'Il tempo delle mani pulite' di Goffredo Buccini
Ciao, buonasera a tutti. Io sono Francesco Giano, in linea c'è Goffredo Buccini, giornalista del
Corriere della Sera e oggi parliamo di Mani Pulite, questo libro che è uscito per Edizioni
La Terza, 232 pagine, in cui si racconta un capitolo della storia italiana. Si chiama Mani
Pulite e è avvenuto esattamente 30 anni fa. Goffredo Buccini era un giovane giornalista
del Corriere della Sera che viene inviato a Palazzo di Giustizia e si ritrova, non so quanto per caso,
ma poi gli chiederò a raccontare questo capitolo di storia italiana e adesso ne parleremo un
pochino. Sono passati 30 anni, no Goffredo? Molte persone non erano ancora nate e magari
di quelli che ci stanno vedendo avevano pochissimi anni e non l'hanno vissuto. Quindi la prima domanda
è, e poi ovviamente voi che siete da casa fate domande, fate domande cattive perché Goffredo
piace ed è abituato. Come spieghi a un ragazzo giovane che cos'è stata Mani Pulite in un minuto,
per esempio? Due minuti, tre minuti? È stata una grande occasione che abbiamo perduto,
è stata un'illusione persa. Cioè l'idea che si potesse cambiare eticamente questo
Paese per via giudiziaria, cioè attraverso una scorciatoia, perché la via giudiziaria è una
scorciatoia, non è le vie diciamo appropriate secondo me per cambiare un Paese, sono la scuola,
la cultura, l'istruzione, la politica, il convincimento collettivo. La via giudiziaria
è ovviamente una supplenza, è quella che i giudici furono chiamati a fare in quel periodo
particolarissimo e per sintetizzarla al massimo, un periodo che nacque da una serie di eventi
internazionali che se vuoi dopo andiamo a raccontare, una serie di eventi nazionali per
cui la gente di colpo ebbe l'impressione di poter votare liberamente senza cambiare sistema. Quindi
di colpo si allentò la pressione della politica sulla magistratura, i soldi nel frattempo erano
finiti perché l'Italia stava attraversando una crisi finanziaria gravissima e la mancanza di soldi
ruppe il patto di corruzione che c'era tra la grande impresa e la politica. Gli imprenditori
non erano più soldi per finanziare la politica e cominciarono a raccontare le malefatte sia le loro
che quelle della politica. In sintesi. Chiarissimo, diciamo che c'è sempre stato questo dibattito se
il primo suono di Mani Pulite fu uno sciacquone del Vater oppure no. Cos'è questa cosa? L'hai mai
ricostruita? Lo sciacquone ti riferisci naturalmente ai soldi che Chiesa buttò,
che non erano... Allora, chi era Chiesa? Mario Chiesa era il presidente della Bagina, il Pio
albergo Trivulzio, un ente assistenziale che assisteva gli anziani segnatamente ma era anche
soprattutto direi il proprietario di un grosso patrimonio immobiliare. Chiesa era in quel 1992,
nei primi mesi del 92, l'inchiesta comincia il 17 febbraio del 92, era un socialista emergente. Si
pensava che addirittura potesse correre per sindaco. Era molto vicino a Pilitteri che era
il cognato di Bettino Craxi, quindi per interposta persona a Bettino Craxi stesso. Chiesa, come facente
parte del sistema di cui vi dicevo, era uno che prendeva le tangenti dagli imprenditori. Un
imprenditore che si sentiva strangolato, tale Luca Magni, che aveva una ditta di pulizie,
a un certo punto non ce la fa più e anziché portare i soldi direttamente a Chiesa passa
alla caserma dei Carabinieri. Dalla caserma dei Carabinieri lo portano da Di Pietro, gli fanno
segnare una serie di banconote, una mazzetta di 7 milioni di lire di allora, equivalenti più o
meno a 3.500-4.000 euro di adesso o forse a 6-7.000 euro adesso fa sapere, e questo va con questa
valigetta a consegnarla a Chiesa. In quel momento fanno irruzione gli investigatori e Chiesa, che
evidentemente aveva anche un'altra mazzetta, cerca di buttare l'altra mazzetta nello sciacquone. La
frase storica è, Chiesa dice, questi soldi sono miei e il capitano Giuliani dice no, questi soldi
sono degli italiani. Una frase molto simbolica. LM. Ecco, 17 febbraio 1992, poi per una serie di
venti Domino inizia Mani Pulite. Tu dov'eri quel giorno?
GL. Avevo 30 anni e stavo andando al lago con mia moglie perché il 18 febbraio era il nostro
anniversario. Io in realtà ero un giovane cronista di giudiziaria del Corriere della
Sera perché la particolarità di questa inchiesta è che viene seguita dalle seconde linee. Ero il
secondo della giudiziaria. Nessuno pensava che Chiesa confessasse. Sino ad allora non
aveva mai confessato nessuno. Il sistema aveva retto. C'era un socialista Antonio Natali che era
considerato il padre della politica di Craxi, quello che aveva avviato Craxi alla politica
nel PSI che era stato arrestato alcuni anni prima per delle tangenti. Ma Bettino Craxi era andato
a fargli visita in carcere e poi lo aveva fatto senatore. Era invalsa l'idea che ci fosse una
protezione del sistema a ciascuna delle pedine del sistema stesso. Quindi quando prendono Chiesa
l'idea di tutti quanti è che Chiesa non parli. Nel frattempo però sono successe delle cose.
