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Pasolini - Ragazzi di Vita, V. LE NOTTI CALDE (2)

V. LE NOTTI CALDE (2)

Il Riccetto e Alduccio se ne venivano piano piano, perché se l'erano fatta a fette da Pietralata, e strascinavano i piedi come se non fossero i loro, con le schiene dritte sulle gambe rammollite come stracci, mettendo in mostra però con aria fanfarona la loro fiacca di paraguli. Si dovevano esser fatti almeno almeno quattro chilometri, venendo da via Boccaleone, per la Prenestina, all'Acqua Bullicante, da una prateria piena di m..., a un villaggetto di catapecchie, da un palazzone grande come un monte a una fabbrichetta arruzzonita. E ancora non era finita, il più importante veniva adesso, che si dovevano fare tutta la Casilina. Il Lenzetta, fresco come un fiore, dopo aver baccajato per bene contro i due pellegrini ed essersi preso per questo del disgrazziato e dello stronzo, camminava avanti a passo spedito, con gli altri due che gli zoppicavano dietro, incazzati per la stanchezza e il male ai piedi.

Il posto lì a via dell'Amba Aradam, il Lenzetta c'aveva inzeccato, era proprio gajardo. Un po' fuori mano, proprio sul punto dove la strada incrociava col viale di San Giovanni, lungo le mura verdi e marrone, tra giardini zeppi di piante spelacchiate e delle vecchie villette signorili un po' malandate. Sopra una scarpata c'era tutta una fila di costruzioni basse, coperte di bandoni arrugginiti e luccicanti agli ultimi bagliori del sole. Proprio in fondo, lì all'angolo, c'era l'officina più piccola, ma con un gran cortile recintato tutto pieno di ferro. C'era un gran silenzio, ma da dentro le baracche, o tra i mucchi di rottami dei depositi, si sentiva qualche fischio tranquillo di operai, o qualche voce che chiamava o che rispondeva. I tre malviventi ci passarono davanti all'indiana, uno canticchiando e uno fischiettando: solo come furono un po' più giù, sotto i ruderi, fecero qualche osservazione aprendo appena la bocca: - Ammazza, - fece il Riccetto, - che saracche de semiassi! - Che te dicevo io? - fece trionfante il Lenzetta. - Sì, ma mo è ancora ggiorno, - disse il Riccetto per non dargli troppa soddisfazione. - E ppoi, qua, senza un triciclo nun se fa un c... -See! un triciclo! e addò 'o rimedi, un triciclo a scemo, - bofonchiò il Lenzetta torcendo la bocca. - Annamo ggiù a 'a Maranella e 'o domannamo a Remo er stracciarolo, - fece Alduccio, pigliando subito d'aceto per la cattiva accoglienza che aveva avuto la sua idea. Il Lenzetta lo guardò fisso, corrugando la fronte con aria di commiserazione, poi fece schioccare la lingua e nemmeno lo degnò d'una risposta. - A ciocco! - fece dopo un po' di scatto, - che ce vòi fà annà tutt'e ttre ar Forlanini? Fassela n'antra vorta appiedi, da qqua a 'a Maranella... e ritorno! che te dà de vorta er cervelletto? - Ma chi te dice de fassela n'antra vorta a ppiedi, ma chi te 'a sta a ffà sta propozta! - disse rosso e disgustato Alduccio. - An vedi questo! - Embè? - fece interrogativo e già un po' più interessato l'altro. Il Riccetto stava a ascoltare la discussione chiotto chiotto. - Rimediamo un po' de grana, no? - gridò Alduccio. - See! - fece il Lenzetta deluso. -Namo! - fece Alduccio. E senza manco voltarsi si incamminò verso San Giovanni. - Ma addò va 'sto 'ncefalitico, - fece il Lenzetta trottandogli dietro col Riccetto, - ma che s'è ammattito? - Nun s'è ammattito, nun s'è ammattito, - fece il Riccetto.

Non ci voleva molto a svagare qual'era l'intenzione d'Alduccio. Ma come furono sul piazzale di Porta San Giovanni, trovarono che non c'era un'anima. Sì, lì sulle panchine lungo il muretto che dà sullo strapiombo delle mura, c'era qualcuno, ma non quelli che i tre compari andavano cercando. Ci stava una donna grassa con la ciccia che schizzava sotto il vestito di seta crema, con le labbra ancora sporche dello zucchero dei maritozzi, con una faccia da pesce lesso, e accanto a lei un cosetto brutto, forse il marito, con una faccia da pesce fritto, povero cristo, che smaltiva la tropea. E qua e là qualche ragazzino e qualche serva. Ormai, dietro il muretto che come una terrazza dava sul quartiere tuscolano, oltre a dei campi di tennis e a delle distese di terra battuta, scendeva ormai la sera, calda e rossa, facendo brillare le finestre sulle cataste di palazzi celestini, che parevano un panorama di Marte: mentre al di qua del muretto, dove Alduccio e gli altri s'erano andati a sbragare, si stendevano altrettanto malinconici i giardinetti di San Giovanni, pieni di aiuolette e di alberelli, sfiorati dall'ultima luce che andava a sbattere sulle logge e le statuone della cattedrale e a listare d'oro il granito rosso dell'obelisco.

Scoraggiati, e mettendo in mostra ghignando il loro scoraggiamento, i tre malfattori se ne stavano addosso al muro: il Lenzetta disteso sopra, a panza in aria, con le mani sotto la nuca impolverata, a cantare; il Riccetto seduto sull'orlo con le gambe penzoloni; soltanto Alduccio stava in piedi, appoggiando l'anca e un gomito al muro, e tenendo nervosamente le gambe incrociate. Era l'unico che non facesse l'annoiato, e stesse ad aspettare con qualche speranza gli avvenimenti. Se ne stava lì, con una mano sprofondata in saccoccia, che pareva il figlio dello sceriffo, con le grosse labbra ombreggiate dalla peluria nera, e gli occhi lucidi e cupi come due cozze stillanti di limone.

