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Pasolini - Ragazzi di Vita, VIII. LA COMARE SECCA (3)

VIII. LA COMARE SECCA (3)

Il Begalone, ch'era stato messo a terra dal Caciotta e dal Tirillo che si riposavano, come un cristo deposto dalla croce, proprio in quel momento cominciò a muoversi, e piano piano, preso subito sotto le ascelle dai compagni, si rialzò in piedi. Il Riccetto lo guardava con una smorfia pessimista: ma come scorse Alduccio, mandò affan... il Bègalo, e gli si rivolse ghignando: - A cuggì, - fece, - mbè? L'hai fatto piccolo er mazzo stanotte! - Alduccio s'arrabbiò, preso da uno scatto di nervi: - A cretino, -fece al Riccetto, - che te credi che ho voja de scherzà io? Ma va a lavà da n'antra parte, va! - Con una faccia sfigurata dalla rabbia, ma che si vedeva benissimo che aveva un nodo alla gola e che quasi stava per sbottare a piangere, si rivoltò, e fece per rincamminarsi verso il trampolino. - Ce vai in puzza a cuggì? fece il Riccetto seguendolo con passo molle, e tutto scherzoso e ironico. Alduccio si voltò come una serpe: - Vaffan.... - urlò.

- Sì, sì, - disse scuotendo il capo il Riccetto, - ma tu me sa che fai 'a fine der Lenzetta! - Proprio 'a fine der Lenzetta! - ripeté. Col Lenzetta, infatti, chi s'era visto s'era visto: ora stava facendosi un anno di segregazione cellulare, in qualche carcere fuori Roma, a Volterra o a Ischia, perché era stato condannato niente meno che a trent'anni... Un giorno, che si vede era ubbriaco o chissà cosa gli era passato per la capoccia, aveva preso a nolo un tassì, s'era fatto portare in un posto deserto dalle parti della Grotta Rossa, e lì con la rivoltella fregata al Cappellone, aveva ammazzato il tassinaro per levargli quelle cinque o sei mila lire che aveva in saccoccia...

Il Riccetto tacque per un po', guardando il cugino che camminava davanti a lui a testa bassa, poi decise d'essersi divertito abbastanza e fece:

- Annamo daje, che nun è niente! Ariconsolete, a cuggì, e vattene a casa, ch'è ora me pare... - Alduccio lo guardò, insospettito, ma pure con un malcelato filo di speranza nello sguardo: - Come sarebbe a ddì nun è niente, - chiese. - Nun è niente, nun è niente, daje, - fece il Riccetto, -apposta sto a scherzà. Tu madre nun t'ha dinunciato! Ha messo na scusa, che s'è fatta male da sola, che ne so io! - Alduccio se ne stette un po' zitto camminando ancora verso il posto del bagno, tutto pensieroso. Ma poi si rigirò, e senza dir niente al Riccetto, riprese la strada di Tiburtino, quasi correndo per raggiungere la compagnia del Bègalo, che ormai camminava solo, attaccandosi con le braccia al collo del Caciotta e del Tirillo.

- Te saluto a cuggì, - fece saggio il Riccetto, agitando una mano e pure lui senza voltarsi.

Continuò da solo, senza fretta, verso la curva sotto la fabbrica della varecchina. Cominciò una canzone e quando la finì, era lì sopra la scarpata del trampolino, dove, da una parte c'erano i tre ragazzini di Ponte Mammolo, che non si vedevano, e dall'altro Alfio Lucchetti, che come non fosse successo niente, aveva finito di farsi l'insaponata, e adesso si stava infilando i vecchi calzoni a righini.

- Ma chi è quello? - si chiese il Riccetto, fermo sull'orlo della scarpata.

- Boh! - Lo guardò ancora un pochetto, mentre quello, impenetrabile, con le scapole in fuori e il petto tutto crespoloso di peli, si stava a vestire. -Aaaaaah! - fece poi tra sè il Riccetto, ricordandosi di quando l'aveva visto ai funerali d'Amerigo, e l'aveva tanto preoccupato. - Se, se, mo me ricordo! - E tutto tranquillo cominciò a spogliarsi, senza farci più caso, dandogli solo un'ultima occhiata quando quello se ne andò, pensando: «E na vittima è».

Mentre che si sfilava i calzoni con le gambe alte per non farli strisciare sulla polvere, fischiettava tutto soddisfatto, e parlottava fra di sè, baccajando a voce bassa contro i buchi dei pedalini, o congratulandosi con se stesso per la bella maglietta che s'era fatto. - E fforte, - diceva convinto, riguardandola mentre la ripiegava.

- Mo me ne vo da quer baccalaccione der principale, - si disse poi come fu in mutandine, - me fo dà 'a grana, magno, e dopopranzo tutta vita! Stacce a Riccè!

Facendo questo allegro programma si portò con le mani ai fianchi in pizzo al trampolino, e da lì finalmente scorse giù a sinistra tra i cespugli i tre fijetti del principale. Fido corse su a fargli le feste, tutto smanioso, saltandogli quasi sul petto e rampando con le zampette davanti. Ma il Riccetto allungò appena distrattamente una mano verso di lui: era troppo contento d'aver visto i tre là sotto. Il suo buon umore era aumentato: già non gli andava mica tanto di farsi il bagno tutto solo, in quel silenzio e quella solitudine che crescevano a mano a mano che s'avvicinava il mezzogiorno. Ma la ragione dell'allegria che gli aveva rischiarato la faccia già allegra sotto i ricci tosati, era un'altra. Li guardò. Quelli pure s'erano accorti di lui, ma se ne stavano zitti. Il Riccetto continuava a guardarli. E quelli niente. Lui li guardava fisso, e quelli, voltandogli le spalle, ogni tanto gli lanciavano di sguincio un'occhiata. Poi in un momento in cui tutti e tre erano voltati verso di lui a guardarlo, il Riccetto ruppe il silenzio alzando una mano e muovendola su e giù, con le dita chiuse, come uno fa per minacciare una scarica di botte. I tre piccoletti lo guardarono con rabbia, scuotendo le spalle.

