisogno reale, quello di una spiegazione semplice
e complessa. Nel mezzogiorno d'Italia ogni cittadino sperimenta da anni la distanza crescente
tra la ricchezza e le opportunità di lavoro, l'efficienza dei servizi offerti nella sua
regione e ciò di cui dispongono i suoi connazionali al centonoldo. Vuole farsi una ragione. La
spiegazione più semplice e più comoda è da sempre quella che attribuisce ogni nostra
insufficienza alla responsabilità di un nemico esterno, cattivo quanto basta, per adevitare
di tutto ciò che siamo e non vorremmo essere». Era un po' quello che Carmina ha definito
l'uso pubblico del passato per costruire identità con i risentimenti. Credo che sicuramente
questo valga per i neoborbonici come di Empati, leggendo voi, insomma, le cose vostre e tutto
quanto. Mi fa molto piacere, intervengo prima di dare la parola a Pinto, come dire, misurare
anche lo scarto tra le rispettive percezioni appunto della distanza che c'è tra il saper
e il neoborbonico e il senso comune. Sicuramente io sono vittima di una distorsione prospettica
perché per tutto quello che riguarda la storia del Novecento per molti anni c'è stato anche
un posizionismo sulla famosa Torre d'Avorio. Potrebbe anche essere il banalissimo meccanismo
della volpa e l'uva, non la banalizzerei, però sicuramente ho visto molto spesso anche
una sorta di malcelato disprezzo per quella che in Italia è chiamata divulgazione.
Poi è chiaro che se detieni il pallino del gioco è appunto un panza, un pinot prio che si usava prima
e per non parlare appunto di tutte le fiction che fanno altrettanti danni, Eric ne parla benissimo
rispetto alle Foyber sulle due fiction coprodotte dalla Rai che raccontano i nazisti come i Salvatori,
neanche velatamente. Chiaramente c'è un ulteriore problema, però mi fa molto piacere che un quadro
di insieme su decenni di storiografia rispetto a questi temi di cui stiamo parlando vi portano
a concludere, dunque ci portano a concludere che invece su questi argomenti gli storici
si sono sempre battuti e dibattuti. Allora rigirando, di nuovo a Carmine le questioni,
le questioni la pongo in un'altra maniera che magari ci porta avanti alla discussione
che è un po' l'elefante nel salotto di tutta questa nostra operazione, sia del libro sia degli altri.
E cioè ha senso rispondere colpo su colpo, come dire, rispondere per le rime come stiamo facendo
e come fa Pino, per gli ascoltatori non vi leggo tutti i capitoli però per capire qual è l'impostazione.
Il primo capitolo. Il secondo.
La spedizione dei mille, un complotto inglese con la complicità del Piemonte e della mafia.
Garibaldi, uno schiavista senza scopoli. E viene dicendo, cioè, dare per buone, passatemi il termine,
queste fole come le chiama Pino, queste fake news, queste balle e affrontarle di petto.
La domanda a questo punto rivolgo a Carmine, ha senso secondo te fare così?
È una strategia che può funzionare oppure ne vedi anche dei limiti?
Funziona benissimo secondo me per due motivi, per come è stata scritta e per come è pubblicata.
Cioè non è scontato neppure questo, che come questo lavoro è stato fatto in una maniera
che punta a un certo tipo di lettori, ma lui l'ha spiegato chiarissimo, con chiarezza, io scusi.
Non solo, ma tiene un palcoscenico che un editore che su questo terreno è il numero uno in Italia, funziona.
Con un scritto in maniera diversa e probabilmente con un editore che avesse un profilo diverso,
ma anche una potenza diversa, non funziona. Quindi funziona perché si combinano la struttura
dell'operazione politica o culturale fatta da Pino e poi da Arminio con la potenza dell'editore
e quindi funziona. Se non ce ne vanno le due cose, non funziona, così la penso.
Dopodiché se vuoi che funzioni di più devi andare in televisione, lo devi sponsorizzare
sulle pagine più importanti, bisogna investire almeno, beh non ce ne vanno neppure tanto ormai,
su un certo tipo di social e a quel punto funzionerebbe ancora di più.
Se poi ci metti un editor su un social per 30 giorni con una sponsorizzazione funzionerà 10 volte di più.
Cioè funziona se la fai funzionare, se ci investi. Le precondizioni ci sono, le precondizioni
è il tipo di testo che funziona, tu ne sei contento, ma è evidente che funziona,
è l'editor che funziona. Se ci investi, se lo porti in televisione e se lo porti sui social
oggi funzionerà 10 volte di più.