Ti accennavo a un grosso cambiamento di sistema, cerco di farla brevissima, il crollo del muro di
Berlino. Uno dice ma che c'entra il crollo del muro di Berlino con la storia di Manicoli? C'entra
perché il crollo del muro di Berlino segna la fine dell'Unione Sovietica. La fine dell'Unione
Sovietica dà agli occidentali l'idea di un Natale libero a tutti quando voti. Il voto in Italia era
stato bloccato, secondo me a torto, ma insomma dà l'idea che se si votasse partito comunista
si cambiava sistema. Penso che non fosse vero ma la propaganda della democrazia cristiana
questo raccontava. Chi ancora ha la mia età, tu non eri nemmeno nella mente di Dio, potrebbe
ricordare che Indro Montanelli nel 1976, elezioni pazzesche in cui sembrava che il PC potesse
sorpassare la DC, disse la celebre frase turatevi il naso e votate DC. Lui era anticomunista,
antidemocristiano ma temeva che si cambiasse sistema. Tutto questo finisce con la fine
dell'Unione Sovietica, del comunismo eccetera e quindi questo segna però anche la fine del
sistema in Italia retto sulla democrazia cristiana che si reggeva sulla paura del PC. Tutta questa
lunga struttura che sto a fare è perché a un certo punto il sistema non può più proteggere
chi esce dalla sua parte. Chi esce dalla sua parte è il PC. Il PC si sente solo in carcere,
regge alcuni giorni, anzi regge se non mi ricordo mai, l'ho scritto, cinque settimane.
Bettino Craxi gli dà del mariuolo in televisione. Ora questa è una scelta molto infelice non tanto
perché Chiesa si sentisse offeso dall'epiteto ma perché secondo me lui ha misurato l'impotenza
del sistema. Cioè mai i socialisti sarebbero venuti a dare il mariuolo a uno di qualche
anno prima a un collettore di tangenti qualche anno prima. Quindi questo è un segno della
debolezza dello stesso Craxi e quindi Chiesa si sente solo e abbandonata e comincia a parlare.
Quando Chiesa comincia a parlare si aprono proprio le cataratte, scende giù un diluvio perché
l'inchiesta procede a ritmo esponenziale. Da Chiesa si passa otto imprenditori che avevano
rapporti con Chiesa. Ognuno di quegli otto parla e quindi in breve l'inchiesta diventa
una cosa gigantesca che però si ritrova nelle mani dei ragazzini di qui sopra proprio perché i
giornali non pensavano che Chiesa parlasse. Quando Chiesa parla e quando si arresta la
gente ormai i ragazzini hanno in mano le fonti dell'inchiesta e quindi più nessuno li può
togliere dall'inchiesta. Chiarissimo. Hai fatto un bel excursus. Il primo articolo che scrivi
è sull'arresto di Chiesa. Sì, la prima cosa uscì sulle agenzie perché lui venne preso il 17 di
febbraio di pomeriggio e uscì la notizia verso le 10 di sera. Io uscirò nelle agenzie ma agenzie
molto brevi, stringate, dove il giorno dopo uscì completamente la notizia e raccontammo l'arresto.
Non ti vedo più Francesco. E uscì quindi la notizia dell'arresto e incominciamo a scrivere.
Sai, dovete pensare che erano altri tempi, cioè adesso tutto quanto viaggia in tempo
strareale. Quindi se arrestassero Chiesa adesso, che sono le 5 e un quarto, tu alle 6 saresti
inondato nei social, da Twitter, Instagram, allora non c'era niente di tutto questo. Quindi
arrestano Chiesa alle 5 e un quarto, non si sa un accidente, fino alle 10 di sera esce un'anza di
dieci righe e poi si gioca tutto la mattina dopo. E la mattina dopo io vengo acciuffato dal mio capo
che mi manda a Palazzo di Giustizia anziché festeggiare il mio anniversario di matrimonio.
Nel libro racconti anche come lavoravate voi giornalisti. Correggimi se sbaglio,
i giornalisti di giudiziaria, prima di Mani Pulite, non erano ritenuti i più figli, cioè il lavoro più
figo. In quell'epoca fare giornalista giudiziario era ritenuto il lavoro più figo, o sbaglio?
Come lavoravate?
Il fatto di essere giornalista di giudiziario ha sempre avuto un alone di ficagine, nel senso che
evidentemente ti occupi, ti occupavi, i vecchi colleghi si sono occupati dell'Ambrosiano,
il crack dell'Ambrosiano, della P2, insomma dei grandi intrighi di Piazza Fontana, delle stragi,
quindi è ovviamente una cosa di questo tipo. Ma Mani Pulite cambia tutto anche in questo,
perché la velocità della notizia, cioè la velocità dell'arrivo delle notizie in giornata,
muta la legge della domanda e dell'offerta, mi spiego meglio. Non c'è più una notizia ogni 4-5
giorni, ogni settimana, che i giornalisti giudiziari andavano a prendere dal vecchio
giudice istruttore, cioè cambia tutto. Noi ci troviamo intanto in costanza di codice nuovo,
che dà ai pubblici ministeri una forza completamente diversa del controllo della
polizia giudiziaria, quindi di fatto il PM è il motore dell'inchiesta e quando parlo di PM in
questo caso parlo di Antonio Di Pietro, che è il soggetto che fa nascere questa inchiesta. I
giornalisti si trovano in quella fase di fronte a 5 arresti e 10 avvisi di garanzia ogni giorno.