- Sì, sì, - fece il Riccetto, - fate così, voi!

- Ma che vvòi? - si lasciò scappar detto Genesio, rinchiudendosi poi subito nel silenzio come un riccio.

Il Riccetto si divertiva da matto, e invece di rispondere subito, ricominciò a guardarli fisso, continuando a fare cenno di sì col capo e stirando la bocca.

- Belle cose fate, - esclamò dopo un poco a pieni polmoni.

- Che avemo fatto? - disse per tutti Mariuccio, che, essendo il più piccolino, si sentiva meno responsabile.

- Che avete fatto? - gridò il Riccetto, sgranando gli occhi, - ammazzete che coraggio che c'hai, òuh!

- Sì, che avemo fatto, - ripetè candidamente il piccolino.

- Ma li mortacci vostra! - esclamò severo il Riccetto, investendoli con la voce grossa come per fargli una paternale, - c'avete pure er coraggio de negà?

Genesio cominciò a incuriosirsi pure lui: e grattandosi un piede con uno zeppo, raggomitolato su se stesso, chiese: - De negà che?

- Che-e? - fece il Riccetto: e malgrado la cosa quasi tragica che stava pensando gli venne su una ondata di riso, che lo fece gorgogliare come un pentolone.

- Fate le piattole arrosto, fate, - gridò, schiattando dal ridere per l'espressione che aveva inventato lì per lì, - e poi dite che avemo fatto! -Continuava a ridere per conto suo, rotolandosi perfino per terra, per la trovata delle piattole arrosto: pure se il Piattoletta non era stato arrostito proprio ma soltanto arrosolato. I tre fratelli non ci capivano un c...

- Ma che te stai a ddì? - fece con voce roca Genesio.

- Ce lo sai, a paraguletto, - gli fece rialzandosi e calmandosi un po' dal ridere il Riccetto.

- Se ne semo iti de casa, embè? - ammise senza batter ciglio Genesio. Il Riccetto lo guardò: questo non lo sapeva.

- Ah, - fece, - pure iti de casa ve ne siete! 'O vedi che ce lo sapevi, sì, che li carubba ve staveno a cercà!

Genesio restò a sua volta impressionato da quella faccenda, ma tutto ripiegato con il torace contro i ginocchi, si tenne per sé il suo stupore, cominciando rapidamente a pensarci sopra. Non così però Borgo Antico e Mariuccio; e Mariuccio cinguettò: - N'è vvero, nun ce stanno a cercà li carabbinieri!

- Dì de nno, tu, - fece il Riccetto sfottendo tutto giocondo, - ma vedrai quanno che t'acchiappeno si nun è vvero!

- E lèvate, - rifece Mariuccio.

- E perché, ce stanno a cercà li carabbinieri? - si informò facendo finta di niente Genesio.

- Perché-e? - fece severo il Riccetto, - e c'hai er coraggio de domandammelo? Che avete fatto ieri a ssera sur monte der Pecoraro? eh? dimmelo un po' !

- Che avemo fatto, - disse Genesio, stavolta, guardandolo in faccia quasi con aria di sfida.

Il Riccetto aggrottò le ciglia come se si sentisse offeso da quella ostinazione. - Chi è stato, - disse, - a brucià er Piattoletta sur pilone der monte der Pecoraro?

Genesio a quella uscita restò per un momento allocchito; ma poi alzò le spalle, come lasciando cadere la discussione, e fece piano: - E che ne so io.

- Voi, siete stati, - esclamò perfido e trionfante il Riccetto.

- Pct, - fece Genesio, rialzando le spalle e guardando da un'altra parte con gli occhi che gli ardevano sotto il ciuffetto nero.

- None, nun semo stati noi, - disse Mariuccio.

- E inutile che neghi, sa', - fece il Riccetto sempre più divertito, - ce stanno li testimoni, per piacere!

- Ma quali testimoni! - fece Genesio.

- Ma come, - ribatté il Riccetto, - v'hanno visto in sessanta, ieri a ssera! er Roscetto, lo Sgarone, Armandino, tutti li ragazzini der lotto due, ma che me stai a ddì!

- Nun semo stati noi, - rifece Mariuccio già quasi disperato.

- Mo lo vedi quanno che ve mettono in priggione, si c'avrai ancora er coraggio de negà, - gridò solenne il Riccetto. Mariuccio, indignato e soffocato dalla commozione, cominciò a far tremare la scucchietta, e già facendosi un pianto, ripeté: - Nun semo stati noi!

Vedendolo piangere il Riccetto lasciò perdere e, sempre standosene in pizzo al trampolino, si fece una cantatina, schiacciando sotto il suo buon umore i tre piccoletti là sotto.

- Piagni, piagni, - diceva ogni tanto a Mariuccio, interrompendosi per un momento di cantare. Però gli faceva pure un po' pena: gli era venuto in mente di quand'era come loro, che i grossi ai Grattacieli lo menavano, e lui se ne andava a cicche, disprezzato e ignorato da tutto il mondo, con Marcello e Agnoletto. Si ricordò per esempio di quella volta che avevano rubato i soldi al cieco, e se n'erano andati a fare il bagno dal Ciriola, che avevano preso la barca, e lui aveva salvato quella rondinella che si stava a affogare sotto Ponte Sisto...