E la sua fede ebbe una ricompensa. Quando il Lenzetta e il Riccetto, che con improvvisa decisione se n'erano andati a farsi una bevuta alla fontanella, piano piano, e perdendo tempo, ritornarono lì al muretto, videro Alduccio già pronto ad andarsene, tutto felice. - Namo, daje, - fece: affondò una mano in saccoccia e mostrò tre piotte tutte ciancicate. - E passato uno, - spiegò, - e me l'ha date senza niente, pe' simpatia, boh.

- Pe' tastà un momento, - aggiunse tutto allegro. Gli altri non stettero a cercare tante spiegazioni: erano cose che succedevano. Non perdettero tempo, e gridando e parlando forte per farsi sentire, andarono alla fermata del tranvetto, lì giù, presso la porta di San Giovanni, e dopo una mezzoretta rierano alla Maranella.

Remo lo stracciarolo fu un macello. Il triciclo già l'aveva portato a casa, dentro un cortile pieno di gente come un formicaio, al Pigneto, e lui se n'era andato all'osteria. Stava a un tavolino tarlato, rosso come un'aragosta sotto due dita di barba bianca e nera, e gonfio come se invece di sangue, sotto la pelle, avesse del gas. Chiacchierava con un vecchietto secco come uno stoccafisso, che aveva ancora la calata burina dopo cent'anni che abitava a Roma: e, tra loro due, un altro di cui non si vedeva la faccia perché s'era addormito sopra il tavolo e s'era ridotto a un mucchietto di stracci. Il Lenzetta apparve sulla porta, e diede un'occhiata professionale dentro l'ambiente: smicciò subito Remo, e confidenzialmente: - A Remo, -fece paragulo, - permetti na parola? - Remo interruppe la discussione intellettuale che aveva col neno. - Scusateme a sor maè, - fece, - fateme sentì che vole sto stronzetto -. L'altro fece la faccia di chi resta di botto solo, e inghiottì muovendo il gargarozzo una sorsatella di vino. Fuori dalla porta, sul marciapiedino sgretolato lungo il binario del tranve, c'erano gli altri due. - Te presento zti amichi mia, - fece il Lenzetta sempre più astuto e con la faccia rossiccia. - Piacere, - fecero i tre stringendosi la mano. - A Re', - fece ipocrita il Lenzetta, entrando subito in argomento, - tu ce doveressi da fà un piacere. - Come no, - fece l'altro, tra ironico e cortese.

- Ce doveressi da imprestà er triciclo, si è possibile, eh! - Remo non disse né sì né no: aveva subito svagato tutto, e ancora più svelto aveva fatto i suoi calcoli: il compenso per il triciclo, prestato per favore, doveva essere che la roba la venissero a vendere a lui, e ci avrebbe pensato lui a mettere il prezzo. Con un sorriso cameratesco tirò fuori una cartina e leccando e sputando cominciò a farsi una sigaretta: piano piano, attento a non farsi urtare, perché alla Maranella lì all'incrocio dell'Acqua Bullicante e la Casilina c'era più via vai di macchine e di gente che in via Veneto...

Saranno state le undici, undici e mezzo, quando il Riccetto e gli altri, pedalando a turno il triciclo, con uno disteso dentro a pancia in alto e le gambe penzoloni sulle sponde, e un altro dietro al trotto con una mano attaccata al sellino, dopo essersi rifatti tutta la Casilina, ci arrivarono morti di stanchezza.

A un pelo dalle mura e dai villini tutti traforati come tombe di famiglia o pagode di stazioni balneari - che i ricchi s'erano costruiti al tempo di Mussolini, quando il Riccetto non ne sapeva niente, come del resto non ne sapeva niente manco addesso ch'era al mondo - s'affacciava a far luce una luna grossa come un bidone. Alduccio restò fuori col triciclo sotto la scarpata: il Riccetto e il Lenzetta entrarono ventreterra nel cortile per un buco che c'era nella rete vicino all'officina, tra tre o quattro zeppi e un po' di porcacchia tutta spiaccicata e secca. Appena che strisciando sotto l'apertura e rizzandosi poi sul busto come baccarozzi schiacciati, dall'altra parte, furono dentro e si guardarono intorno, il Lenzetta non poté stare senza fare un po' di retorica: - Qua semo ner paradiso der ferro! - fece. Soddisfazione e paura erano dipinte sulle facce dei due gangster benché questi non volessero esprimere altro che una giusta preoccupazione professionale, specie il Lenzetta, che si sentiva il capo dell'impresa. -Daje, - fece, senza più perder tempo, con un soffio di voce. E siccome l'altro restava un po' indeciso, con le orecchie dritte come un cane, per vedere se si sentiva qualche rumore balordo, s'incazzò: - A francobollo, -fece, - e daje -. S'accostò al mucchio che gli pareva più nutrito, l'ispezionò, prese in mano qualcosa, lo gettò dopo averlo esaminato alla luce della luna, si mise a girare tra gli altri mucchi come un fantasma. Il Riccetto gli andò dietro guardando anche lui, senza far rumore. Lasciati da parte i mucchi di copertoni, di ruote e altre cose che non gli interessavano, trovarono in mezzo al cortile il reparto buono. E cominciarono il trasporto: prima, un pezzo alla volta, ammucchiarono tutto presso il buco, poi il Riccetto, attraverso il buco uscì, e il Lenzetta, rimasto dentro, gli passò la roba. Quando fu tutto fuori, uscì anche il Lenzetta, e insieme, a tutta callara, corsero su e giù dalla scarpata al triciclo, dal triciclo alla scarpata, con le corde del collo tese e le schiene rigide per lo sforzo, rossi come peperoncini. Alduccio non gli pareva vero a veder venire avanti quelle saracche di batterie di macchine, di corone di bronzo, di tubi di ferro, di semiassi, e, alla fine, pure una cinquantina di chili di piombo: aiutava a caricare, mettendo a posto i pezzi nel fondo del triciclo mentre gli altri andavano e venivano. - Ce n'entra ancora de robba, - disse al ritorno dell'ultimo viaggio. - Mèttece questo!... - fece, pieno di arie il Lenzetta; ma non aveva neppure finito di dire queste parole, che i suoi occhi si puntarono con un'espressione densa verso via dell'Amba Aradam. Gli altri s'azzittirono, facendo un po' di moina intorno al triciclo. Chi veniva avanti, era un tipo con un'americana bianca. Quando fu presso si distinse ch'era un giovinottello grassoccio con una faccia liscia come un dindarolo e gli occhi fessi; il Lenzetta, vedendo ch'era un figlio di papà d'uno studente, riprese quota e puntandogli addosso gli occhi che per la fifa gli erano andati in acqua, gli fece: - Che c'hai te da guardà? - Niente, - fece l'altro, andandosene via dritto dritto, come se le loro battute fossero state un puro e semplice scambio di cortesie, il più naturale del mondo, a quell'ora e in quella situazione.