Allora tu devi pensare, questo gruppo di ragazzini che si sono trovati addosso questa roba, ragazzi
tra i 28 e i 32, 33 anni, che devono gestire questa massa enorme di codice. Il pericolo serio
è che in questa massa ci fosse una notizia fasulla, perché già allora c'era molto interesse ad
avvelenare l'inchiesta, cioè a fare in modo che diventasse tutto incredibile. Quindi dopo un po',
diciamo dopo l'arresto di quegli otto imprenditori di cui ti raccontavo prima, il gruppo di ragazzini
si guarda in faccia e dice adesso noi per un po' di tempo condividiamo le notizie, le controlliamo,
controlliamo nel senso che siano vere tutte quante e in questo modo proteggiamo i lettori e proteggiamo
noi stessi. Nasce così il pool dei giornalisti che è stato molto criticato, in parte forse anche
ha ragione, ma poi anche questo è un discorso che si può riaffrontare per gli errori che abbiamo
fatto. Però che allora servì soprattutto a tutelare l'informazione, non serviva a fare il
minkul pop rosso come è stato è stato raccontato, serviva a tutelare la veridicità di quello che
noi raccontavamo e devo dirti anche a tutelare i colleghi più deboli, perché vi sembrerà strano,
ma c'erano dei giornali che erano controllati dal sistema dei partiti molto fortemente e i
colleghi di quei giornali non avrebbero scritto un rigo se non fosse stato che i loro capi sapevano
che usciva da tutte le parti la notizia. Quindi in qualche modo in quei mesi il pool dei ragazzini
giornalisti ha avuto una funzione secondo me positiva dell'informazione. Ne ha avuto anche
una negativa, però non ti voglio togliere lo spazio della domanda successiva, che potrebbe
essere sui nostri errori. Prima ti volevo chiedere se tu hai pubblicato in quei giorni,
in quegli anni, delle notizie false come può capitare normalmente. No, ringraziondi Dio no.
Ok, articoli di cui ti sei pentito? No, non si tratta di un articolo di cui io mi posso essere
pentito e io non amo la categoria del pentimento, che è una categoria secondo me in Italia abusata
in ambiti che non sono quelli propri. Se io mi pento di qualcosa, mi pento con la mia coscienza,
sono fatti miei e non ve lo vengo a raccontare né nella tv né in una diretta. No, il pentimento no,
è un ragionamento e questo ragionamento attiene a quelli che io considero errori miei, ma secondo
me anche del nostro sistema di informazione. Dunque tu forse ti ricorderai che Berlusconi
sostenuto più voti ha, i giornalisti sono tutti comunisti. Ora questa è un'esagerazione di
Berlusconi che è un uomo che ama le iperboli ovviamente, però una piccola scintilla di verità,
almeno per quello che riguarda la mia generazione. C'è, è vero che una generazione, la mia, si è
formata nella sinistra giovanile, si è formata a livello universitario, scolastico, liceale,
con una serie di idee che avevi già prima e cioè quali erano le idee? Che i socialisti di Craxi
fossero traditori della grande causa del sol dell'avvenire? Che imprenditori come Eligresti
fossero una specie di caricatura della piovra? Che gli andreottiani fossero tutti in certo modo?
Allora, cosa vera, falsa, se ne puoi parlare, ma se tu hai questa convinzione e un'inchiesta ti
dice queste cose, tu dici ecco fatto, ho trovato la verità, non mi serve nessun'altra verità. E
questo è un convincimento molto pericoloso per un giornalista, cioè se tu ti convinci che la
verità è una, smetti di guardarti intorno a guardare se ci sono almeno altri punti di vista
di quella verità, perché la verità la puoi guardare da diversi punti di vista. Pensa,
la faccio a breve, pensa al ruolo di Giuda nella crocifissione di Gesù, no? Allora, Giuda è un
traditore, sì, certamente, ma se tu la vedi dal punto di vista di Giuda, Giuda è necessario al
sacrificio di Gesù, senza Giuda non si compie il sacrificio. Quindi hai visto come si può vedere
la verità della crocifissione da un altro punto di vista, è sempre la verità, cioè Gesù è stato
crocifisso, però puoi vederlo da un altro punto di vista. Ecco, noi non vedemmo il punto di vista
di Giuda, per farla semplice, e quindi abbiamo raccontato agli italiani, secondo me, io almeno,
ho raccontato agli italiani un'immagine un po' troppo omogenea dell'inchiesta e dei suoi attori,
e secondo me era anche opportuno guardare più da vicino, diciamo, i soggetti passivi,
cioè gli indagati, gli imputati, e poi arriviamo alla catena di suicidi, quindi insomma arriviamo
a sofferenze individuali su cui, secondo me, abbiamo compiuto notevoli strappi noi.