Suonarono da lontano le sirene del mezzogiorno.

- Fàmise er bagno, va, - si disse a voce alta, - sinnò er principale, che lo possino ammazzallo, se imbriaca, e li sordi cor c... che li pijo. Ce mancherebbe, che oggi dovessi da restà senza na brecola!

Così dicendo si buttò a caposotto nel fiume, senza badare a Mariuccio che s'era già consolato e gli gridava dietro: - 'O sai che Genesio traversa fiume pure lui?

Genesio gli fece: - E statte zitto, - e anzichè farsi il bagno, si immerse a pensare un po' sulle ultime cose. Ma poi s'incuriosì a quello che faceva il Riccetto in mezzo al fiume, e se lo stette a guardare attento come Borgo Antico e Mariuccio. S'avvicinò all'orlo dell'acqua, e voltandosi appena verso i fratellini tutti assorbiti dall'esibizione del Riccetto, fece a voce bassa: - Dopo se ne tornamo a casa, è mejo sinnò mamma piagne. - Data in fretta questa disposizione, si potè mettere a guardare in pace il Riccetto, che in mezzo al fiume alzava una moina che non finiva mai. Sbatteva le braccia come spatoloni acciaccando l'acqua e alzando secchi di schiuma, andava sotto con la capoccia tirando su il sedere e le cianche come una papera, faceva il morto a galla con la pancia in fuori cantando a tutta callara. Poi, con un improvviso voltafaccia, rifece rotta verso il trampolino, ci si arrampicò sgocciolando, e, dandosi un sacco di arie davanti ai pischellini che lo guardavano con la bocca aperta, si rituffò con un voletto all'angelo.

Come risbucò fuori con la capoccia, cominciò a nuotare a gran bracciate verso l'altra riva. Genesio, zitto zitto, guadagnò rapidamente, sguazzando nella fanga, il punto del fiume sotto il trampolino dove l'acqua gli arrivava al petto, e si staccò nuotando alla svelta alla cagnolina.

- Che traversi fiume, Genè? - gli gridarono dietro Mariuccio e Borgo Antico, tutti emozionati. Ma quello non li sentiva nemmeno, non li poteva sentire, nuotando dietro al Riccetto, con la bocca tenuta ben chiusa e alta, e la testa storta da una parte, per non bere.

Passò il correntino che lo trascinò un pezzetto in giù insieme alla zozzeria per qualche metro, poi sempre con le mani che si muovevano svelte svelte sott'acqua e la testa storta, attraversò l'altra metà del fiume. Il Riccetto frattanto era già arrivato sull'altra sponda, sotto la stria bianca degli acidi della varecchina, e si era anche ributtato subito in acqua, riprendendo a nuotare, svelto com'era andato, verso di qua. C'arrivò in poche bracciate, facendo ogni tanto il morto con la pancia in su e, riprendendo a cantare, salì in cima alla scesa sopra il trampolino, e, sempre cantando, cominciò a fare ginnastica per asciugarsi. Il sole bruciava, a picco, e lì intorno, sotto la fabbrica della varecchina, c'era un caldo che pareva che la stessa aria bruciasse, mentre lontano, dalla parte tanto dei campi che della strada, coi carri armati che rombavano lontani, era sceso il silenzio accecante del mezzogiorno. In pochi minuti il Riccetto non soltanto fu asciutto, ma pure sudato.

Genesio invece se n'era rimasto solo sull'altra riva. S'era messo seduto come faceva lui sotto il torrentello della varecchina, sulla melma appastata di bianco. Lì sopra, alle sue spalle, come una frana dell'inferno, s'alzava la scarpata cespugliosa con il muraglione della fabbrica, da dove sporgevano verdi e marroni delle specie di cilindri, di serbatoi, tutto un mucchio di scatoloni di metallo, dove il sole riverberava quasi nero per la troppa luce.

Mariuccio e Borgo Antico guardavano il fratello accucciato laggiù come un beduino: - Tu non rivenghi a Genè? - gli gridò con la sua vocetta Mariuccio, che si teneva sempre stretti contro le costole i panni arrotolati di Genesio.

- Mo vengo! - fece Genesio di laggiù, senza forzare la voce, standosene fermo con la faccia tra le ginocchia. Il Riccetto si vestiva adagio adagio, accomodandosi i pedalini, e osservando con attenzione che non fossero messi a rovescio - Mo vado a avvertì li carabbinieri che state qqua, - gridò allegramente a Genesio, come fu quasi pronto, - e pure vostro padre!

Andandosene era ripreso dall'ottimismo: ma per stavolta s'accontentò di fare verso i piccoletti che lo smicciavano dal basso, sospettosi, il solito segno di minaccia col braccio. Ma mentre se ne andava però, così mezzo rivoltato all'indietro, gettò un'occhiata per caso verso i muraglioni della fabbrica, e là in alto, in una finestrella sperduta in mezzo ai grandi cilindri blindati dei serbatoi, allumò la figura della figlia del custode, che s'era messa di brutto a pulire i vetri. - Bbonaaa! - fece il Riccetto subito mezzo ingrifato. Fece qualche passo avanti, poi si pentì e ci riguardò, poi fece ancora qualche passo verso il ponte, e si pentì un'altra volta. Lei era sempre lassù, a strofinare i vetri che brillavano come liquefatti nell'aria. -Famme restà ancora un pochetto, vaffan..., - fece; si fermò e s'infilò tra due frattacce ruvide e un cespo d'ortiche, in modo che non lo scorgessero né i ragazzini che stavano laggiù sotto il fiume, né quelli che passavano per la Tiburtina. Ma poi non passava un'anima a quell'ora, con quel sole: si sentiva solo qualche macchina, e, lontani, i rombi e gli strappi dei carri armati.