Ma il Lenzetta, rivolto a quelle due spalle che se ne andavano in là piccole e tonde insistette: - Aòh, a cicciò, si nun guardi niente, taja, che sinnò te faccio guardà 'e stelle.

E quello zitto. Quando però se ne fu abbastanza lontano si voltò di sguincio e strillò: - Sti ladri!

- Mo quello fa 'a spia a quarcheduno, - fece perdendo di botto tutta la sicurezza Alduccio, con voce spaventata. - Cammina, a Ardù, e aspettace davanti all'ospedale, - fece anche lui del tutto smontato il Lenzetta, e prese la corsa verso il ciccione, mentre Alduccio pedalava dall'altra parte, e il Riccetto non sapeva a chi andar dietro. Il ciccione che non si immaginava di sicuro che il Lenzetta gli correva dietro per fargli le sue scuse e per raccomandarsi, si mise a scappare come uno scellerato lungo le mura di Porta Metronia. Allora il Lenzetta voltò un'altra volta, riprese il Riccetto che l'aspettava, e poi, insieme s'accodarono a Alduccio che ci dava sotto tutto sudato e bianco in faccia per lo sforzo. Si diedero il cambio un poco ciascuno e pedalando e correndo arrivarono all'Appia Nuova. - Ahioddio, - fece il Lenzetta buttandosi alla supina in mezzo alla strada proprio su una rotaia del tram.

Se ne stette lì con le gambe larghe e le mani sul petto, come un cadavere.

- Si fo ancora cinque metri te saluto, - gridò.

Gli altri due lasciarono ridendo il triciclo e fecero come lui, rotolandosi sui sampietrini dell'Appia sotto gli alberelli che si perdevano in due file interminabili nel centro della strada.

- Che, te sei cagato sotto, a Lenzè? - gridava il Riccetto con la capoccia tra le ruote del triciclo. Per la strada a quell'ora non passava più quasi nessuno, tranne i giovanotti in lambretta che s'erano portati all'Acqua Santa la mecca.

Vedendo passare le coppie, sbragati lì per terra in mezzo alla strada, quelli strillavano:

- Via! - oppure: - Nun je dà retta, sa'!

Un militare che filava con dietro una zozzetta d'una puttanella che gli si attaccava ai calzoni, volle fare il dritto e gridò con una calata mezza napoletana:

- E fatela finita!

Quelli scattarono come se gli avessero punto il sedere con una spilla; s'alzarono a metà puntando a terra il gomito sulla polvere: - A burino, che a Roma te sei civilizzato? - strillò Alduccio.

- 'A vedi quella? - aggiunse il Riccetto urlando con aria didascalica, con le mani a imbuto intorno alla bocca. - Quella, è la basilica de San Giovanni!

- Che, ar paese tuo è ancora de moda er tamtamme? - urlò per rincarare la dose il Lenzetta, mettendosi in ginocchio.

- Namo, daje, - disse Alduccio come si furono un po' calmati, - che, dovemo fà nuttata qua, mo?

Il Lenzetta si rialzò e s'accendette una paglia.

- Famme fumà, - fece Alduccio riprendendo la marcia. Dopo qualche boccata il Lenzetta gli passò burbero la cicca, e Alduccio, fumando, nemmeno aveva dato quattro pedalate, che crac, scric, scrac, la ruota del triciclo s'incastrò nella rotaia del tram e si ridusse a un colabrodo.

Macché, niente! Na cosetta senza nessuna importanza! Tanto da lì alla Maranella che ci voleva? E poi ne avevano fatta poca di strada, il Riccetto e il Lenzetta, quel giorno! Mentre Aldo, tutto incazzato e invelenito, se ne restava lì a guardia del triciclo e della roba ch'avevano ammucchiato su un marciapiede in una strada che sboccava sull'Appia, poco più giù, il Riccetto e il Lenzetta, un passo appresso l'altro, se ne tornarono fino alla Maranella e andarono dal carrettinaro. Ma il carrettinaro però era chiuso. -Li mortacci sua de sto fregnone! - disse arrotando i denti il Lenzetta alla volta del facocchio che chissà dov'era andato a far danno.