Fantastico, beh, mia ci rincuora molto, nel senso che l'obiettivo è anche quello,
rinnovo i miei ringraziamenti fatti in numerose altre sedi a Giovanni Carletti,
a Giuseppe La Terza, a Editoria La Terza, perché comunque è indubbiamente un'operazione coraggiosa,
che si vuole di rottura, insomma, ripeto, di petto nel dibattito pubblico,
e che ci ha dato anche una serie di mal di pancia e ci ne regalerà sicuramente molti altri,
però crediamo che sia il doveroso giusto.
Visto che dobbiamo chiudere entro le tre, io ne approfitto, ci sono due, non vedo punti negativi,
due interventi della stessa persona Jason Forbus, che girerei a suo punto all'autore,
anche a Carmine se vuole dire due cose, vi leggo il primo.
Sicuramente il Sud non era del dorado dipinto da alcuni scrittori meridionalisti,
al tempo stesso è un fatto che il Sud aveva eccellenze circoscritte senz'altro,
vaste riserve auree, riforme hanno stata avviate ed erano in corso,
e tutto questo ha subito una brusca battuta del resto e voluntà d'Italia,
che ha sostenuto il carattere di una vera e propria amnessione.
Ciò detto, conferrete anche voi che il merito di questi alcuni scrittori meridionalisti,
di cui faccio cenno, hanno avuto il merito di, e la frase non si conclude,
però c'è un secondo commento, le eco-chamber riguardano tutti i campi,
il campo meridionalista, populista, ma anche quello liberista e progressista.
Nella società fluida vedremo crescere e proliferare bolle sociali di appartenenza.
Vai Pino.
Questo mi sembra un esempio chiaro della percezione di questo spettatore
e di quelle che io misuro costantemente tutti i giorni.
L'unificazione, il primo passaggio è evidente, interrompe un processo di progresso
che era stato avviato e ci ha portato alle condizioni in cui siamo oggi.
Niente di più falso. Purtroppo le cose non andavano così.
Io non credo neanche, e qui è interessante sentire anche Carmine Pinto,
io non credo che le origini, l'ho già scritto in altre occasioni,
che le origini del divario da nord e sud siano da ricercarsi
nella mancata partecipazione all'età comunale.
Questa era la tesi largamente diffusa nel dibattito stereografico
e qui faccio riferimento a Carmine Pinto, quello di Dorso, quello di Croce, quello di Romeo.
Credo che le origini siano più vicine a noi, ma una cosa è sicuramente vera,
che attorno al 1948, per tutto quello che ha voluto significare,
ha significato una costituzione per il Regno Sardo,
invece l'ennesima sconfitta dei liberali meridionali
segna un punto di rottura e da lì in avanti il Regno di Sicilia
continua a perdere terreno rispetto a ciò che avviene al di fuori,
nel resto d'Italia e si accentua quel divario,
che l'unità nazionale non potrà soltanto che registrare,
che l'inizio del divario sia unità nazionale, purtroppo,
quindi non possiamo addebitarlo all'unità a questo fatto,
ma poi c'è anche implicitamente, nel modo in cui queste domande vengono poste,
è come se ci fosse da una parte il Mezzogiorno e dall'altra il Nord Italia.
Questa è una semplificazione estrema, ma anche totalmente falsa,
tanto perché il Nord era fatto di tante realtà diverse,
gli stessi lombardi mal digerivano e mal supportavano,
diciamo, l'unificazione con il Regno Sardo,
che è il motore dell'unificazione, ma anche perché non si può sostenere
che i meridionali non partecipassero al risorgimento
dalla parte che oggi qualcuno giudica sbagliata,
anzi, io sostengo spesso con orgoglio di meridionare,
che se c'è una popolazione in Italia che si è battuta più e più volte
per conquistare quelle libertà e progresso,
che poi arrivarono purtroppo prima altrove e si svilupparono meglio anche altrove,
è proprio il popolo meridionale, perché è un dato di fatto,
anche questo che il 1699 partiva Napoli,
è un dato di fatto che i moti del 2021 partirono dal napoletano,
è un dato di fatto che il 48, anticipato addirittura dai moti del 47 di Reggio e di Orancia,
sono, diciamo, una rivoluzione meridionale.
Quindi i meridionali non solo non furono vittime di un'invasione del nord,
ma parteciparono naturalmente per quello che sono le classi più evolute del tempo,
e se si può immaginare oggi una delle critiche che spesso si fanno
è quella della mancata partecipazione popolare,
però bisogna capire quale fosse il contesto,
e anche la stessa obiezione non è del tutto vera.
Quindi in sostanza i meridionali quella rivoluzione la vollero e vi presero parte,
e l'unità nazionale non fu l'origine dei loro mali.
Carmine, prego, se vuoi intervenire anche tu su queste sollecitazioni.