Come si fu cacciato tra i cespugli, si rilevò i calzoni, facendo finta di doversi strizzare ancora un po' le mutandine; e se ne stette lì ignudo e mezzo nascosto, a guardarsi e a cercar di farsi guardare dalla mecca sulla finestrina.

- A Genè, nun rivenghi de qua-a? - continuava intanto a gridare con voce accorata Mariuccio. Genesio a quei richiami se ne stava zitto; poi tutt'a un botto si gettò in acqua, nuotò fino al correntino, ma però tornò subito indietro e si risedette ammusolito sotto la scarpata e il muraglione.

- Nun torni a Genè? - ripetè Mariuccio, deluso da com'erano andate le cose.

- Rimano de qqua ancora un pochetto, - disse di laggiù Genesio, - se sta tanto bbene de qqua!

- Daje, traversa! - insistette Mariuccio con le corde del collo che gli si gonfiavano per lo sforzo che faceva a gridare. Pure Borgo Antico si mise a chiamarlo, e Fido abbaiava saltando di qua e di là, ma col muso sempre rivolto all'altra sponda, come se chiamasse pure lui.

Genesio allora s'alzò all'impiedi, si stirò un pochetto, come non usava fare mai, e poi gridò: - Conto fino a trenta e me butto. - Stette fermo, in silenzio, a contare, poi guardò fisso l'acqua con gli occhi che gli ardevano sotto l'onda nera ancora tutta ben pettinata; infine si buttò dentro con una panciata. Arrivò nuotando alla svelta fin quasi al centro, proprio nel punto sotto la fabbrica, dove il fiume faceva la curva svoltando verso il ponte della Tiburtina. Ma lì la corrente era forte, e spingeva indietro, verso la sponda della fabbrica: nell'andata Genesio era riuscito a passare facile il correntino, ma adesso al ritorno era tutta un'altra cosa. Come nuotava lui, alla cagnolina, gli serviva a stare a galla, non a venire avanti: la corrente, tenendolo sempre nel mezzo, cominciò a spostarlo in giù verso il ponte.

- Daje, a Genè, - gli gridavano i fratellini da sotto il trampolino, che non capivano perché Genesio non venisse in avanti, - daje che se n'annamo!

Ma lui non riusciva a attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume, di segatura e d'olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume. Ci restava nel mezzo, e anziché accostarsi alla riva, veniva trascinato sempre in giù verso il ponte. Borgo Antico e Mariuccio col cane scapitollarono giù dalla gobba del trampolino, e cominciarono a correre svelti, a quattro zampe quando non potevano con due, cadendo e rialzandosi, lungo il fango nero della riva, andando dietro a Genesio che veniva portato sempre più velocemente verso il ponte. Così il Riccetto, mentre stava a fare il dritto con la ragazza che però continuava, confusa come un'ombra, a strofinare le lastre, se li vide passare tutti e tre sotto i piedi, i due piccoli che ruzzolavano gridando tra gli sterpi, spaventati, e

Genesio in mezzo al fiume, che non cessava di muovere le braccine svelto svelto nuotando a cane, senza venire avanti di un centimetro. Il Riccetto s'alzò, fece qualche passo ignudo come stava giù verso l'acqua, in mezzo ai pungiglioni e lì si fermò a guardare quello che stava succedendo sotto i suo occhi. Subito non si capacitò, credeva che scherzassero: ma poi capì e si buttò di corsa giù per la scesa, scivolando, ma nel tempo stesso vedeva che non c'era più niente da fare: gettarsi a fiume lì sotto il ponte voleva proprio dire esser stanchi della vita, nessuno avrebbe potuto farcela. Si fermò pallido come un morto. Genesio ormai non resisteva più, povero ragazzino, e sbatteva in disordine le braccia, ma sempre senza chiedere aiuto. Ogni tanto affondava sotto il pelo della corrente e poi risortiva un poco più in basso; finalmente quand'era già quasi vicino al ponte, dove la corrente si rompeva e schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l'ultima volta, senza un grido, e si vide solo ancora per un poco affiorare la sua testina nera.

Il Riccetto, con le mani che gli tremavano, s'infilò in fretta i calzoni, che teneva sotto il braccio, senza più guardare verso la finestrella della fabbrica, e stette ancora un po' lì fermo, senza sapere che fare. Si sentivano da sotto il ponte Borgo Antico e Mariuccio che urlavano e piangevano, Mariuccio sempre stringendosi contro il petto la canottiera e i calzoncini di Genesio; e già cominciavano a salire aiutandosi con le mani su per la scarpata.

- Tajamo, è mejo, - disse tra sé il Riccetto che quasi piangeva anche lui, incamminandosi in fretta lungo il sentiero, verso la Tiburtina; andava anzi quasi di corsa, per arrivare sul ponte prima dei due ragazzini. «Io je vojo bbene ar Genesio, sa!» pensava. S'arrampicò scivolando, e aggrappandosi ai monconi dei cespugli su per lo scoscendimento coperto di polvere e di sterpi bruciati, fu in cima, e senza guardarsi indietro, imboccò il ponte. Poté tagliare inosservato, perché, sia nella campagna che si stendeva intorno abbandonata, verso i mucchi di casette bianche di Pietralata e Monte Sacro, sia per la Tiburtina, in quel momento, non c'era nessuno; non passava neppure una macchina o uno dei vecchi autobus della zona; in quel gran silenzio si sentiva solo qualche carro armato, sperduto dietro i campi sportivi di Ponte Mammolo, che arava col suo rombo l'orizzonte.