- Ah, così? lui chiude a st'ora? - fece vendicativo il Riccetto, - e noi lo fregamo, così se impara -. Era mezzanotte passata, a dire il vero; ma a loro non gliene fregava niente; entrarono nel cortiletto del facocchio e gli portarono via il meglio carrettino.

- Domani nun je lo riportamo, che? - fece il Lenzetta soddisfatto, oltre tutto, di avere pure la coscienza a posto.

Sull'Appia dove avevano lasciato Alduccio non si vedeva un cane. Ma poco prima d'arrivare all'angolo di via Camilla, si fece avanti un'ombra che, man mano che s'accostava, prendeva la figura di un vecchio scarnito con in testa un cappellaccio a cencio: in mano teneva un semiasse, che, come scorse i due ragazzi, cercò di nascondere.

Il Lenzetta arrossì come un tacchino, e senza tante storie l'abbordò: - A sor maè, - fece, - indò l'avete trovato, quer semiasse? - Il Riccetto aspettava con le mani sulle stanghe alzate del carrettino.

Il vecchio prese un'aria furba e confidenziale, che gli affilò la faccia bianca sotto le falde flosce del cappello. - Lo sto a nisconne, - fece ammiccando, - perché na guardia notturna voleva arestà er compagno vostro. Io l'aiuto, può esse che 'a guardia è annata a chiamà quarcheduno.

«Ma vaffan..., va», pensò tra sé il Lenzetta, però non si sa mai, e si diresse di corsa, seguito dal Riccetto e, poco più dietro, dal neno col semiasse in mano, verso dove avevano lasciato Alduccio.

Ma quel broccolo d'Alduccio non c'era: cercarono dietro i portoni, contro le saracinesche: - Ardo, Ardo! - si misero a chiamare. Finalmente Alduccio spuntò fuori di corsa da un vicoletto buio dove s'era andato a nascondere.

- Che, è passata na madama? - indagò il Riccetto.

- Boh, che ne so io, - disse Alduccio, - ho tajato subito per vicoletto -. I tre non continuarono l'inchiesta e fecero finta d'aver creduto al vecchio. Questo se ne stava lì appresso a loro, con le gambe larghe, la faccia da impunito, e sempre col semiasse stretto in mano. Sorrideva e i labbri tirandosi rientravano dentro le mascelle tra le gengive sdentate.

- Caricamo, daje, - fece prescioloso il Riccetto. Intanto che Alduccio trascinava il triciclo dentro il vicoletto, in un punto sicuro, il Riccetto e il Lenzetta, aiutati dal vecchio cominciarono a caricare la merce sul carrettino. Come l'ebbero caricato, il Riccetto strizzò l'occhio al Lenzetta, e quello fece a Aldo con aria pensierosa: - A Ardo, va avanti te cor carrettino da solo, che si è che ce vedeno tutti assieme svagano -. Aldo controvoglia e protestando un poco, obbedì, e ammusato e prudente, cominciò a spingere avanti il carrettino aprendo la marcia.

Gli altri gli andarono dietro, a una certa distanza, pronti, in caso di allarme, a tagliare pei vicoletti e a piantarlo. Il Lenzetta guardava rossastro il Riccetto, soddisfatto, e ridacchiando fece, con un cenno del capo verso Alduccio: - Forza, schiavo -. Pure il Riccetto a quella sparata ridacchiò, e, sentendosi fijo de na mignotta associato, s'illuminò tutto. Il vecchio camminava a fianco a loro a gran passi, trascinando pel marciapiede le scarpe di pezza. Sotto il braccio sinistro, ben stretto contro l'ascella, teneva un sacco arrotolato, che gli dava un'aria quasi sbarazzina e sportiva. - Do' te ne vai co' sto sacchetto? - gli fece il Lenzetta, tanto per occuparsi di lui, con l'altro che ghignava leggermente alle sue spalle. - Vado a rubbà li cavoli fiori pe dà da magnà a cinque bocche, - rispose il vecchio. - Cinque fiji? - chiese il Lenzetta. - No, cinque fije, - rispose il vecchio. Il Lenzetta e il Riccetto drizzarono l'orecchi. - E quanti anni c'hanno? - s'informò indifferente il Riccetto, per tastare il terreno. Intanto il Lenzetta s'era messo a camminare con più convinzione, come un asino che sente l'odore della stalla. - Una venti, una diciotto, una sedici e altre due che ancora so' regazzine, - fece il vecchio, con aria ciocca, ma giobbando però.

Il Riccetto e il Lenzetta si scambiarono un'occhiata. Camminarono ancora un pochetto, poi il Lenzetta dando piano piano una gomitata al Riccetto si fermò per farsi una pisciata.

Il Riccetto si fermò pure lui, e si mise accanto al Lenzetta, mentre il vecchio trasportato in avanti dal suo passo, andò ancora qualche metro avanti, prima di rallentare.

- Scaricamo Arduccio, - sussurrò rapido il Lenzetta.

- E come fai? - disse il Riccetto afflitto.

- Aòh, metteje na scusa, daje, - fece spazientito il Lenzetta.

Il Riccetto tacque un po', poi come se gli fosse venuta un'idea fece: - Ce penzo io, - e, abbottonandosi alla svelta fece per correre verso Aldo, che si vedeva avanti, lontano, come un'ombra. Ma il Lenzetta lo trattenne: - Fatte dà pure li sordi, - gli sibilò dietro.

- Va bbè, ce penzo io, - ripeté il Riccetto partendo di corsa.