No, credo che sia sufficiente la risposta di Pino.
Ok, ok.
Allora, ci possiamo avviare con calma verso la chiusura?
Io vorrei inserire sul tavolo delle discussioni quello che accennavo all'inizio,
cioè io leggendo, rileggendo il libro di Pino,
che ringrazio ancora per averlo scritto,
ho capito una cosa, un'ovvietà sicuramente per voi,
ma credo che il vero obiettivo dei libri sia portarci avanti,
per cui ringrazio nuovamente per questo.
Non mi era chiaro, da non esperto di questi temi,
quali fossero gli scopi, al di là degli scopi puramente identitari,
di cui si parlava prima di questa grande vulgata neobarbonica,
e a un certo punto mi è apparso così lampante tra le pagine di Pino,
cioè che è una vulgata fondamentalmente reazionaria,
che mitizza un'epoca buia, se fatemi semplificare,
perché la vuole mitizzare, a costo di inventare, falsificare, eccetera,
per tirare chiaramente più persone da quella parte.
Non lo so, l'ho trovato particolarmente illuminante
e Pino ti chiederei se hai voglia di dire due parole su questo,
perché condivido anche con chi ci sta ascoltando.
Guarda, ti ringrazio Carlo,
ti ringrazio anche per aver colpo questo aspetto,
perché è un pedale sul quale ho tenuto il piegiato e il piede.
Perché? Perché in effetti
le tendenze neobarboniche non hanno fatto soltanto,
non sono fatti strada soltanto tra gli ambienti politici più reazionari.
Anzi, spesso quelli estremisti di destra,
magari hanno una visione nazionale, per cui non ho affatto molto preso di loro,
ma si sono sviluppati anche sottoterreni che apparentemente
devono essere poco fertili, come alcuni ambiti di sinistra.
Ecco perché io ho voluto raccontare a quel pubblico,
cioè a quel pubblico che si riconosce sostanzialmente nei lavori della sinistra,
che dare credito alle tendenze neobarboniche è una contraddizione assoluta,
perché naturalmente i fautori di quel sistema
non possono che essere dei reazionari, dei conservatori.
Ecco questo ed è un punto sul quale volutamente mi sono cimentato,
l'ho fatto in particolare nel capitolo nel quale ho tentato di smontare
una tesi che è molto diffusa, quella per cui i briganti dell'unità nazionale
fanno il paio con i partigiani della resistenza italiana.
Lì si vede che naturalmente questa incorporazione è impossibile,
è impossibile anche da un punto di vista, tra l'altro non solo dell'idea,
ma anche da un punto di vista storico.
Voi pensate che il fenomeno del brigantaggio vero e proprio
prende corpo non subito all'unità nazionale,
non subito con l'arrivo dei mil e poi con la successiva epopea garibaldina,
ma molti mesi dopo e ha ragioni, trova ragioni in ben altre questioni,
insomma adesso sarebbe lungo qui addentrarci nella discussione,
ma certamente non si può sostenere che quei contadini
fossero animate da sentimenti patriottici e cioè di difesa del regno borbonio.
Questo non è assolutamente vero, è una delle tante credenze false
che sono state diffuse.
Questo è anche molto interessante,
vi inviterei a dire due parole in chiusura su questo o su altro,
cioè i cortocircuiti che genera l'uso pubblico.
Penso per fare un esempio noto all'uso che l'estrema destra ha fatto recentemente di Guevara
o come Ahmad Shamasud è stato tirato a destra e a sinistra
pensando ai grandi combattenti noti a livello internazionale.
Intanto c'è anche un altro commento,
il fantastico regno duo siciliano è stato abbattuto in primis dai siciliani
che erano oppressi da Napoli.
Sandro Villucchio scrive questo,
non è una domanda perché termina con un punto esclamativo.
Direi che se Carmine Pinto vuole dire ancora due parole possiamo avviarci a salutare.
Posso rispondere alla tua questione,
in realtà mi sembra evidente nel senso che
certi progetti politici inevitabilmente si basano sull'uso del passato,
usciamo un po' dall'Italia,
vediamo due casi clamorosi, il Venezuela e la Catalogna.
La Catalogna ha iniziato a costruire un certo processo di nazionalizzazione alla fine del XIX secolo,
innanzitutto con elementi di carattere culturale.
La Catalogna nella prima metà del Novecento Spagnolo
era invece pienamente dentro le logiche politiche dei grandi attori politici spagnoli.
È stato invece a partire dagli anni Novanta, fondamentalmente del XX secolo,
che la confluenza tra attori diversi, nel caso catalano anche di carattere accademico,
che hanno portato a una costruzione di un immaginario, di un rapporto con la storia,
veramente imponente e che di fatto ha dato un successo inimmaginabile
fino a 30 anni prima o a 40 anni prima al catalanismo.