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VIII. LA COMARE SECCA (3) VIII. DER TROCKENE GENOSSE (3) VIII. THE DRY COMARE (3) VIII. EL COMARE SECO (3) VIII. O CAMARADA SECO (3)

Il Begalone, ch'era stato messo a terra dal Caciotta e dal Tirillo che si riposavano, come un cristo deposto dalla croce, proprio in quel momento cominciò a muoversi, e piano piano, preso subito sotto le ascelle dai compagni, si rialzò in piedi. Il Riccetto lo guardava con una smorfia pessimista: ma come scorse Alduccio, mandò affan... il Bègalo, e gli si rivolse ghignando: - A cuggì, - fece, - mbè? L'hai fatto piccolo er mazzo stanotte! - Alduccio s'arrabbiò, preso da uno scatto di nervi: - A cretino, -fece al Riccetto, - che te credi che ho voja de scherzà io? Ma va a lavà da n'antra parte, va! - Con una faccia sfigurata dalla rabbia, ma che si vedeva benissimo che aveva un nodo alla gola e che quasi stava per sbottare a piangere, si rivoltò, e fece per rincamminarsi verso il trampolino. - Ce vai in puzza a cuggì? fece il Riccetto seguendolo con passo molle, e tutto scherzoso e ironico. Alduccio si voltò come una serpe: - Vaffan.... - urlò.

- Sì, sì, - disse scuotendo il capo il Riccetto, - ma tu me sa che fai 'a fine der Lenzetta! - Proprio 'a fine der Lenzetta! - ripeté. Col Lenzetta, infatti, chi s'era visto s'era visto: ora stava facendosi un anno di segregazione cellulare, in qualche carcere fuori Roma, a Volterra o a Ischia, perché era stato condannato niente meno che a trent'anni... Un giorno, che si vede era ubbriaco o chissà cosa gli era passato per la capoccia, aveva preso a nolo un tassì, s'era fatto portare in un posto deserto dalle parti della Grotta Rossa, e lì con la rivoltella fregata al Cappellone, aveva ammazzato il tassinaro per levargli quelle cinque o sei mila lire che aveva in saccoccia...

Il Riccetto tacque per un po', guardando il cugino che camminava davanti a lui a testa bassa, poi decise d'essersi divertito abbastanza e fece:

- Annamo daje, che nun è niente! Ariconsolete, a cuggì, e vattene a casa, ch'è ora me pare... - Alduccio lo guardò, insospettito, ma pure con un malcelato filo di speranza nello sguardo: - Come sarebbe a ddì nun è niente, - chiese. - Nun è niente, nun è niente, daje, - fece il Riccetto, -apposta sto a scherzà. Tu madre nun t'ha dinunciato! Ha messo na scusa, che s'è fatta male da sola, che ne so io! - Alduccio se ne stette un po' zitto camminando ancora verso il posto del bagno, tutto pensieroso. Ma poi si rigirò, e senza dir niente al Riccetto, riprese la strada di Tiburtino, quasi correndo per raggiungere la compagnia del Bègalo, che ormai camminava solo, attaccandosi con le braccia al collo del Caciotta e del Tirillo.

- Te saluto a cuggì, - fece saggio il Riccetto, agitando una mano e pure lui senza voltarsi.

Continuò da solo, senza fretta, verso la curva sotto la fabbrica della varecchina. Cominciò una canzone e quando la finì, era lì sopra la scarpata del trampolino, dove, da una parte c'erano i tre ragazzini di Ponte Mammolo, che non si vedevano, e dall'altro Alfio Lucchetti, che come non fosse successo niente, aveva finito di farsi l'insaponata, e adesso si stava infilando i vecchi calzoni a righini.

- Ma chi è quello? - si chiese il Riccetto, fermo sull'orlo della scarpata.

- Boh! - Lo guardò ancora un pochetto, mentre quello, impenetrabile, con le scapole in fuori e il petto tutto crespoloso di peli, si stava a vestire. -Aaaaaah! - fece poi tra sè il Riccetto, ricordandosi di quando l'aveva visto ai funerali d'Amerigo, e l'aveva tanto preoccupato. - Se, se, mo me ricordo! - E tutto tranquillo cominciò a spogliarsi, senza farci più caso, dandogli solo un'ultima occhiata quando quello se ne andò, pensando: «E na vittima è».

Mentre che si sfilava i calzoni con le gambe alte per non farli strisciare sulla polvere, fischiettava tutto soddisfatto, e parlottava fra di sè, baccajando a voce bassa contro i buchi dei pedalini, o congratulandosi con se stesso per la bella maglietta che s'era fatto. - E fforte, - diceva convinto, riguardandola mentre la ripiegava.

- Mo me ne vo da quer baccalaccione der principale, - si disse poi come fu in mutandine, - me fo dà 'a grana, magno, e dopopranzo tutta vita! Stacce a Riccè!

Facendo questo allegro programma si portò con le mani ai fianchi in pizzo al trampolino, e da lì finalmente scorse giù a sinistra tra i cespugli i tre fijetti del principale. Fido corse su a fargli le feste, tutto smanioso, saltandogli quasi sul petto e rampando con le zampette davanti. Ma il Riccetto allungò appena distrattamente una mano verso di lui: era troppo contento d'aver visto i tre là sotto. Il suo buon umore era aumentato: già non gli andava mica tanto di farsi il bagno tutto solo, in quel silenzio e quella solitudine che crescevano a mano a mano che s'avvicinava il mezzogiorno. Ma la ragione dell'allegria che gli aveva rischiarato la faccia già allegra sotto i ricci tosati, era un'altra. Li guardò. Quelli pure s'erano accorti di lui, ma se ne stavano zitti. Il Riccetto continuava a guardarli. E quelli niente. Lui li guardava fisso, e quelli, voltandogli le spalle, ogni tanto gli lanciavano di sguincio un'occhiata. Poi in un momento in cui tutti e tre erano voltati verso di lui a guardarlo, il Riccetto ruppe il silenzio alzando una mano e muovendola su e giù, con le dita chiuse, come uno fa per minacciare una scarica di botte. I tre piccoletti lo guardarono con rabbia, scuotendo le spalle.