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V. LE NOTTI CALDE (2) V. WARME NÄCHTE (2) V. THE WARM NIGHTS (2) V. NOCHES CÁLIDAS (2)

Il Riccetto e Alduccio se ne venivano piano piano, perché se l'erano fatta a fette da Pietralata, e strascinavano i piedi come se non fossero i loro, con le schiene dritte sulle gambe rammollite come stracci, mettendo in mostra però con aria fanfarona la loro fiacca di paraguli. Si dovevano esser fatti almeno almeno quattro chilometri, venendo da via Boccaleone, per la Prenestina, all'Acqua Bullicante, da una prateria piena di m..., a un villaggetto di catapecchie, da un palazzone grande come un monte a una fabbrichetta arruzzonita. E ancora non era finita, il più importante veniva adesso, che si dovevano fare tutta la Casilina. Il Lenzetta, fresco come un fiore, dopo aver baccajato per bene contro i due pellegrini ed essersi preso per questo del disgrazziato e dello stronzo, camminava avanti a passo spedito, con gli altri due che gli zoppicavano dietro, incazzati per la stanchezza e il male ai piedi.

Il posto lì a via dell'Amba Aradam, il Lenzetta c'aveva inzeccato, era proprio gajardo. Un po' fuori mano, proprio sul punto dove la strada incrociava col viale di San Giovanni, lungo le mura verdi e marrone, tra giardini zeppi di piante spelacchiate e delle vecchie villette signorili un po' malandate. Sopra una scarpata c'era tutta una fila di costruzioni basse, coperte di bandoni arrugginiti e luccicanti agli ultimi bagliori del sole. Proprio in fondo, lì all'angolo, c'era l'officina più piccola, ma con un gran cortile recintato tutto pieno di ferro. C'era un gran silenzio, ma da dentro le baracche, o tra i mucchi di rottami dei depositi, si sentiva qualche fischio tranquillo di operai, o qualche voce che chiamava o che rispondeva. I tre malviventi ci passarono davanti all'indiana, uno canticchiando e uno fischiettando: solo come furono un po' più giù, sotto i ruderi, fecero qualche osservazione aprendo appena la bocca: - Ammazza, - fece il Riccetto, - che saracche de semiassi! - Che te dicevo io? - fece trionfante il Lenzetta. - Sì, ma mo è ancora ggiorno, - disse il Riccetto per non dargli troppa soddisfazione. - E ppoi, qua, senza un triciclo nun se fa un c... -See! un triciclo! e addò 'o rimedi, un triciclo a scemo, - bofonchiò il Lenzetta torcendo la bocca. - Annamo ggiù a 'a Maranella e 'o domannamo a Remo er stracciarolo, - fece Alduccio, pigliando subito d'aceto per la cattiva accoglienza che aveva avuto la sua idea. Il Lenzetta lo guardò fisso, corrugando la fronte con aria di commiserazione, poi fece schioccare la lingua e nemmeno lo degnò d'una risposta. - A ciocco! - fece dopo un po' di scatto, - che ce vòi fà annà tutt'e ttre ar Forlanini? Fassela n'antra vorta appiedi, da qqua a 'a Maranella... e ritorno! che te dà de vorta er cervelletto? - Ma chi te dice de fassela n'antra vorta a ppiedi, ma chi te 'a sta a ffà sta propozta! - disse rosso e disgustato Alduccio. - An vedi questo! - Embè? - fece interrogativo e già un po' più interessato l'altro. Il Riccetto stava a ascoltare la discussione chiotto chiotto. - Rimediamo un po' de grana, no? - gridò Alduccio. - See! - fece il Lenzetta deluso. -Namo! - fece Alduccio. E senza manco voltarsi si incamminò verso San Giovanni. - Ma addò va 'sto 'ncefalitico, - fece il Lenzetta trottandogli dietro col Riccetto, - ma che s'è ammattito? - Nun s'è ammattito, nun s'è ammattito, - fece il Riccetto.

Non ci voleva molto a svagare qual'era l'intenzione d'Alduccio. Ma come furono sul piazzale di Porta San Giovanni, trovarono che non c'era un'anima. Sì, lì sulle panchine lungo il muretto che dà sullo strapiombo delle mura, c'era qualcuno, ma non quelli che i tre compari andavano cercando. Ci stava una donna grassa con la ciccia che schizzava sotto il vestito di seta crema, con le labbra ancora sporche dello zucchero dei maritozzi, con una faccia da pesce lesso, e accanto a lei un cosetto brutto, forse il marito, con una faccia da pesce fritto, povero cristo, che smaltiva la tropea. E qua e là qualche ragazzino e qualche serva. Ormai, dietro il muretto che come una terrazza dava sul quartiere tuscolano, oltre a dei campi di tennis e a delle distese di terra battuta, scendeva ormai la sera, calda e rossa, facendo brillare le finestre sulle cataste di palazzi celestini, che parevano un panorama di Marte: mentre al di qua del muretto, dove Alduccio e gli altri s'erano andati a sbragare, si stendevano altrettanto malinconici i giardinetti di San Giovanni, pieni di aiuolette e di alberelli, sfiorati dall'ultima luce che andava a sbattere sulle logge e le statuone della cattedrale e a listare d'oro il granito rosso dell'obelisco.

Scoraggiati, e mettendo in mostra ghignando il loro scoraggiamento, i tre malfattori se ne stavano addosso al muro: il Lenzetta disteso sopra, a panza in aria, con le mani sotto la nuca impolverata, a cantare; il Riccetto seduto sull'orlo con le gambe penzoloni; soltanto Alduccio stava in piedi, appoggiando l'anca e un gomito al muro, e tenendo nervosamente le gambe incrociate. Era l'unico che non facesse l'annoiato, e stesse ad aspettare con qualche speranza gli avvenimenti. Se ne stava lì, con una mano sprofondata in saccoccia, che pareva il figlio dello sceriffo, con le grosse labbra ombreggiate dalla peluria nera, e gli occhi lucidi e cupi come due cozze stillanti di limone.