LM. C'è Marco Brando, collega dell'Unità, che all'epoca era dell'Unità se non sbaglio,
che dice, scherzando, dite a Goffredo di verificare le illazioni su Di Me a proposito
di corteggiamento di giovani croniste. Mi dai la per una domanda, come vivevate quei giorni? Qual
era la vostra giornata tipo? GB. La nostra giornata tipo era non stop dalle 9 di mattina
alle 2 di notte perché i giornali facevano ribattute, quindi stavamo sostanzialmente
sempre insieme. All'inizio stavamo sempre insieme per controllarci, dopo quando nasce il famoso pool
dei giornalisti ci dislochiamo addirittura e questo rende il gruppo più forte. Tieni conto che noi
siamo la prima generazione dei cellulari addirittura, cioè con l'inchiesta i giornali
ci mettano addosso dei cellulari. C'era Fabio Poletti che allora lavorava a Radio Popolare,
Radio Popolare naturalmente aveva dei mezzi più scarsi che si portava di una specie di telefono
da campo con uno zaino sulle spalle e quello era il cellulare di Fabio. Però questo per esempio ci
permetteva di controllare, dividendoci e collaborando tra noi, diversi punti nodali,
cioè il carcere di San Vittore, la procura della Repubblica, la caserma dei garabinieri,
quella della finanza. Quindi era diventato un grosso gruppo che lavorava e controllava le notizie.
Stavamo sempre insieme e naturalmente c'era anche una parte di cazzeggio a cui si riferisce Marco,
eravamo un gruppo di ragazzi, peraltro un sacco di maschi, quindi c'era anche questa specie di
sentimento da spogliatoio, da terza C eccetera. E Marco si riferisce al suo vezzo, che lui nega,
ma è così, che quando c'era una ragazza che lo interessava, adesso prendo gli occhiali e vi
faccio vedere, lui faceva così, cioè si alzava gli occhiali sul naso e noi tutti a ridere. Ma
questo era proprio, ci dovete perdonare perché stiamo parlando in una cosa grave di una certa
leggerezza, ma non potete pensare che per 18 ore le persone mantengano sempre la stessa gravità,
anche perché eravamo piuttosto leggeri. C'è chi dice che non tutti siamo stati fan
i nostri tabli di Di Pietro. Allora, Di Pietro, Antonio Di Pietro, che noi magari abbiamo
conosciuto, i più giovani hanno conosciuto come politico, come persona con una certa dialettica,
eccetera. Chi era Di Pietro? Tu che l'hai vissuto in quegli anni, la prima volta che l'hai incontrato,
dacci qualche anello e faccio un ritrattino di Di Pietro. Dunque, intanto la prima cosa che mi
viene in mente è che è un uomo di un'intelligenza non comune e con una capacità non comune di
apprendere. Perché, se non facciamo mente locale sul punto di partenza, non si capisce, Di Pietro
è uno che parte da un campo a Montenero di Bisaccia, cioè parte da, ed è Di Pietro del 1950,
quindi stiamo parlando dell'Italia post bellica, del profondo sud, del Molise, e lui parte da là.
Quindi, voglio dire, se io fossi partito da là, starei messo molto peggio di come oggi sto messo.
Antonio ha avuto una capacità straordinaria, senza questo non si... Dopo di che lui aveva
anche una grande capacità affabulatrice. Allora, io nel libro racconto che noi,
giovani cronisti borghesi, perché eravamo tutti più o meno di un certo tipo, lo prendevamo in
giro. Noi lo chiamavamo Zanzoni, il troglodite, eccetera. Ma era lui che prendeva in giro noi,
perché lui ci manovrava. All'inizio dell'inchiesta la grande paura di Di Pietro è che l'inchiesta
gli si richiuda addosso. Cioè, che succede esattamente come vi ho spiegato per le inchieste
di prima. Cioè, anche se Chiesa parla, e Chiesa parla dopo cinque settimane, il sistema sta ancora
lì. Quindi lui credo che tema che l'inchiesta venga chiusa in qualche modo. Persino Borrelli,
il mitico procuratore, in quei mesi gli assegna ancora i piccoli processetti assieme a Mani Pulite.
Allora, che cosa fa secondo me lui? Questo chiaramente l'abbiamo capito, l'ho capito col
tempo. Lui fa uscire cose che non le dono l'inchiesta, ma che mantengono alta l'attenzione
della gente. Piccoli dettagli che regala a ciascuno di noi. Ancora quando noi non eravamo
il pool, lui ne dava un pezzetto a uno, un pezzetto un altro, un pezzetto un altro, mantenendoci in
concorrenza e facendo vivere all'opinione pubblica questa tensione. Quindi stiamo parlando di un uomo
di un'astuzia, beh, di un'astuzia considerevole. Un uomo che peraltro conosceva il sistema,
perché avendo attraversato cento vite, in una delle sue vite lui è stato commissario di polizia,
PM e poi PM a Milano e insomma ha una serie di amici e di frequentazioni che poi sono
frequentazioni che tornano nell'inchiesta. Stiamo parlando di cose che la giustizia ha
acclarato non essere penalmente rilevanti, cioè Di Pietro l'ha affrontato, l'ha detto,
perché se no non ci capiamo, una cinquantina di accuse e procedimenti è sempre uscito pulito.
Quindi non stiamo parlando di robe che hanno peso penalmente, però stiamo parlando di un
miliee. Il miliee in cui prima di Mani Pulite Antonio si muoveva era anche quello di una serie
di imprenditori, di personaggi che stavano in quella Milano. Personaggi che lui però fa arrestare,
su cui indaga e che inquisisce. Quindi quando Di Pietro diventa il Di Pietro di Mani Pulite,
lui manda in galera anche quelli con cui magari aveva preso una pizza insieme, per così dire.
È un uomo multiforme che secondo me ha fatto un grosso errore poi nell'uscita dalla magistratura,
ma se vuoi di questo ne potremo parlare dopo perché è proprio la parte conclusiva,
è la parte che attiene quasi all'eredità di Mani Pulite. Quindi non voglio spoilerare,
come si dice oggi. Hai visto che gran modernità, nonostante la miniatura?