- Sì, sì, - fece il Riccetto, - fate così, voi!

- Ma che vvòi? - si lasciò scappar detto Genesio, rinchiudendosi poi subito nel silenzio come un riccio.

Il Riccetto si divertiva da matto, e invece di rispondere subito, ricominciò a guardarli fisso, continuando a fare cenno di sì col capo e stirando la bocca.

- Belle cose fate, - esclamò dopo un poco a pieni polmoni.

- Che avemo fatto? - disse per tutti Mariuccio, che, essendo il più piccolino, si sentiva meno responsabile.

- Che avete fatto? - gridò il Riccetto, sgranando gli occhi, - ammazzete che coraggio che c'hai, òuh!

- Sì, che avemo fatto, - ripetè candidamente il piccolino.

- Ma li mortacci vostra! - esclamò severo il Riccetto, investendoli con la voce grossa come per fargli una paternale, - c'avete pure er coraggio de negà?

Genesio cominciò a incuriosirsi pure lui: e grattandosi un piede con uno zeppo, raggomitolato su se stesso, chiese: - De negà che?

- Che-e? - fece il Riccetto: e malgrado la cosa quasi tragica che stava pensando gli venne su una ondata di riso, che lo fece gorgogliare come un pentolone.

- Fate le piattole arrosto, fate, - gridò, schiattando dal ridere per l'espressione che aveva inventato lì per lì, - e poi dite che avemo fatto! -Continuava a ridere per conto suo, rotolandosi perfino per terra, per la trovata delle piattole arrosto: pure se il Piattoletta non era stato arrostito proprio ma soltanto arrosolato. I tre fratelli non ci capivano un c...

- Ma che te stai a ddì? - fece con voce roca Genesio.

- Ce lo sai, a paraguletto, - gli fece rialzandosi e calmandosi un po' dal ridere il Riccetto.

- Se ne semo iti de casa, embè? - ammise senza batter ciglio Genesio. Il Riccetto lo guardò: questo non lo sapeva.

- Ah, - fece, - pure iti de casa ve ne siete! 'O vedi che ce lo sapevi, sì, che li carubba ve staveno a cercà!

Genesio restò a sua volta impressionato da quella faccenda, ma tutto ripiegato con il torace contro i ginocchi, si tenne per sé il suo stupore, cominciando rapidamente a pensarci sopra. Non così però Borgo Antico e Mariuccio; e Mariuccio cinguettò: - N'è vvero, nun ce stanno a cercà li carabbinieri!

- Dì de nno, tu, - fece il Riccetto sfottendo tutto giocondo, - ma vedrai quanno che t'acchiappeno si nun è vvero!

- E lèvate, - rifece Mariuccio.

- E perché, ce stanno a cercà li carabbinieri? - si informò facendo finta di niente Genesio.

- Perché-e? - fece severo il Riccetto, - e c'hai er coraggio de domandammelo? Che avete fatto ieri a ssera sur monte der Pecoraro? eh? dimmelo un po' !

- Che avemo fatto, - disse Genesio, stavolta, guardandolo in faccia quasi con aria di sfida.

Il Riccetto aggrottò le ciglia come se si sentisse offeso da quella ostinazione. - Chi è stato, - disse, - a brucià er Piattoletta sur pilone der monte der Pecoraro?

Genesio a quella uscita restò per un momento allocchito; ma poi alzò le spalle, come lasciando cadere la discussione, e fece piano: - E che ne so io.

- Voi, siete stati, - esclamò perfido e trionfante il Riccetto.

- Pct, - fece Genesio, rialzando le spalle e guardando da un'altra parte con gli occhi che gli ardevano sotto il ciuffetto nero.

- None, nun semo stati noi, - disse Mariuccio.

- E inutile che neghi, sa', - fece il Riccetto sempre più divertito, - ce stanno li testimoni, per piacere!

- Ma quali testimoni! - fece Genesio.

- Ma come, - ribatté il Riccetto, - v'hanno visto in sessanta, ieri a ssera! er Roscetto, lo Sgarone, Armandino, tutti li ragazzini der lotto due, ma che me stai a ddì!

- Nun semo stati noi, - rifece Mariuccio già quasi disperato.

- Mo lo vedi quanno che ve mettono in priggione, si c'avrai ancora er coraggio de negà, - gridò solenne il Riccetto. Mariuccio, indignato e soffocato dalla commozione, cominciò a far tremare la scucchietta, e già facendosi un pianto, ripeté: - Nun semo stati noi!

Vedendolo piangere il Riccetto lasciò perdere e, sempre standosene in pizzo al trampolino, si fece una cantatina, schiacciando sotto il suo buon umore i tre piccoletti là sotto.

- Piagni, piagni, - diceva ogni tanto a Mariuccio, interrompendosi per un momento di cantare. Però gli faceva pure un po' pena: gli era venuto in mente di quand'era come loro, che i grossi ai Grattacieli lo menavano, e lui se ne andava a cicche, disprezzato e ignorato da tutto il mondo, con Marcello e Agnoletto. Si ricordò per esempio di quella volta che avevano rubato i soldi al cieco, e se n'erano andati a fare il bagno dal Ciriola, che avevano preso la barca, e lui aveva salvato quella rondinella che si stava a affogare sotto Ponte Sisto...