E la sua fede ebbe una ricompensa. Quando il Lenzetta e il Riccetto, che con improvvisa decisione se n'erano andati a farsi una bevuta alla fontanella, piano piano, e perdendo tempo, ritornarono lì al muretto, videro Alduccio già pronto ad andarsene, tutto felice. - Namo, daje, - fece: affondò una mano in saccoccia e mostrò tre piotte tutte ciancicate. - E passato uno, - spiegò, - e me l'ha date senza niente, pe' simpatia, boh.

- Pe' tastà un momento, - aggiunse tutto allegro. Gli altri non stettero a cercare tante spiegazioni: erano cose che succedevano. Non perdettero tempo, e gridando e parlando forte per farsi sentire, andarono alla fermata del tranvetto, lì giù, presso la porta di San Giovanni, e dopo una mezzoretta rierano alla Maranella.

Remo lo stracciarolo fu un macello. Il triciclo già l'aveva portato a casa, dentro un cortile pieno di gente come un formicaio, al Pigneto, e lui se n'era andato all'osteria. Stava a un tavolino tarlato, rosso come un'aragosta sotto due dita di barba bianca e nera, e gonfio come se invece di sangue, sotto la pelle, avesse del gas. Chiacchierava con un vecchietto secco come uno stoccafisso, che aveva ancora la calata burina dopo cent'anni che abitava a Roma: e, tra loro due, un altro di cui non si vedeva la faccia perché s'era addormito sopra il tavolo e s'era ridotto a un mucchietto di stracci. Il Lenzetta apparve sulla porta, e diede un'occhiata professionale dentro l'ambiente: smicciò subito Remo, e confidenzialmente: - A Remo, -fece paragulo, - permetti na parola? - Remo interruppe la discussione intellettuale che aveva col neno. - Scusateme a sor maè, - fece, - fateme sentì che vole sto stronzetto -. L'altro fece la faccia di chi resta di botto solo, e inghiottì muovendo il gargarozzo una sorsatella di vino. Fuori dalla porta, sul marciapiedino sgretolato lungo il binario del tranve, c'erano gli altri due. - Te presento zti amichi mia, - fece il Lenzetta sempre più astuto e con la faccia rossiccia. - Piacere, - fecero i tre stringendosi la mano. - A Re', - fece ipocrita il Lenzetta, entrando subito in argomento, - tu ce doveressi da fà un piacere. - Come no, - fece l'altro, tra ironico e cortese.

- Ce doveressi da imprestà er triciclo, si è possibile, eh! - Remo non disse né sì né no: aveva subito svagato tutto, e ancora più svelto aveva fatto i suoi calcoli: il compenso per il triciclo, prestato per favore, doveva essere che la roba la venissero a vendere a lui, e ci avrebbe pensato lui a mettere il prezzo. Con un sorriso cameratesco tirò fuori una cartina e leccando e sputando cominciò a farsi una sigaretta: piano piano, attento a non farsi urtare, perché alla Maranella lì all'incrocio dell'Acqua Bullicante e la Casilina c'era più via vai di macchine e di gente che in via Veneto...

Saranno state le undici, undici e mezzo, quando il Riccetto e gli altri, pedalando a turno il triciclo, con uno disteso dentro a pancia in alto e le gambe penzoloni sulle sponde, e un altro dietro al trotto con una mano attaccata al sellino, dopo essersi rifatti tutta la Casilina, ci arrivarono morti di stanchezza.

A un pelo dalle mura e dai villini tutti traforati come tombe di famiglia o pagode di stazioni balneari - che i ricchi s'erano costruiti al tempo di Mussolini, quando il Riccetto non ne sapeva niente, come del resto non ne sapeva niente manco addesso ch'era al mondo - s'affacciava a far luce una luna grossa come un bidone. Alduccio restò fuori col triciclo sotto la scarpata: il Riccetto e il Lenzetta entrarono ventreterra nel cortile per un buco che c'era nella rete vicino all'officina, tra tre o quattro zeppi e un po' di porcacchia tutta spiaccicata e secca. Appena che strisciando sotto l'apertura e rizzandosi poi sul busto come baccarozzi schiacciati, dall'altra parte, furono dentro e si guardarono intorno, il Lenzetta non poté stare senza fare un po' di retorica: - Qua semo ner paradiso der ferro! - fece. Soddisfazione e paura erano dipinte sulle facce dei due gangster benché questi non volessero esprimere altro che una giusta preoccupazione professionale, specie il Lenzetta, che si sentiva il capo dell'impresa. -Daje, - fece, senza più perder tempo, con un soffio di voce. E siccome l'altro restava un po' indeciso, con le orecchie dritte come un cane, per vedere se si sentiva qualche rumore balordo, s'incazzò: - A francobollo, -fece, - e daje -. S'accostò al mucchio che gli pareva più nutrito, l'ispezionò, prese in mano qualcosa, lo gettò dopo averlo esaminato alla luce della luna, si mise a girare tra gli altri mucchi come un fantasma. Il Riccetto gli andò dietro guardando anche lui, senza far rumore. Lasciati da parte i mucchi di copertoni, di ruote e altre cose che non gli interessavano, trovarono in mezzo al cortile il reparto buono. E cominciarono il trasporto: prima, un pezzo alla volta, ammucchiarono tutto presso il buco, poi il Riccetto, attraverso il buco uscì, e il Lenzetta, rimasto dentro, gli passò la roba. Quando fu tutto fuori, uscì anche il Lenzetta, e insieme, a tutta callara, corsero su e giù dalla scarpata al triciclo, dal triciclo alla scarpata, con le corde del collo tese e le schiene rigide per lo sforzo, rossi come peperoncini. Alduccio non gli pareva vero a veder venire avanti quelle saracche di batterie di macchine, di corone di bronzo, di tubi di ferro, di semiassi, e, alla fine, pure una cinquantina di chili di piombo: aiutava a caricare, mettendo a posto i pezzi nel fondo del triciclo mentre gli altri andavano e venivano. - Ce n'entra ancora de robba, - disse al ritorno dell'ultimo viaggio. - Mèttece questo!... - fece, pieno di arie il Lenzetta; ma non aveva neppure finito di dire queste parole, che i suoi occhi si puntarono con un'espressione densa verso via dell'Amba Aradam. Gli altri s'azzittirono, facendo un po' di moina intorno al triciclo. Chi veniva avanti, era un tipo con un'americana bianca. Quando fu presso si distinse ch'era un giovinottello grassoccio con una faccia liscia come un dindarolo e gli occhi fessi; il Lenzetta, vedendo ch'era un figlio di papà d'uno studente, riprese quota e puntandogli addosso gli occhi che per la fifa gli erano andati in acqua, gli fece: - Che c'hai te da guardà? - Niente, - fece l'altro, andandosene via dritto dritto, come se le loro battute fossero state un puro e semplice scambio di cortesie, il più naturale del mondo, a quell'ora e in quella situazione.