No, no, intanto ti volevo chiedere se c'è un aneddoto su Di Pietro di quegli anni quando lo
incontravi. Com'era? Era parecchio amiccante? Vi chiamava? Lui era amiccante molto, ci faceva
avvicinare molto, quando gli conveniva. Era rabbioso come lo raccontano nella serie 1993?
Sì, nella serie 1993 lo raccontano come molto ruvido, molto rabbioso.
Sì, gli conveniva. Secondo me Di Pietro ha sempre avuto un buon controllo di se stesso e quindi era
anche in grado di mettere in scena la scena della rabbia. Guarda, c'è un aneddoto che mi riguarda
perché è proprio nei primi tempi, quando c'era solo Chiesa arrestato, è incominciata la caccia
e noi non eravamo il pool ma ci facevamo ancora concorrenza tra ragazzi, c'era la caccia ai conti
di Chiesa e c'era la rassegna stampa a mezzanotte, mezzanotte e mezzo. A un certo punto mi ricordo
che ero appena arrivato a casa, apro la tv e nella rassegna stampa c'è su altri giornali
la notizia di un'altra cassaforte di Chiesa che era stata beccata da Di Pietro. E io dico,
ho preso un buco clamoroso. Il buco cos'è? È una notizia che tu non hai e gli altri hanno,
quindi è una figuraccia che tu fai con i tuoi, con il tuo giornale. Alzo il telefono e chiamo
Di Pietro. Era mezzanotte e mezza, il poveretto stava dormendo ma anziché mandarmi a cagare o
mandarmi in galera ha cominciato a far fuori dicendo non è vero, non è vero. Era vera la
notizia ovviamente e non è che gli fregasse qualcosa di me, gli fregava qualcosa di ciascuno
di noi. Cioè lui non voleva perdere nessuno di quei cronisti che eravamo perché in quel momento
gli servivano a portare avanti il suo pezzetto di indagine su ciascun giornale, a rilanciarla
su ciascun giornale e presso l'opinione pubblica. L'indagine fa il suo vero salto quando era il
primo maggio, quando Tognoli e Piglitteri vengono indagati da Di Pietro. Mi ricordo ancora questa
drammatica conferenza stampa di questi due stravolti e peraltro mentre Piglitteri era
in viso a molti in quanto cognato I Craxi, di Carlo Tognoli c'era un'opinione eccellente
su Milano, era il sindaco buono, riformista, lui era veramente sconvolto però quello fu il momento
in cui l'inchiesta fa un salto a livello nazionale. Intanto Guizzanno chiede, il libro è adatto a chi
si approccia da neofita all'argomento bisogna avere già una conoscenza dell'argomento. Io l'ho letto
tutto da neofita, va bene da neofita, se sei neofita e vuoi sapere cosa è successo, ma anche
perché ci portiamo ancora alcuni argomenti, alcune cose dopo 30 anni, è adatto il libro, infatti poi
te lo chiedo. Tra l'altro a proposito di attualizzare il discorso, secondo te se Mani Pulite e tutti gli
eventi che hai raccontato, anziché il 17 febbraio 92 fossero accaduti il 17 febbraio 2021, come
l'avremmo raccontato e come sarebbero cambiati? Magari su Twitter ci sarebbe il top hashtag
arrestato chiesa, magari si sarebbe esaurita nel giro di un giorno, magari il popolo sarebbe sceso
di più in piazza o magari meno? Sì, è una domanda a cui in parte non ci risposta, in parte ti ho già
risposto, nel senso che io credo che i nuovi sistemi, i nuovi media, i social avrebbero
completamente cambiato il tempo dell'inchiesta, forse avrebbero alterato anche l'inchiesta,
perché uno dei grossi pericoli, secondo me, di oggi della straordinaria velocità di diffusione
delle notizie è la mancanza di controllo della notizia e quindi tu non hai proprio più il tempo
materialmente di capire se una cosa è vera o è falsa, perché vieni scavalcato dalla notizia e
addirittura in temporanea dai primi commenti, perché in questa stagione di presentismo è invalsa
l'idea che io debba dire una cosa ragionevole su qualsiasi evento dall'astrofisica ai campionati
di calcio. Siccome non è vero, la circolazione delle sciocchezze si è moltiplicata di parecchio
negli ultimi anni e io credo che mettere un cumulo di fesserie sopra un'inchiesta così
drammatica avrebbe da un lato reso l'inchiesta grottesca e da un altro ancora più drammatica.
Ecco quindi, dopo di che, che ne so, non so che sarebbe successo nel 2021.