Il caso del Venezuela.
Il Venezuela oggi è forse la dittatura più feroce del secolo.
Per alcuni aspetti la dittatura di Chavez prima e di Maduro adesso
rende imbarazzante anche le esperienze di dittature terribili come quella cubana o quella coreana.
E nonostante questo il chavismo si è basato tutto su una totale reinventione del passato,
facendo di Bolívar, che era un personaggio della sua epoca,
un personaggio bianco che veniva dall'aristocrazia di origine spagnola,
che aveva anche gli schiavi, ma perché era quel mondo, senza giudizio, evitando di andare in queste cose.
Il chavismo ha fatto del bolivarismo una giustificazione di un progetto ideologico,
cioè quello di trasformare il Venezuela nell'inferno che adesso,
forse l'unico paese al mondo gestito da un gruppo narcotrafficante,
che tra le altre cose è anche un terrorificante,
e anzi con questo posizionamento di studio anche molto interessante,
non ci sono casi analoghi al mondo,
attraverso una totale reinventione di un passato.
Su che cosa si basa il chavismo?
Su un meccanismo, tra l'altro, molto comune, ma non a questo livello, nelle storie latinoamericane.
Cioè sull'idea di una missione incompiuta, nata con l'indipendenza,
in cui il presente non soddisfa mai questa missione che gli eroi dell'indipendenza avevano dato
al momento della fondazione della nazione,
già in reinventando, tra l'altro, un passato precoloniale, anche questo mitico, che non è mai esistito.
E siccome questa missione non è stata mai compiuta,
si compie attraverso un eroe che tutto è consentito, in questo caso Chavez, il chavismo,
con tutto quello che serve a giustificare il compimento di questa missione,
nata due secoli prima e mai portata a conclusione.
Quindi, se volete posso fare mille altri esempi, ma dobbiamo concludere.
Che cosa voglio dire?
Voglio dire che questi fenomeni di utilizzo del passato sono sicuramente potentissimi.
Allo stesso tempo, però, dobbiamo guardarli con laicità, non sempre hanno la stessa potenza.
Io non credo, per esempio, che nel nostro paese e in genere in tutto il mondo dell'Europa occidentale,
di quasi tutta Europa, hanno la potenza rispetto ai due casi che vi ho presentato,
o altri casi che potrei presentarvi.
Credo che siamo di fronte a un fenomeno più globale,
non credo però che questo fenomeno si declini con la stessa potenza e anche con i stessi obiettivi,
nel 99% dei casi.
Siamo di fronte a fenomeni di folklore.
Sentitemi un esempio.
L'anno scorso non abbiamo visto eventi d'estate perché c'era il virus,
ma se noi nel 2019 facevamo un giro in macchina dal mio paese,
sono in un piccolo paese che si chiama Padua,
e arrivavamo fino alle islande scozzesi,
non c'è una città che non fa una ricostruzione in costume storiche.
Non c'è stato.
Diciamo che questo uso del passato va ben oltre l'uso politico.
Il ritorno del passato ha dimensioni molto più imponenti da questo punto di vista,
anche simpatiche, a volte belle, a volte affascinanti.
Chiudo.
Secondo me siamo di fronte a un fenomeno di carattere molto più ampio,
tutto da esplorare, su cui si potranno scrivere tantissimi altri libri.
Quello di Pino e Poio Gormigno centra un fenomeno che è la declinazione italiana
di un fenomeno globale,
con delle caratteristiche ovviamente legate al suo contesto,
di forze e di fragilità anche,
legate al contesto,
ma sicuramente funziona rispetto agli obiettivi che ha scelto Pino e Poio Gormigno
e che ha scelto la terza.
Grazie mille, anche per questo allargamento in chiave comparativa
che ci permette di uscire da quel rischio di provincialismo
che abbiamo sempre dietro l'angolo, in particolare in Italia, ma ovviamente non solo.
Grazie Carmine Pinto per questi interventi profondi
e grazie a Pino e Poio Gormigno per aver scritto questo libro che rimostro
e per essere stato con noi.
Grazie a Dario Bassani e Antonio La Terza per aver curato questo evento
e grazie a Editoria La Terza per portare avanti una battaglia culturale
lunga ormai più di 120 anni,
perché siamo nei giorni in cui festeggiamo i 120 anni della Casa Editrice.
Grazie a tutti e a tutti voi per averci seguiti.
I video rimarranno online su Facebook e su YouTube,
per cui li potete poi rivedere o far vedere.
Arrivederci a tutti.
Ciao Carlo.
Ciao, ciao.
Arrivederci a tutti.