Ma il Lenzetta, rivolto a quelle due spalle che se ne andavano in là piccole e tonde insistette: - Aòh, a cicciò, si nun guardi niente, taja, che sinnò te faccio guardà 'e stelle.

E quello zitto. Quando però se ne fu abbastanza lontano si voltò di sguincio e strillò: - Sti ladri!

- Mo quello fa 'a spia a quarcheduno, - fece perdendo di botto tutta la sicurezza Alduccio, con voce spaventata. - Cammina, a Ardù, e aspettace davanti all'ospedale, - fece anche lui del tutto smontato il Lenzetta, e prese la corsa verso il ciccione, mentre Alduccio pedalava dall'altra parte, e il Riccetto non sapeva a chi andar dietro. Il ciccione che non si immaginava di sicuro che il Lenzetta gli correva dietro per fargli le sue scuse e per raccomandarsi, si mise a scappare come uno scellerato lungo le mura di Porta Metronia. Allora il Lenzetta voltò un'altra volta, riprese il Riccetto che l'aspettava, e poi, insieme s'accodarono a Alduccio che ci dava sotto tutto sudato e bianco in faccia per lo sforzo. Si diedero il cambio un poco ciascuno e pedalando e correndo arrivarono all'Appia Nuova. - Ahioddio, - fece il Lenzetta buttandosi alla supina in mezzo alla strada proprio su una rotaia del tram.

Se ne stette lì con le gambe larghe e le mani sul petto, come un cadavere.

- Si fo ancora cinque metri te saluto, - gridò.

Gli altri due lasciarono ridendo il triciclo e fecero come lui, rotolandosi sui sampietrini dell'Appia sotto gli alberelli che si perdevano in due file interminabili nel centro della strada.

- Che, te sei cagato sotto, a Lenzè? - gridava il Riccetto con la capoccia tra le ruote del triciclo. Per la strada a quell'ora non passava più quasi nessuno, tranne i giovanotti in lambretta che s'erano portati all'Acqua Santa la mecca.

Vedendo passare le coppie, sbragati lì per terra in mezzo alla strada, quelli strillavano:

- Via! - oppure: - Nun je dà retta, sa'!

Un militare che filava con dietro una zozzetta d'una puttanella che gli si attaccava ai calzoni, volle fare il dritto e gridò con una calata mezza napoletana:

- E fatela finita!

Quelli scattarono come se gli avessero punto il sedere con una spilla; s'alzarono a metà puntando a terra il gomito sulla polvere: - A burino, che a Roma te sei civilizzato? - strillò Alduccio.

- 'A vedi quella? - aggiunse il Riccetto urlando con aria didascalica, con le mani a imbuto intorno alla bocca. - Quella, è la basilica de San Giovanni!

- Che, ar paese tuo è ancora de moda er tamtamme? - urlò per rincarare la dose il Lenzetta, mettendosi in ginocchio.

- Namo, daje, - disse Alduccio come si furono un po' calmati, - che, dovemo fà nuttata qua, mo?

Il Lenzetta si rialzò e s'accendette una paglia.

- Famme fumà, - fece Alduccio riprendendo la marcia. Dopo qualche boccata il Lenzetta gli passò burbero la cicca, e Alduccio, fumando, nemmeno aveva dato quattro pedalate, che crac, scric, scrac, la ruota del triciclo s'incastrò nella rotaia del tram e si ridusse a un colabrodo.

Macché, niente! Na cosetta senza nessuna importanza! Tanto da lì alla Maranella che ci voleva? E poi ne avevano fatta poca di strada, il Riccetto e il Lenzetta, quel giorno! Mentre Aldo, tutto incazzato e invelenito, se ne restava lì a guardia del triciclo e della roba ch'avevano ammucchiato su un marciapiede in una strada che sboccava sull'Appia, poco più giù, il Riccetto e il Lenzetta, un passo appresso l'altro, se ne tornarono fino alla Maranella e andarono dal carrettinaro. Ma il carrettinaro però era chiuso. -Li mortacci sua de sto fregnone! - disse arrotando i denti il Lenzetta alla volta del facocchio che chissà dov'era andato a far danno.