Come dire, pensare a un evento lungo due anni oggi sembra quasi una cosa assurda,
dopo 24 ore qualcosa viene superata. Sì, anche perché oggi 24 ore sembrano 24 mesi,
due anni di evento è una stagione di vent'anni, quindi forse, non lo so, forse gli effetti
politici sarebbero stati anticipati, forse sarebbe stato tutto compresso dentro una settimana,
non saprei, non riesco a immaginarlo. Due anni sono migliaia di storie,
possiamo dire migliaia, centinaia sicuramente di storie. Qual è la storia più interessante,
più affascinante che ti sei trovato a raccontare su Mani Pulite? Io penso sempre a Loro di Poggiolini,
a Loro trovato in casa di Poggiolini, è fantastico. No, invece io ti direi la vicenda di Sergio
Cusani, ma anche perché è, e io questo lo racconto nel libro, è davvero il primo indagato a cui
riesco ad avvicinarmi e a lungo, perché uno dei problemi che abbiamo avuto noi nel raccontare
questa storia, secondo me, era che molto a lungo, troppo a lungo, nei primi mesi, nel primo anno,
abbiamo visto gli imputati e gli indagati, gli arrestati, come delle entità extracorpore,
come degli ologrammi, come qualcosa di non esistente davvero. Cioè il primo, di cui dici
accidenti, è chiaramente quando devi confrontarti con gente che si ammazza, ma anche allora la
velocità della cosa è anche una certa, devo dire, era anche passata un'idea orrenda. Cioè l'idea che,
se tu ti ammazzi, la colpa è del sistema che ti ha fatto ammazzare e quindi un ulteriore, diciamo,
d'accusa, che è una cosa di una infamia quasi, terribile. La novità di Cusani è che, siccome,
chi è Cusani? Allora, è una sorta di gnomo della finanza di Milano, un uomo molto intelligente,
molto brillante, che diventa consulente di Raul Gardini, che quindi prende parte al grande
intrigo dell'Enimont. Adesso, che cosa era l'Enimont? L'Enimont, sai, è come tirare un filo
e ne vengono giù altri 50. Enimont era il tentativo di mettere insieme Stato e privato nel
grande affare della chimica. In questa storia Raul Gardini, che era un imprenditore molto coraggioso
e molto spregiudicato, cerca di fare il colpaccio e di prendersi tutta la chimica. E per fare questo
colpaccio si fa aiutare in sede di consulenza da questo brillante finanziere Cusani. Che cosa
succede di Cusani? Di Pietro decide di farne il simbolo della prima repubblica, cioè Di Pietro,
anziché portare a processo subito i vari segretari di partito, cioè Craxi, Forlani e gli altri,
come imputati, decide di portarli come testimoni, quindi come costretti a dire la verità perché il
testimone almeno in teoria deve dire il vero, in un processo in cui si parla di loro ma c'è un solo
imputato, Sergio Cusani. Quindi Di Pietro istruisce il processo Cusani e chiama a testimoniare tutti i
segretari di partito davanti alla televisione. Questo pure è un'altra cosa di cui dobbiamo
accennare. L'incontro con Cusani è la prima volta, io resto un giorno intero a casa di Cusani,
e devo dire che è un incontro sorprendente perché l'uomo è notevole, ha una umanità profonda,
ha una dignità considerevole, quindi è la prima volta che questo ragazzo cronista vede non un
ologramma ma un essere umano. In questo senso è un'esperienza fondante perché ti insegna che gli
imputati e gli indagati hanno una loro cifra di umanità che ce l'ha stata preclusa nella
velocità dell'inchiesta. Noi questi non li avevamo mai considerati come esseri umani. Cusani è la
prima persona che vedo e ti colpisce. Quindi è stato un punto della storia che forse mi ha colpito
di più. Quanti furono i suicidi durante gli anni di Mani Pulite? 40? Guarda, ne hanno ricostruiti
una quarantina. Non parliamo solo di Milano, parliamo delle inchieste di Mani Pulite.
Non c'è stata una colpa. Camillo Da Vigo ha detto che quando una persona si suicida ovviamente è un
atto, una disgrazia, ma la causa ricade su chi commette l'atto di suicidio e non può essere
attribuita ad altre persone. È una frase molto infelice questa di Pier Camillo perché vede anche
lì solo un pezzo di verità. È un po' la storia che dicevo prima, è colpa del sistema. Quindi la
colpa di chi si uccide è in fondo di chi si uccide perché ha commesso il male, ammesso che lo abbia
commesso, e perché quindi viene stritolato dal suo stesso male. Ma è un po' diversa la storia,
innanzitutto stiamo parlando di persone che in parte, in buona parte, non avevano neanche la
percezione di stare commettendo il male. Allora mi devo allargare un attimo. Sergio Moroni,
che è il suicidio più clamoroso e devastante, si ammazza a settembre del 92, è un deputato
socialista con una moglie e una figlia che allora aveva 18 anni. Lascia una lettera terribile a
Napolitano che era presidente della Camera, quindi lui da deputato lascia questa lettera
al Presidente della Camera, in cui rivendica, non nega, ma rivendica la sua onestà pur non
negando. Perché? Perché da segretario regionale del PSI aveva preso 200 milioni per il partito,
trattava di finanziamento illegale, secondo lui, del partito socialista. Lui sosteneva di non
averli presi per utile proprio, ma di averli presi dentro a un sistema in cui sostanzialmente
non si poteva dire di no. Io credo che si possa sempre dire di no. Detto questo, non si può
schiacciare la vicenda di una persona e la vicenda di un suicidio su quel finanziamento
illecito. Cioè bisogna capire che una persona ha una moglie, una figlia, un edicolante,
il ristoratore dove va la domenica, la suocera, ha un mondo intorno e quel mondo intorno viene
raso al suolo da una notizia. Noi dobbiamo, e questo riguarda noi giornalisti come gruppo,
categoria, dobbiamo sforzarci di tenere presente l'umanità delle persone di cui andiamo raccontando.
Secondo me con una massima. Cioè che cosa vorresti che scrivessero di te? Pensa un secondo a questo.