Suonarono da lontano le sirene del mezzogiorno.

- Fàmise er bagno, va, - si disse a voce alta, - sinnò er principale, che lo possino ammazzallo, se imbriaca, e li sordi cor c... che li pijo. Ce mancherebbe, che oggi dovessi da restà senza na brecola!

Così dicendo si buttò a caposotto nel fiume, senza badare a Mariuccio che s'era già consolato e gli gridava dietro: - 'O sai che Genesio traversa fiume pure lui?

Genesio gli fece: - E statte zitto, - e anzichè farsi il bagno, si immerse a pensare un po' sulle ultime cose. Ma poi s'incuriosì a quello che faceva il Riccetto in mezzo al fiume, e se lo stette a guardare attento come Borgo Antico e Mariuccio. S'avvicinò all'orlo dell'acqua, e voltandosi appena verso i fratellini tutti assorbiti dall'esibizione del Riccetto, fece a voce bassa: - Dopo se ne tornamo a casa, è mejo sinnò mamma piagne. - Data in fretta questa disposizione, si potè mettere a guardare in pace il Riccetto, che in mezzo al fiume alzava una moina che non finiva mai. Sbatteva le braccia come spatoloni acciaccando l'acqua e alzando secchi di schiuma, andava sotto con la capoccia tirando su il sedere e le cianche come una papera, faceva il morto a galla con la pancia in fuori cantando a tutta callara. Poi, con un improvviso voltafaccia, rifece rotta verso il trampolino, ci si arrampicò sgocciolando, e, dandosi un sacco di arie davanti ai pischellini che lo guardavano con la bocca aperta, si rituffò con un voletto all'angelo.

Come risbucò fuori con la capoccia, cominciò a nuotare a gran bracciate verso l'altra riva. Genesio, zitto zitto, guadagnò rapidamente, sguazzando nella fanga, il punto del fiume sotto il trampolino dove l'acqua gli arrivava al petto, e si staccò nuotando alla svelta alla cagnolina.

- Che traversi fiume, Genè? - gli gridarono dietro Mariuccio e Borgo Antico, tutti emozionati. Ma quello non li sentiva nemmeno, non li poteva sentire, nuotando dietro al Riccetto, con la bocca tenuta ben chiusa e alta, e la testa storta da una parte, per non bere.

Passò il correntino che lo trascinò un pezzetto in giù insieme alla zozzeria per qualche metro, poi sempre con le mani che si muovevano svelte svelte sott'acqua e la testa storta, attraversò l'altra metà del fiume. Il Riccetto frattanto era già arrivato sull'altra sponda, sotto la stria bianca degli acidi della varecchina, e si era anche ributtato subito in acqua, riprendendo a nuotare, svelto com'era andato, verso di qua. C'arrivò in poche bracciate, facendo ogni tanto il morto con la pancia in su e, riprendendo a cantare, salì in cima alla scesa sopra il trampolino, e, sempre cantando, cominciò a fare ginnastica per asciugarsi. Il sole bruciava, a picco, e lì intorno, sotto la fabbrica della varecchina, c'era un caldo che pareva che la stessa aria bruciasse, mentre lontano, dalla parte tanto dei campi che della strada, coi carri armati che rombavano lontani, era sceso il silenzio accecante del mezzogiorno. In pochi minuti il Riccetto non soltanto fu asciutto, ma pure sudato.

Genesio invece se n'era rimasto solo sull'altra riva. S'era messo seduto come faceva lui sotto il torrentello della varecchina, sulla melma appastata di bianco. Lì sopra, alle sue spalle, come una frana dell'inferno, s'alzava la scarpata cespugliosa con il muraglione della fabbrica, da dove sporgevano verdi e marroni delle specie di cilindri, di serbatoi, tutto un mucchio di scatoloni di metallo, dove il sole riverberava quasi nero per la troppa luce.

Mariuccio e Borgo Antico guardavano il fratello accucciato laggiù come un beduino: - Tu non rivenghi a Genè? - gli gridò con la sua vocetta Mariuccio, che si teneva sempre stretti contro le costole i panni arrotolati di Genesio.

- Mo vengo! - fece Genesio di laggiù, senza forzare la voce, standosene fermo con la faccia tra le ginocchia. Il Riccetto si vestiva adagio adagio, accomodandosi i pedalini, e osservando con attenzione che non fossero messi a rovescio - Mo vado a avvertì li carabbinieri che state qqua, - gridò allegramente a Genesio, come fu quasi pronto, - e pure vostro padre!

Andandosene era ripreso dall'ottimismo: ma per stavolta s'accontentò di fare verso i piccoletti che lo smicciavano dal basso, sospettosi, il solito segno di minaccia col braccio. Ma mentre se ne andava però, così mezzo rivoltato all'indietro, gettò un'occhiata per caso verso i muraglioni della fabbrica, e là in alto, in una finestrella sperduta in mezzo ai grandi cilindri blindati dei serbatoi, allumò la figura della figlia del custode, che s'era messa di brutto a pulire i vetri. - Bbonaaa! - fece il Riccetto subito mezzo ingrifato. Fece qualche passo avanti, poi si pentì e ci riguardò, poi fece ancora qualche passo verso il ponte, e si pentì un'altra volta. Lei era sempre lassù, a strofinare i vetri che brillavano come liquefatti nell'aria. -Famme restà ancora un pochetto, vaffan..., - fece; si fermò e s'infilò tra due frattacce ruvide e un cespo d'ortiche, in modo che non lo scorgessero né i ragazzini che stavano laggiù sotto il fiume, né quelli che passavano per la Tiburtina. Ma poi non passava un'anima a quell'ora, con quel sole: si sentiva solo qualche macchina, e, lontani, i rombi e gli strappi dei carri armati.