- Ah, così? lui chiude a st'ora? - fece vendicativo il Riccetto, - e noi lo fregamo, così se impara -. Era mezzanotte passata, a dire il vero; ma a loro non gliene fregava niente; entrarono nel cortiletto del facocchio e gli portarono via il meglio carrettino.

- Domani nun je lo riportamo, che? - fece il Lenzetta soddisfatto, oltre tutto, di avere pure la coscienza a posto.

Sull'Appia dove avevano lasciato Alduccio non si vedeva un cane. Ma poco prima d'arrivare all'angolo di via Camilla, si fece avanti un'ombra che, man mano che s'accostava, prendeva la figura di un vecchio scarnito con in testa un cappellaccio a cencio: in mano teneva un semiasse, che, come scorse i due ragazzi, cercò di nascondere.

Il Lenzetta arrossì come un tacchino, e senza tante storie l'abbordò: - A sor maè, - fece, - indò l'avete trovato, quer semiasse? - Il Riccetto aspettava con le mani sulle stanghe alzate del carrettino.

Il vecchio prese un'aria furba e confidenziale, che gli affilò la faccia bianca sotto le falde flosce del cappello. - Lo sto a nisconne, - fece ammiccando, - perché na guardia notturna voleva arestà er compagno vostro. Io l'aiuto, può esse che 'a guardia è annata a chiamà quarcheduno.

«Ma vaffan..., va», pensò tra sé il Lenzetta, però non si sa mai, e si diresse di corsa, seguito dal Riccetto e, poco più dietro, dal neno col semiasse in mano, verso dove avevano lasciato Alduccio.

Ma quel broccolo d'Alduccio non c'era: cercarono dietro i portoni, contro le saracinesche: - Ardo, Ardo! - si misero a chiamare. Finalmente Alduccio spuntò fuori di corsa da un vicoletto buio dove s'era andato a nascondere.

- Che, è passata na madama? - indagò il Riccetto.

- Boh, che ne so io, - disse Alduccio, - ho tajato subito per vicoletto -. I tre non continuarono l'inchiesta e fecero finta d'aver creduto al vecchio. Questo se ne stava lì appresso a loro, con le gambe larghe, la faccia da impunito, e sempre col semiasse stretto in mano. Sorrideva e i labbri tirandosi rientravano dentro le mascelle tra le gengive sdentate.

- Caricamo, daje, - fece prescioloso il Riccetto. Intanto che Alduccio trascinava il triciclo dentro il vicoletto, in un punto sicuro, il Riccetto e il Lenzetta, aiutati dal vecchio cominciarono a caricare la merce sul carrettino. Come l'ebbero caricato, il Riccetto strizzò l'occhio al Lenzetta, e quello fece a Aldo con aria pensierosa: - A Ardo, va avanti te cor carrettino da solo, che si è che ce vedeno tutti assieme svagano -. Aldo controvoglia e protestando un poco, obbedì, e ammusato e prudente, cominciò a spingere avanti il carrettino aprendo la marcia.

Gli altri gli andarono dietro, a una certa distanza, pronti, in caso di allarme, a tagliare pei vicoletti e a piantarlo. Il Lenzetta guardava rossastro il Riccetto, soddisfatto, e ridacchiando fece, con un cenno del capo verso Alduccio: - Forza, schiavo -. Pure il Riccetto a quella sparata ridacchiò, e, sentendosi fijo de na mignotta associato, s'illuminò tutto. Il vecchio camminava a fianco a loro a gran passi, trascinando pel marciapiede le scarpe di pezza. Sotto il braccio sinistro, ben stretto contro l'ascella, teneva un sacco arrotolato, che gli dava un'aria quasi sbarazzina e sportiva. - Do' te ne vai co' sto sacchetto? - gli fece il Lenzetta, tanto per occuparsi di lui, con l'altro che ghignava leggermente alle sue spalle. - Vado a rubbà li cavoli fiori pe dà da magnà a cinque bocche, - rispose il vecchio. - Cinque fiji? - chiese il Lenzetta. - No, cinque fije, - rispose il vecchio. Il Lenzetta e il Riccetto drizzarono l'orecchi. - E quanti anni c'hanno? - s'informò indifferente il Riccetto, per tastare il terreno. Intanto il Lenzetta s'era messo a camminare con più convinzione, come un asino che sente l'odore della stalla. - Una venti, una diciotto, una sedici e altre due che ancora so' regazzine, - fece il vecchio, con aria ciocca, ma giobbando però.

Il Riccetto e il Lenzetta si scambiarono un'occhiata. Camminarono ancora un pochetto, poi il Lenzetta dando piano piano una gomitata al Riccetto si fermò per farsi una pisciata.

Il Riccetto si fermò pure lui, e si mise accanto al Lenzetta, mentre il vecchio trasportato in avanti dal suo passo, andò ancora qualche metro avanti, prima di rallentare.

- Scaricamo Arduccio, - sussurrò rapido il Lenzetta.

- E come fai? - disse il Riccetto afflitto.

- Aòh, metteje na scusa, daje, - fece spazientito il Lenzetta.

Il Riccetto tacque un po', poi come se gli fosse venuta un'idea fece: - Ce penzo io, - e, abbottonandosi alla svelta fece per correre verso Aldo, che si vedeva avanti, lontano, come un'ombra. Ma il Lenzetta lo trattenne: - Fatte dà pure li sordi, - gli sibilò dietro.

- Va bbè, ce penzo io, - ripeté il Riccetto partendo di corsa.