Dopodiché mi rendo conto che è un discorso astratto, che la cronaca giudiziaria ha dei
tempi. Sono contento di non fare più la cronaca giudiziaria da un sacco di anni,
anche se è stata un'esperienza importantissima. Però secondo me noi non possiamo prescindere
dalle persone. Dire che si è ammazzato e che è colpa degli errori che ha fatto è, secondo me,
una frase sbagliata, con tutto il rispetto per chi l'ha detta.
LM. Ci arriviamo, diciamo, verso la fine di questi due anni. Come finisce Mani Pulite?
Cioè si parla Mani Pulite, due anni, eccetera, e poi...
ACQ. Guarda, la fine di Mani Pulite la racconta molto bene Gerardo Colombo,
che è un altro dei PM di Mani Pulite, e secondo me il più lucido dei PM di allora. Lui dice,
finché noi abbiamo colpito i segretari di partito, i top manager, la gente ci batteva le mani,
facevano dei cortei sotto alla procura per dire non tornate indietro, di Pietro, e viva, eccetera.
Appena cominciamo a scendere per i rami, cioè a indagare, perché è evidente che non è soltanto
i segretari di partito, i top manager, bravo, vai scendendo e beccherai il vice del top manager,
il vice del vice, il piccolo capello. A quel punto il consenso finisce. E questo non la dice bene
per noi italiani, che siamo tutto un popolo molto propenso, secondo me, a battere le mani
a un potente e a battere le mani poi quando gli tagliano la testa. Ma appena una cosa poi comincia
a riguardare la nostra sfera privata, siamo molto meno disposti a guardarci dentro. Tant'è che la
corruzione non è sparita in Italia, ha cambiato segno, cioè non va più alle segretarie dei partiti,
ma è diventata una sorta di grande giro di coriandoli, per usare l'immagine del census
di un po' di tempo fa sulla società italiana. La corruzione è fatta di tanti piccoli cordatine,
di tanti gruppi, si è quasi familiarizzata. Se io sono un piccolo dirigente di un ufficio pubblico,
ti chiederò il posto per mio figlio, la macchina per mio cognato, ti chiederò...
Si è parcellizzata, è persino più brutta e pericolosa. Io non credo che l'Italia sia
migliorata e ti dirò che l'Italia non poteva migliorare per effetto di un'inchiesta,
anche perché la conclusione di quell'inchiesta secondo me è stata deludente per l'idea che
gli italiani potessero avere dell'Italia, a causa del comportamento non penale ma politico dei due
grandi protagonisti. Bettino Craxi, che da uomo di Stato, cioè lui è stato presidente del Consiglio
per quattro anni, è stato un uomo di Stato e io credo che abbia amato l'Italia, è scappato
dall'Italia a fronte di due condanne definitive, cioè emesse da sei collegi, perché è 3 più 3,
i 3 gradi più 3 gradi, quindi non dal gruppo dei PM di Mani Pulite, ed è rimasto all'estero.
Qual è il messaggio che un uomo di Stato dà agli italiani se si sottrae alla sentenza di
sei collegi giudicanti? Che non ci si può fidare della giustizia e quindi dello Stato italiano.
Dall'altro lato, l'altro grande protagonista di cui abbiamo parlato è Antonio Di Pietro. Se tu sei
il percepito come l'entità moralizzatrice di questo Paese o comunque sei il simbolo
della magistratura in quel momento, esci dalla magistratura in modo assolutamente inopinato e
nel giro di tre anni ti vai a candidare sostenuto da un partito che avevi inquisito, stai dando agli
italiani un messaggio secondo me politico devastante. Stai dando l'immagine del fatto
che non puoi credere più a nulla, a nessuno, non c'è un simbolo che regga. Se nessun simbolo regge,
dilaga la rabbia, quella rabbia che avete visto dal Vaffanelli in poi e quella grande confusione
che ci fa tutti un po' più acidi, più incazzati e rende così difficile governare questo Paese oggi.
E qui arrivo alla domanda un po' finale. Antonio chiede quali lezioni possiamo imparare da quel
periodo come cittadini e perché non c'è stato quel rinnovamento che si sperava,
credo che tu abbia risposto. Qual è l'eredità quindi di Mani Pulite? Possibile che quello
che tu dici nel libro c'è un partito che ha un po' incarnato e un po' l'erede di Mani Pulite?
Non vogliono chiamarsi partito però. L'eredità di Mani Pulite in senso giustizialista sicuramente.
Cioè il mito di Mani Pulite in compiuta si è travasato in quella stagione del grillismo
evidentemente e nel giustizialismo del grillismo ma è un altro elemento devastante.
Scusiamo un attimo perché si deve sempre parlare che cos'è la parola giustizialismo.
Beh la parola giustizialismo che peraltro viene usata impropriamente perché il movimento
giustizialista si riferisce a One per On in Argentina e stiamo parlando di tutta un'altra
cosa ma insomma per l'uso che se ne è fatto in Italia è l'idea, diciamo, di far prevalere
la giustizia sostanziale cioè l'idea che per dirla con una frase che è diventata famosa ma
è anche molto malintesa non esistono innocenti ma colpevoli non ancora scoperti. Chi è quella frase?