Come si fu cacciato tra i cespugli, si rilevò i calzoni, facendo finta di doversi strizzare ancora un po' le mutandine; e se ne stette lì ignudo e mezzo nascosto, a guardarsi e a cercar di farsi guardare dalla mecca sulla finestrina.

- A Genè, nun rivenghi de qua-a? - continuava intanto a gridare con voce accorata Mariuccio. Genesio a quei richiami se ne stava zitto; poi tutt'a un botto si gettò in acqua, nuotò fino al correntino, ma però tornò subito indietro e si risedette ammusolito sotto la scarpata e il muraglione.

- Nun torni a Genè? - ripetè Mariuccio, deluso da com'erano andate le cose.

- Rimano de qqua ancora un pochetto, - disse di laggiù Genesio, - se sta tanto bbene de qqua!

- Daje, traversa! - insistette Mariuccio con le corde del collo che gli si gonfiavano per lo sforzo che faceva a gridare. Pure Borgo Antico si mise a chiamarlo, e Fido abbaiava saltando di qua e di là, ma col muso sempre rivolto all'altra sponda, come se chiamasse pure lui.

Genesio allora s'alzò all'impiedi, si stirò un pochetto, come non usava fare mai, e poi gridò: - Conto fino a trenta e me butto. - Stette fermo, in silenzio, a contare, poi guardò fisso l'acqua con gli occhi che gli ardevano sotto l'onda nera ancora tutta ben pettinata; infine si buttò dentro con una panciata. Arrivò nuotando alla svelta fin quasi al centro, proprio nel punto sotto la fabbrica, dove il fiume faceva la curva svoltando verso il ponte della Tiburtina. Ma lì la corrente era forte, e spingeva indietro, verso la sponda della fabbrica: nell'andata Genesio era riuscito a passare facile il correntino, ma adesso al ritorno era tutta un'altra cosa. Come nuotava lui, alla cagnolina, gli serviva a stare a galla, non a venire avanti: la corrente, tenendolo sempre nel mezzo, cominciò a spostarlo in giù verso il ponte.

- Daje, a Genè, - gli gridavano i fratellini da sotto il trampolino, che non capivano perché Genesio non venisse in avanti, - daje che se n'annamo!

Ma lui non riusciva a attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume, di segatura e d'olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume. Ci restava nel mezzo, e anziché accostarsi alla riva, veniva trascinato sempre in giù verso il ponte. Borgo Antico e Mariuccio col cane scapitollarono giù dalla gobba del trampolino, e cominciarono a correre svelti, a quattro zampe quando non potevano con due, cadendo e rialzandosi, lungo il fango nero della riva, andando dietro a Genesio che veniva portato sempre più velocemente verso il ponte. Così il Riccetto, mentre stava a fare il dritto con la ragazza che però continuava, confusa come un'ombra, a strofinare le lastre, se li vide passare tutti e tre sotto i piedi, i due piccoli che ruzzolavano gridando tra gli sterpi, spaventati, e

Genesio in mezzo al fiume, che non cessava di muovere le braccine svelto svelto nuotando a cane, senza venire avanti di un centimetro. Il Riccetto s'alzò, fece qualche passo ignudo come stava giù verso l'acqua, in mezzo ai pungiglioni e lì si fermò a guardare quello che stava succedendo sotto i suo occhi. Subito non si capacitò, credeva che scherzassero: ma poi capì e si buttò di corsa giù per la scesa, scivolando, ma nel tempo stesso vedeva che non c'era più niente da fare: gettarsi a fiume lì sotto il ponte voleva proprio dire esser stanchi della vita, nessuno avrebbe potuto farcela. Si fermò pallido come un morto. Genesio ormai non resisteva più, povero ragazzino, e sbatteva in disordine le braccia, ma sempre senza chiedere aiuto. Ogni tanto affondava sotto il pelo della corrente e poi risortiva un poco più in basso; finalmente quand'era già quasi vicino al ponte, dove la corrente si rompeva e schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l'ultima volta, senza un grido, e si vide solo ancora per un poco affiorare la sua testina nera.

Il Riccetto, con le mani che gli tremavano, s'infilò in fretta i calzoni, che teneva sotto il braccio, senza più guardare verso la finestrella della fabbrica, e stette ancora un po' lì fermo, senza sapere che fare. Si sentivano da sotto il ponte Borgo Antico e Mariuccio che urlavano e piangevano, Mariuccio sempre stringendosi contro il petto la canottiera e i calzoncini di Genesio; e già cominciavano a salire aiutandosi con le mani su per la scarpata.

- Tajamo, è mejo, - disse tra sé il Riccetto che quasi piangeva anche lui, incamminandosi in fretta lungo il sentiero, verso la Tiburtina; andava anzi quasi di corsa, per arrivare sul ponte prima dei due ragazzini. «Io je vojo bbene ar Genesio, sa!» pensava. S'arrampicò scivolando, e aggrappandosi ai monconi dei cespugli su per lo scoscendimento coperto di polvere e di sterpi bruciati, fu in cima, e senza guardarsi indietro, imboccò il ponte. Poté tagliare inosservato, perché, sia nella campagna che si stendeva intorno abbandonata, verso i mucchi di casette bianche di Pietralata e Monte Sacro, sia per la Tiburtina, in quel momento, non c'era nessuno; non passava neppure una macchina o uno dei vecchi autobus della zona; in quel gran silenzio si sentiva solo qualche carro armato, sperduto dietro i campi sportivi di Ponte Mammolo, che arava col suo rombo l'orizzonte. |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||perdido|||||||||arava||||