Sarà di Pier Camillo Davigo ma è stata usata in modo secondo me improprio anche qui. Pier Camillo
è un personaggio che ama e amava stupire. Questa frase che lui ha pronunciato per la prima volta
moltissimi anni fa la puoi leggere anche in modo quasi biblico, escatologico, in modo etico,
morale. Chi è che in fondo è innocente? Tu puoi dirti innocente? No, io neanche. Siamo tutti colpevoli
non ancora scoperti. Dopodiché la puoi leggere in senso sbirresco, in senso stretto ed è stato
l'uso che ne è stato fatto. Io che conosco Davigo sono convinto che l'uso che lui volesse
farne era epatele bourgeois per stupire l'uditorio. Però questa sua voglia si è ritorta contro di lui
e credo che una parte delle disavventure più recenti siano figli anche di un grosso fraintendimento.
Dopodiché mi sono perso quello che stavi dicendo prima. Cos'era il giustizialismo?
Ah sì, ecco il senso è il contrario del garantismo per come è stato inteso dagli
italiani. È l'idea che un indagato sia di per sé colpevole. È l'idea che un indagato
possa essere sbattuto davanti all'opinione pubblica con una specie di alone di colpa.
È una cosa su cui grazie a Dio si sta riflettendo. Adesso forse hai visto che sta passando e già
passata una norma che spinge a stringere sulle comunicazioni fra le procure e la stampa,
a stringere sulle conferenze stampa che spesso vengono fatte appena tu arresti uno e quindi
l'immagine di quello è sparata come fosse il mostro. Poi quello magari dopo due anni viene
assolto ma non frega più niente a nessuno e quello resta mostro per l'edicolante, il ristoratore.
Ecco, io credo che però quello che deve restare dentro di noi giornalisti che ci occupiamo della
vita quotidiana degli italiani deve essere un senso di empatia. Cioè noi ci dobbiamo sforzare
di ricordarci che le persone di cui scriviamo sono persone. Questo lo dico attribuendomene colpe,
quindi noi dobbiamo ricordare che stiamo scrivendo di esseri umani. Esseri umani che hanno madre,
padre, figlio, sorella, edicolante e ristoratore. E quindi questo ci deve portare a una certa
continenza, non all'autocensura, ma alla continenza e all'attenzione su quello che
andiamo raccontando. Mi viene da dire che è un insegnamento che 30 anni dopo dovremo usare anche
tutti noi quando scriviamo sui social del linciato del giorno. Cioè ogni mattina ci alziamo con
qualcuno da maledire e non gli diamo diritto a un giusto processo, un diritto alla difesa,
a sentire la sua versione eccetera. Quindi non vale solo per i giornalisti ma vale anche per
gli utenti dei social. Assolutamente. I social rischiano di diventare una sorta di tribunale
del popolo che emette una sentenza in tempo reale. Quindi da un lato i social sono molto bene,
i social sono quello che permettono agli oppositori dei regimi totalitari di farci
sapere quello che sta succedendo. Noi non dobbiamo dimenticare la grande funzione democratica dei
social e anche la grande funzione di circolazione delle idee. Dopodiché in tutte le cose,
allora il fuoco cos'è? È bene o è male? Ti serve per riscaldare, serve per dar fuoco alle streghe.
E dipende da come usi le cose. Io ci ho messo un bel po' di anni a emendarmi da determinate
cose. Ci può volere un po' di tempo. Io sono particolarmente stupido quindi magari uno più
sveglio ci mette di meno. Goffredo, allora io ricordo il libro
Il tempo delle mani pulite, editore alla terza, 232 pagine per capire quello che è stato Mani
Pulite e soprattutto quali sono gli effetti a oggi. Io chiuderei con una domanda. Cosa
hai fatto dopo Mani Pulite? Siccome mi è piaciuta molto la conclusione del tuo libro,
come è cambiata anche il tuo approccio verso la professione?
Dunque, cosa ho fatto? Ho cercato di fare di tutto per togliermi di dosso Mani Pulite perché è uno
dei problemi dei colleghi, di noi giornalisti che seguono una storia molto importante. I colleghi
hanno seguito il terrorismo per esempio. E questa storia ti schiaccia, cioè ti rimane addosso per
tutta la vita. Io quando abbiamo raccontato la vicenda dell'invito a comparire a Berlusconi avevo
32 anni. Rischiavo che questa cosa mi rimanesse appiccicata addosso tutta la vita. Quindi ho
fatto di tutto. Ho fatto l'inviato, ho fatto il corrispondente dagli Stati Uniti, il responsabile
dell'edizione di Roma del Corriere della Sera, adesso faccio l'editorialista e ancora l'inviato
che resta il mestiere più bello di tutti. Qual è l'approccio col mestiere? Proprio questo. Questo
mestiere è una benedizione. Noi abbiamo una fortuna straordinaria, quella con cui appunto
chiudo il libro, cioè l'idea, l'illusione di poter cambiare il mondo per via giornalistica. Questa
illusione c'è tempo per perderla, non va completamente mai persa perché si può fare
sempre qualcosa con questo mestiere fantastico e deve essere comunque la molla che spinge i ragazzi
a fare questo mestiere. Io chiudo il libro dicendo se un ragazzo di vent'anni non vuole,
non si illude di poter rovesciare il mondo col suo taccuino è uno che non voglio vedere in
redazione e ti aggiungo anche perché probabilmente a 50 anni diventerà un fior di mascalzone. E con
questa possiamo chiudere. Se avete candidature scrivete a Goffredo, questo è il libro. Grazie
Goffredo. Ti ringrazio Francesco, grazie a tutti. Ciao a tutti. Ciao.